Il DM 77/2022 e la sfida della partecipazione

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Nel maggio 2022, si è avviato un cambiamento profondo nel mondo della sanità pubblica. A introdurlo è stato il Decreto Ministeriale 77/2022, decreto che ristruttura il servizio sanitario, alla luce dell’esperienza e degli insegnamenti legati alla gestione dell’emergenza sanitaria da virus SARS–CoV- 2. I finanziamenti per realizzarla arrivano invece dal PNRR. Una rivoluzione che è partita talmente in sordina che pochi se ne sono accorti, ancora meno ne hanno compreso la portata e le potenzialità. In particolare, ed è questo ciò che cercheremo di analizzare in questo articolo, poco o nulla è stato fatto per coinvolgere nel confronto chi quel cambiamento lo sperimenterà direttamente sulla propria pelle: i cittadini e le cittadine di tutta Italia, insieme a tutti i professionisti del settore. Trattandosi di sanità, l’espressione “sulla propria pelle” è da intendersi in maniera letterale, prima ancora che figurata.

CHE COSA PREVEDE IL DECRETO MINISTERIALE 77/2022

Il DM 77/2022 (“Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale”) definisce una riorganizzazione del servizio sanitario territoriale che mette al centro i distretti sanitari (aree con una popolazione tra i 40.000 e i 100.000 abitanti), strutturando una rete sanitaria integrata e policentrica, dove il ruolo centrale, di primo contatto sanitario, è esercitato dalle case di comunità e dagli ospedali di comunità. A questi si affiancano da una parte gli ospedali, che sono sempre più focalizzati sulla cura del momento acuto della malattia, e dall’altra i diversi e diversificati servizi territoriali: dalle centrali operative sia telefoniche – con il Numero Europeo Armonizzato (NEA) – che di coordinamento della presa in carico della persona, alla continuità assistenziale (ambulatoriale o direttamente al domicilio del paziente), fino all’istituzione dell’Infermiere di Famiglia e Comunità. Il decreto fornisce anche degli standard per l’assistenza territoriale che costituiscono degli indispensabili punti di riferimento. Poiché come sappiamo, la salute è competenza regionale: dalla Val d’Aosta alla Sicilia, le Regioni italiane hanno tempo fino alla fine del 2026 per adeguarsi al decreto, attraverso l’approvazione di norme regionali di recepimento, e portare a compimento la riorganizzazione del sistema territoriale.

PROSSIMITÀ. UN CONCETTO CHE VA AL DI LÀ DELLA DIMENSIONE SPAZIALE

Questa riforma, dunque, riorganizza il sistema sanitario mettendo al centro il tema della vicinanza, della prossimità, dell’accessibilità ai servizi. Introduce un termine nuovo in ambito sanitario, almeno dal punto di vista del lessico più ufficiale, quello di comunità. Parla di Case di comunità, di Ospedali di comunità: due espressioni che sottolineano la dimensione relazionale e di quotidianità, che suggeriscono una co-costruzione attraverso il contributo dei membri della comunità del servizio stesso, elemento strategico soprattutto in chiave di promozione della salute.

Eppure, proprio su questi aspetti si registra una mancanza significativa.

L’attuazione della riforma, la sua declinazione all’interno delle singole regioni, avrebbe potuto rappresentare un’occasione straordinaria per aprire un dibattito ricchissimo su cosa deve essere oggi la sanità pubblica, come si deve organizzare per fare fronte ai bisogni del territorio, quali sono le preoccupazioni dei cittadini, che cosa vuol dire davvero “mettere al centro la persona” per chi deve essere curato, per chi cura, per chi accompagna.

Ad oggi questo non è accaduto, se non in poche occasioni e in maniera, diciamo, tangenziale. Vediamone alcune.

DAL TRENTINO ALLA TOSCANA: PARLARE DEGLI OSPEDALI O PARLARE DI SERVIZI SANITARI?

Tra il 2023 e il 2024 si sono svolti due momenti di confronto pubblico che hanno riguardato la realizzazione di due nuovi ospedali. La prima esperienza cui faccio riferimento è quella del Dibattito Pubblico di Livorno, svoltasi tra febbraio e aprile 2024, la seconda è quella per il nuovo ospedale delle valli dell’Avisio (valle di Fassa, di Cembra e di Fiemme), in provincia di Trento, iniziata ad ottobre 2024 e oggi alle battute conclusive.

