Cosa ci fa l’allenatore dell’Inter, l’argentino Helenio Herrera, dietro la macchina del caffè di un bar di Gallarate? È una delle fotografie che incuriosiscono, nel volume “Un caffè a Gallarate”, curato da Adelfo Forni e Alberto P. Guenzani, appassionati narratori della città d’un tempo.
Un libro dedicato a caffè, bar e pasticcerie di Gallarate e alle tante storie – ordinarie o meno – che hanno visto. «Quanto tempo abbiamo passato al caffè a Gallarate!, ci siamo detti io e Alberto» ci racconta Adelfo Forni. «Pensando al fatto che avevamo per le mani poche foto ci siamo lasciati andare a una piccola scommessa: vediamoci tra quindici giorni e vediamo chi ha trovato più foto nuove. E da qui è nata poi l’idea del libro»
Un libro fatto di atmosfere che tanti hanno vissuto, ai tempi in cui i locali pubblici erano diversi e per certi versi più frequentati. E storie anche di singole famiglie, protagoniste delle ricerche di nuove immagini: «Le famiglie dei titolari di caffè e bar avevano tutti un grande spirito imprenditoriale» racconta ancora Forni.
Ad esempio il cremonese Callisto Assisi, che nel 1909 aprì – in un delizioso chalet di fianco alla stazione ferroviaria che vedeva passare anche l’Orient Express – il primo esempio di “Caffè chantant”, con spettacoli di ballerine che scatenarono un putiferio nelle famiglie gallaratesi, con le mogli inviperite per i mariti divenuti troppo assidui frequentatori di quel locale.
Lo chalet del “Cafè chantant” vicino alla vecchia stazione ferroviaria gallaratese di via Beccaria, aperto dal cremonese Callisto Assisi
Da fuori città – ma non da troppo lontano, da Gazzada – veniva anche Oreste Bianchi, capostipite della famiglia della celebre pasticceria (oggi gli eredi hanno tre diversi locali). Bianchi venne a Gallarate da garzone nella pasticceria del Belli, allora non plus ultra della produzione dolciaria in città. Armato di spirito imprenditoriale, Bianchi aprì poi negli anni Trenta il suo locale, rilevando quello del Belli in via Sant’Antonio (là dove c’è il locale odierno del “Bianchi centro”, risalente agli anni Cinquanta).
I portici di piazza Garibaldi dove stava il Caffè Pozzi; fotografia risalente alla fine dell’Ottocento
Erano invece veneti del Polesine i fratelli Ferrari – Antonio e Roberto – arrivati come tanti altri dopo la disastrosa alluvione del 1951. «Dopo poco hanno messo su il loro locale, il Bar Ferrari, nello stabile dove c’è la libreria Carù. Un locale enorme, con sala biliardo, boccette, sala carte». È qui che troviamo Helenio Herrera, che fu avvicinato e convinto a mettersi dietro al bancone del caffè: una sorta di testimonial pubblicitario che garantì enorme successo al locale, che poi si trasferì dove è adesso, nell’avveniristico (per gli anni Settanta) “Condominio Camma” tra via XX Settembre e piazzetta Guenzati.
La foto di Herrera fa parte del ricchissimo apparato fotografico al centro del libro, «duecento fotografie, in gran parte inedite» che raccontano moltissimi locali. Di 28 tra bar, caffè e pasticcerie (di cui undici ancora in attività) viene proposta anche una scheda, mentre un’appendice finale racconta altri quindici locali del centro meno storici ma attivi oggi.
Tra le foto ci sono straordinarie atmosfere dei diversi decenni – dall’Ottocento alla Beppe Epoque, dagli anni Venti al Dopoguerra – e anche momenti particolari. Come Herrera dietro la macchina del caffè o una visita di Fausto Coppi al culmine della sua popolarità, a inizio anni Cinquanta, ritratto davanti al Caffè Pasticceria Bossi in piazza, davanti a San Pietro.
Saltando avanti di molti decenni compaiono anche le celebrità che facevano capolino al Bar Ferrari dopo un taglio di capelli da Gianni Sparacia: fa parte della categoria, ad esempio “Cipollino”, Massimo Boldi.
A fianco delle immagini e delle schede, ci sono anche sedici racconti, frutto della penna di cinque autori diversi: Giuseppe Angnesina, Stefano Bandera, Angelo Bruno Protasoni, Alessandra Zaffanella, oltre allo stesso Adelfo Forni, a evocare le atmosfere che vanno dal’anno fatale 1848 fin quasi ai giorni nostri.
Nei locali pubblici passa anche la politica, con qualche connotazione politica a seconda dei periodi. «Durante gli anni del fascismo ad esempio il Bossi era il ritrovo di liberali e repubblicani, ostili al regime. Mentre il Ranzoni era il caffè degli industriali», i cui rampolli furono protagonisti della fase dello squadrismo che colpiva Case del popolo , cooperative e locali ostili nella zona. Fuori dal Ranzoni il primo sindaco di una giunta comprendente i fascisti, Mario Colombo, rischiò a sua volta le manganellate, quando s’’impuntò nel mantenere una maggioranza che comprendesse anche liberali e popolari, nel 1926.
Settembre 1922: inizia a Cardano l’assalto fascista alle Case del Popolo del Gallaratese
Facendo un salto nel Dopoguerra, negli anni del Sessantotto il Moka Efti (attuale Veranda Martini) era ritrovo di universitari politicamente connotati a sinistra. «Era gestito dal Renzo Ferrazzi, che era stato emigrante a Londra e poi sulle navi, che intorno a mezzanotte cucinava la pasta per i grupponi che facevano tardi» evoca Forni, che era di casa.
Storie ricostruite da libri ma spesso anche da testimonianze dirette dei gestori, come l’ultima intervista alla vedova di quell’Anselmi che gestì per lungo tempo il bar Regina, in piazza Guenzati, uno dei bar ancora in attività, anche se con spazi molto rinnovati.
Sulla copertina del libro firmato da Forni e Guenzani ci sono quattro foto storiche – una addirittura ottocentesca – e una a colori, con il pasticcere Giovanni Bianchi che mostra un prodotto simbolo di Gallarate: “il cammello” di Epifania, di sfoglia e crema.
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