Piccolo flashback a giugno 2024: il G7 di Borgo Egnazia era alle porte. Una grande vetrina internazionale che, nelle intenzioni iniziali del governo, avrebbe dovuto essere coronata dall’invio del nono pacchetto di armi all’Ucraina. C’era un problema, però: e quel problema si chiamava Samp-T. Il governo, sebbene non potesse dirlo apertamente per via della segretezza del pacchetto, voleva inviare il sistema missilistico a Kiev, ma non poteva farlo subito. Non per cattiva volontà, ma per carenza di mezzi. L’Italia, infatti, possedeva – e possiede – appena cinque sistemi Samp-T. Due di questi servivano per proteggere il G7, uno di riserva, un era altro di ritorno dalla Slovacchia e un altro ancora in Kuwait. Per poter mandare il sistema a Kiev, bisognava attendere che quest’ultimo rientrasse e che fosse revisionato. Per questo motivo l’Ucraina ha dovuto aspettare.
E l’Italia si è trovata, suo malgrado, a mostrare le sue difficoltà nell’approvvigionamento delle armi. La carenza di Samp-T è uno degli aspetti che preoccupa di più la Difesa. A chi gli chiedeva se l’Italia o un altro Paese Ue sarebbe stato in grado di respingere, come ha fatto Israele, l’attacco dell’Iran, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva risposto con un secco e amaro “no”. Ma le difficoltà nell’approvvigionamento del Samp-T non sono un’eccezione: l’Italia, sul fronte dell’equipaggiamento militare, ha da recuperare vari gap. Ed è da questo presupposto che bisogna partire nei giorni in cui l’Ue parla di riarmo. Un riarmo ritenuto necessario in risposta a Putin che continua a minacciare l’Ucraina.
Ma quali sono questi gap? Il nodo principale riguarda le risorse umane. Nei primi anni 80, ci ricorda una fonte militare, le forze armate italiane potevano disporre di 360mila persone. Da quel momento, però, la discesa è stata costante, fino ad arrivare ai giorni nostri: in questo momento gli appartenenti alle forze armate sono appena 150mila. Quanti ne servirebbero? Le stime, ammettono fonti che lavorano al dossier, sono complicate perché il mondo è cambiato. Oltre ai piloti classici, ad esempio, servono piloti di droni. O, magari, figure in grado di pilotare sia un aereo che un drone. Un calcolo spannometrico, fatto dalle stesse fonti, porta a ritenere che all’appello mancano almeno 35mila persone. Senza l’arruolamento di queste unità, difficile fare salti in avanti. Sono poi necessari balzi in avanti nella cybersicurezza. Chi conosce le strategie militari della guerra ibrida sa che nulla si può dare per scontato. E che il primo rischio che va scongiurato è l’iniezione di virus in grado di fare danni catastrofici al Paese, spegnendo ad esempio ogni fonte d’energia elettrica.
Un altro problema riguarda i carri armati. L’Italia ne possiede, secondo fonti militari molto ben informate, circa 200. Il problema è che non tutti sarebbero pronti all’uso. Quelli pienamente operativi, ci viene spiegato, “sono una cinquantina”. Un numero evidentemente troppo basso in tempi in cui Mosca minaccia l’Europa. In cui, soprattutto, l’Ue decide di riarmarsi, nell’ottica della deterrenza, e ha bisogno di poter contare sulla capacità militare di tutti gli Stati membri. Perché, al momento, come ha detto al Foglio il ministro della Difesa, Guido Crosetto, “l’Ue, esclusa la Francia, ha una forza di deterrenza pari a zero”.
C’è da dire che, dalle parti della Difesa, hanno iniziato a mobilitarsi, “contro tutto e tutti”, ben prima del piano di Ursula von der Leyen. Nel Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2024-2026 sono indicati tutti gli interventi messi in campo: vanno dal ripianamento delle munizioni, molte delle quali mandate a Kiev, al miglioramento della capacità di difesa dei fondali e rimpinguare quella dei cieli.
Proprio oggi Leonardo ha annunciato un’intesa con la turca Baykar per la produzione per la produzione di droni. Qualche mese, invece, ne aveva fatta una simile con Rheinmetall per i carri armati: “Ma se tutto va bene – ci viene spiegato da un acuto osservatore – il primo lo vedremo nel 2032”.
Il panorama, insomma, non è roseo. E l’Italia, come l’Europa tutta, conta il fatto che nell’ultimo trentennio ha disinvestito in difesa. Perché nei tempi di pace la corsa agli armamenti – sempre indigesta alla maggioranza dei cittadini – è particolarmente impopolare. Per invertire la rotta ci sarà bisogno di investimenti monetari notevoli. Quanti? Non è così semplice prevederlo ora. Per arrivare al 2% della spesa militare servono altri 10 miliardi. Su per giù quei soldi ci sono, ma non sono sufficienti. Bisognerà trovarne ancora e, come ha più volte lasciato intendere anche il ministro della Difesa, “andare oltre il 2%”.
L’unica nota consolatoria per chi dovrà razionalizzare le risorse è che la Germania sta molto peggio dell’Italia. Perché, per un riarmo degno di questo nome, di miliardi dovrebbe spendere almeno 400.
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