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in Europa il 17,7% è senza occupazione #finsubito prestito immediato


Nel 2022, in Europa, 101 milioni di persone vivevano con una disabilità. Un numero pari al 27% della popolazione sopra i 16 anni. I dati del Consiglio europeo mostrano che il tasso di disoccupazione per le persone con disabilità tra i 16 e i 26 anni è del 17,7%, quasi il doppio rispetto alle persone non disabili. La disabilità spesso si accompagna a ingiustizie e disparità e l’accesso al lavoro rimane uno degli ostacoli più grandi: un quinto delle persone con disabilità in Europa è disoccupato, una situazione che rende difficile l’autonomia economica, aumentando il rischio di povertà e isolamento sociale.

Le disuguaglianze di genere aggravano ulteriormente la situazione: le donne con disabilità rappresentano il 29,5% del totale, rispetto al 24,4% degli uomini. Sul fronte dell’istruzione, il divario è evidente: solo il 29% delle persone con disabilità ha un’istruzione superiore, rispetto al 44% della popolazione generale, una disparità che si traduce in un accesso limitato al lavoro e una maggiore vulnerabilità sociale. Anche durante il recente G7 Inclusione e Disabilità, organizzato dal ministro Alessandra Locatelli in Umbria, sono stati discussi temi critici come inclusione lavorativa, accessibilità e vita autonoma, ponendo le basi per un futuro più equo e inclusivo. Anche per proseguire la strada aperta dalla recente riforma, il Decreto 62 del giugno 2024.

Ma il diritto alla piena partecipazione alla vita civile, sociale e politica è davvero garantito a tutte e tutti? Ne parla a TrendSanità Hayd Hammersley, coordinatore delle politiche sociali del Forum europeo sulla disabilità e Vincenzo Falabella, Presidente FISH onlus. A questi interventi si aggiungono le considerazioni raccolte da un portavoce della Commissione europea.

Barriere all’inclusione lavorativa: poche soluzioni, troppe difficoltà

«Ci sono numerosi ostacoli – esordisce Hammersley -. Nei Paesi UE, le persone con disabilità che iniziano a lavorare perdono spesso i sussidi di invalidità e l’accesso ai servizi gratuiti essenziali e riottenerli, in caso di cessazione del lavoro, è molto complicato. È un problema di non poco conto, poiché molte persone con disabilità faticano a vivere con il solo stipendio, spesso hanno lavori part-time o salari bassi e perché il costo della vita associato alla disabilità è più elevato. Per questo chiediamo all’Europa di conservare l’assegno di invalidità alle persone con disabilità che iniziano a lavorare, anche se parzialmente».

Hayd Hammersley

«Inoltre, molti lavoratori disabili hanno bisogno di adattamenti sul luogo di lavoro (“accomodamenti ragionevoli”) per svolgere al meglio il proprio incarico, ma il procedimento per ottenere le sovvenzioni che li finanziano è complesso e poco trasparente, impedendo così a molti datori di lavoro di accedervi. Infine, è essenziale investire nella formazione digitale per chi è disoccupato e disabile, ma anche nell’educazione generale del personale per rendere il lavoro più accessibile, ad esempio con contenuti digitali fruibili, per colleghi non vedenti o ipovedenti». «Molti datori di lavoro non sanno come facilitare il reclutamento e l’occupazione di persone con disabilità – aggiungono dalla Commissione UE –. Ad esempio, non sempre applicano adeguatamente la Direttiva UE sull’uguaglianza in materia di occupazione (78/2000/CE), che richiede gli accomodamenti ragionevoli»

«Un’altra barriera è la scarsa accessibilità dei luoghi di lavoro, che include l’accessibilità fisica degli edifici, delle tecnologie e dei trasporti, rendendo difficile la partecipazione. Inoltre, l’approccio alla disabilità è spesso frammentato, portando a una mancanza di supporto adeguato e integrato. Per affrontare questi problemi, la Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 ha posto l’occupazione di persone con disabilità tra le priorità e la Commissione Europea continua a sostenere gli Stati membri per migliorare l’inclusione di queste persone nel mondo del lavoro».