Si tratta di due percorsi molto diversi tra di loro. È evidentemente diverso il contesto, ma erano anche molto diversi gli obiettivi che i due percorsi si proponevano. Nel primo caso, si è trattato di un Dibattito Pubblico vero e proprio, formalmente disciplinato dalla legge sulla partecipazione della Regione Toscana che detta tempi e quadro generale dei Dibattiti. A Livorno il confronto riguardava il progetto di fattibilità del nuovo ospedale e ne analizzava caratteristiche, dimensioni, cantiere, impatti ambientali, aspetti urbanistici… Nel secondo, l’Autorità per la partecipazione della Provincia Autonoma di Trento ha indetto un percorso partecipato, che in quanto tale non è rigidamente codificato, per identificare i criteri per la localizzazione di massima del nuovo ospedale della provincia di Trento.

IL NUOVO MODELLO SANITARIO: UN GAP INFORMATIVO DA COLMARE

A Livorno come a Cavalese e a Predazzo, però, i partecipanti hanno dovuto fare i conti con un sostanziale vuoto: possiamo definirlo un gap informativo – la mancanza di elementi chiari su come funzionerà  esattamente il nuovo sistema sanitario, quali servizi offrono le case di comunità, che cosa resta all’interno dell’ospedale, come si articola il dialogo tra tutte queste dimensioni – ma che sembra più un vuoto di senso, determinato non tanto dal fatto che le informazioni non fossero disponibili, e ancor meno che ci fosse una reticenza, ma piuttosto dal fatto che le informazioni fossero ancora da costruire, che cioè questo lavoro di strutturazione territoriale, al di là dello schema generale di riferimento, fosse ancora tutto ampiamente da fare.

Correttamente e coerentemente, i partecipanti ai due percorsi hanno costantemente cercato di rimettere al centro della discussione il quadro generale, perché con un puzzle così complesso – che si parli di un progetto o di una localizzazione – non si può contribuire in maniera efficace, se non si hanno gli elementi di contesto.

Analizzando attentamente la ricchezza dei contributi che gli abitanti hanno messo sul tavolo, questi percorsi si sono rivelati utili proprio per colmare questo gap, riempire il modello di riflessioni calate nella quotidianità delle persone, nelle specificità dei territori, nel vissuto e nei saperi degli abitanti.

L’ESPERIENZA DI LIVORNO. DIBATTITI DIFFUSI PER RAGGIUNGERE LE PERSONE PIÙ COMUNI

Durante il Dibattito Pubblico di Livorno, per la Responsabile del processo era essenziale entrare in contatto con persone comuni, coinvolgendo coloro che tendono ad autoescludersi, che non si sentono legittimati a esprimersi anche quando, invece, le questioni li toccano direttamente e concretamente. La scelta è stata quella di andare incontro ai livornesi nei luoghi della quotidianità – il mercato, il campo sportivo, il centro prenotazioni della Asl, l’ospedale… – e di mettersi in ascolto rivolgendo delle domande dirette e chiare: “Come deve essere per te un ospedale davvero accogliente?”

Grazie al coinvolgimento delle facilitatrici visuali, i commenti e le riflessioni delle persone coinvolte erano immediatamente tradotti in vignette che venivano attaccate su pannelli mobili; progressivamente riflessioni e vignette si accumulavano sui pannelli: quello che veniva a crearsi era una sorta di dialogo a distanza tra i partecipanti. Per il team che conduceva il Dibattito Pubblico, era importante ascoltare, ma anche raccogliere e tradurre visivamente, fare in modo che le altre persone avessero accesso diretto alla ricchezza e varietà dei punti di vista che si stratificavano.

I “Dibattiti Diffusi”, come sono stati chiamati questi incontri, si sono rivelati di grande aiuto per far emergere bisogni reali e uscire dalle maglie un po’ rigide del Dibattito Pubblico e dei format dei laboratori che, a volte, scontano un’eccessiva strutturazione, focalizzata sull’output da “portare a casa” e lasciano poco spazio alla dimensione informale, sempre molto più ricca di sfumature diverse. Ma che cosa è emerso, quindi?

COM’È FATTO UN OSPEDALE DAVVERO ACCOGLIENTE?