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Collocamento mirato: il punto in Italia e in Europa

«In Italia e in Europa – conferma Falabella – l’inserimento delle persone con disabilità nel mondo del lavoro è ostacolato da diverse barriere, tra cui la mancanza di accessibilità fisica e digitale, la carenza di formazione specifica, sia per le stesse persone con disabilità che per i datori di lavoro, ma anche i persistenti stereotipi che vedono la disabilità come un limite insuperabile. Dal canto loro, le aziende, soprattutto le piccole e medie imprese, spesso non sono preparate a creare ambienti di lavoro inclusivi, né hanno sufficienti incentivi economici per farlo. Di conseguenza, la Legge 68/99 e il collocamento obbligatorio delle persone con disabilità sono spesso vissuti come un obbligo e non come un’opportunità».

Non vanno dimenticate le buone prassi che meritano attenzione, come i progetti di integrazione socio-lavorativa sviluppati in collaborazione tra associazioni e imprese sociali

«La legge, infatti, che aveva introdotto il concetto di “collocamento mirato”, obbligando appunto le aziende a riservare una quota di posti di lavoro per le persone con disabilità, secondo le loro capacità e nelle giuste condizioni, continua a incontrare gravi ostacoli nella sua applicazione pratica. Sia in termini di controlli e sanzioni, sia per la frammentazione territoriale e la mancanza di uniformità nelle politiche regionali. Un esempio significativo in tal senso è il modello delle cooperative sociali, che riescono a coniugare impresa e inclusione, favorendo l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità in un contesto protetto, ma produttivo» spiega ancora Falabella.

Cosa fa l’Unione Europea

«I diritti delle persone con disabilità sono garantiti dalla legislazione dell’UE, con la Direttiva sull’uguaglianza in materia di occupazione, l’European Accessibility Act e la recente Direttiva sulla Carta Europea della Disabilità – commentano dalla Commissione europea. Inoltre, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali sancisce, al principio 17, il diritto delle persone con disabilità a partecipare al mercato del lavoro. L’UE e tutti i suoi Stati membri fanno anche parte della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (UNCRPD)».

«Per promuovere l’uguaglianza, la Commissione ha adottato la Strategia per i Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 che mira a migliorare la vita delle persone con disabilità e a rafforzare l’attuazione della UNCRPD e invita gli Stati membri a fissare obiettivi concreti di occupazione. Ad oggi, 11 Stati membri hanno stabilito questi obiettivi nazionali, mentre altri 6 stanno lavorando in questa direzione» dicono ancora da Bruxelles.

«La Commissione ha anche lanciato il Disability Employment Package, una guida con buone pratiche per supportare ogni fase del percorso lavorativo delle persone con disabilità: dal reclutamento all’assunzione, fino alla permanenza e al ritorno al lavoro. Questo pacchetto è rivolto ai servizi per l’impiego, ai consulenti e ai datori di lavoro».

Esempi di inclusione virtuosa in Europa

«Nei Paesi nordici, è molto più facile rispetto ad altre regioni europee ottenere un assistente personale retribuito che fornisca supporto durante l’orario di lavoro. Per le persone che necessitano di un alto livello di assistenza, questo può fare la differenza tra poter accettare un lavoro o dover rinunciare», spiega Hammersley. «Ogni Paese ha i suoi aspetti positivi e negativi. Tuttavia, in alcuni è ancora diffusa la pratica di inserire le persone con disabilità in laboratori protetti e separati, una tradizione che non rispetta il concetto di occupazione inclusiva, come richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità. In molti casi, questi lavoratori non hanno un vero contratto e quindi non ricevono nemmeno un salario minimo».