Alcuni partecipanti si sono soffermati sulla raggiungibilità fisica e sulla facilità con cui ci si muove nell’ospedale, quindi sulla qualità delle informazioni che consentono di orientarsi e che permettono a ciascuno di noi, quale che sia la sua condizione – in termini di abilità temporanea o permanente – di continuare a sentirsi competente. Altri hanno messo l’accento sulla qualità degli spazi, immaginando spazi colorati, confortevoli, comodi, che ti fanno sentire a casa: in questa direzione va la proposta, particolarmente interessante, di avere dei murales che ritraggono medici e infermieri e li presentino prima di tutto come persone, oppure l’idea di tappezzare le pareti di immagini e quadri che raffigurino diversi paesi del mondo, per far sentire a casa anche chi arriva da lontano. Altri ancora hanno evidenziato la questione dei tempi di attesa, dell’eccesso di burocrazia e del bisogno di semplificare l’accesso ai servizi, senza puntare esclusivamente sulla digitalizzazione.

L’ESPERIENZA DELLA CURA INTEGRATA NELL’ESPERIENZA DI VITA

Il tema però che sembra essere emerso con maggiore regolarità è quello della qualità della relazione: per le persone con cui i facilitatori sono entrati in contatto durante i Dibattiti Diffusi, un ospedale accogliente è un luogo in cui c’è un ascolto attento, una disponibilità ad accogliere l’umanità del paziente, nella sua complessità; gentilezza, umanità, sorrisi, competenza, una generale sensazione di cura e di attenzione.

Se volessimo tradurre l’insieme di queste indicazioni, potremmo dire che entrando in ospedale non ci si spoglia di ciò che si è; la malattia è uno degli aspetti che in un preciso momento della nostra vita ci caratterizzano, ma non possiamo essere piattamente identificati con essa.

A ben vedere, anche quanto riportato poche righe più in alto, sugli spazi fisici, cioè l’idea di un ospedale che assomiglia alla casa, ci parla di questo: del bisogno che la vita e il mondo entrino dentro l’ospedale, che l’ospedale non sia più un’esperienza straniante, isolata dal resto della vita, ma che sia invece in connessione con questa. Così, si comprendono altre indicazioni emerse durante il Dibattito Pubblico in merito alla possibilità di poter continuare a fare delle cose “normali”, della vita di tutti i giorni, anche quando si è ricoverati, cose che aiutano, inoltre, a tenere lontani pensieri ossessivi e paure.

Questo tema è emerso anche nel percorso partecipativo condotto in provincia di Trento. Come detto, in questo caso si ragionava della localizzazione. Molte riflessioni esploravano la questione della vicinanza ai centri abitati, l’opportunità di costruire il nuovo ospedale dentro un centro urbano o al di fuori di questo. Coloro che si esprimevano a favore della prima opzione, evidenziavano l’importanza per il paziente di continuare a sentirsi parte della comunità, integrato dentro un contesto vivo e non alienato da questo.

CONCLUSIONI

Quelle presentate sono solo alcune delle riflessioni e delle suggestioni che sono emerse durante due processi che, nonostante non avessero al centro la questione fondamentale, cioè la riorganizzazione del servizio sanitario, si sono rivelati molto ricchi di spunti e soprattutto hanno evidenziato un bisogno chiaro dei cittadini di essere coinvolti in questa discussione. Come abbiamo visto, le Regioni dovranno “mettere a terra” la riforma entro il 2026. Se si vuole riempire di contenuti veri un modello sanitario che ad oggi risulta ancora opaco, la strada da percorrere è quella di attivare dei processi partecipativi che mettano direttamente al centro le questioni delicate che l’attuazione del nuovo modello sanitario deve affrontare: le persone, all’interno di un processo chiaro e strutturato, sono perfettamente in grado di appropriarsi di tematiche che, sì, sono complesse, ma hanno a che fare direttamente con la loro vita.

SITOGRAFIA

Sito del dibattito pubblico sul nuovo ospedale di Livorno: https://www.dpnuovoospedalelivorno.it

Sito del percorso partecipativo sulla localizzazione di massima per il nuovo ospedale delle valli dell’Avisio: https://www.provincia.tn.it/Argomenti/Focus/Partecipazione-il-nuovo-ospedale-di-Fiemme

ABSTRACT

The COVID emergency has necessitated a rethinking of the healthcare service model, prioritizing the creation of a polycentric territorial network where hospitals, community health centers, and local services are closely interconnected. This model speaks of community, yet in its development, the community itself has been largely excluded: no public debate has been promoted to involve citizens in a crucial and strategic discussion on the transformation of the healthcare system. However, these issues inevitably resurface in public consultation processes, which, when they do take place, are often focused on the construction of new hospitals.

 

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