Vincenzo Falabella

Interviene ancora Falabella: «Tra i Paesi più virtuosi, troviamo la Germania, la Svezia e i Paesi Bassi. La Germania ha adottato un sistema di “quote obbligatorie” per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, accompagnato da un robusto sistema di sanzioni per le aziende che non rispettano tali quote. I fondi raccolti dalle sanzioni sono reinvestiti in programmi di sostegno e formazione per le persone con disabilità. Un altro punto di forza è l’approccio sistematico alle politiche di inclusione, con un forte coordinamento tra servizi pubblici e privati. La Svezia si distingue per la creazione di un ambiente lavorativo flessibile e inclusivo, con politiche mirate a garantire l’accesso a formazione e aggiornamento professionale per le persone con disabilità. La collaborazione tra datori di lavoro e servizi pubblici per l’impiego è molto sviluppata e facilita l’integrazione delle persone con disabilità».

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Disability Employment Gap: Italia tra i migliori con alcune criticità

Tra i Paesi con le migliori performance nel ridurre il divario occupazionale tra persone con e senza disabilità troviamo l’Italia, la Spagna e il Portogallo

Secondo la Commissione Europea, «l’occupazione delle persone con disabilità dipende anche da altre politiche nazionali, come istruzione, formazione, politiche giovanili, misure antidiscriminazione, assistenza sanitaria e protezione sociale. Occorre considerare tutti questi fattori per avere un quadro completo della situazione. A livello dell’UE, si valutano diversi indicatori, come il tasso di istruzione terziaria, l’abbandono scolastico precoce, l’accesso ai servizi e la differenza di occupazione tra persone con e senza disabilità (disability employment gap), uno degli indicatori principali del Social Scoreboard».

L’Italia ha un gap di 15,9 punti percentuali, la Spagna di 13,8 e il Portogallo di 14, rispetto alla media UE di 21,5 nel 2023. Tuttavia, l’Italia presenta anche alcune criticità: il tasso di abbandono scolastico precoce per le persone con disabilità è molto alto (36,6% rispetto al 19,2% della media UE) e il livello di istruzione terziaria è uno dei più bassi (16,2% rispetto al 35,7% della media UE). Inoltre, un terzo dei giovani con disabilità in Italia non è né in formazione né in occupazione, rispetto alla media UE del 27,3% (2022).

La “blacklist” dei Paesi meno inclusivi

«Nel panorama europeo – afferma il Presidente FISH onlus – ci sono Paesi che hanno più di altri difficoltà nell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. In Grecia e in Romania, ad esempio, nonostante l’adozione di normative europee, l’inclusione nel mondo del lavoro è molto bassa. Sono Paesi che soffrono la mancanza di politiche attive sul lavoro e di servizi di sostegno efficienti. Le barriere strutturali e culturali sono ancora molto radicate e spesso le persone con disabilità sono viste come dipendenti da sussidi, piuttosto che come lavoratori e lavoratrici da includere».

Europa vs Italia

Secondo le stime più recenti, indicate dal Forum Europeo sulla Disabilità, solo il 51,3% delle persone attive in età lavorativa con disabilità nell’UE ha un lavoro retribuito

A livello europeo, la situazione è diversa ma continua ad essere preoccupante. Le donne e i giovani con disabilità poi sono più svantaggiati degli uomini. Percentuali e dati sono ulteriormente penalizzanti per chi ha disabilità intellettive e del neurosviluppo. «Guardando ai singoli Paesi – interviene Falabella ­– ve ne sono alcuni nei quali l’inclusione lavorativa è più strutturata e sostenuta da politiche pubbliche e da una collaborazione stretta tra pubblico e privato. Per quanto riguarda l’Italia, possiamo dire che si trova in una posizione intermedia: se da un lato le normative ci sono, così come gli esempi virtuosi delle Cooperative sociali, dall’altro la frammentazione e la mancanza di coordinamento tra le istituzioni e il settore privato limitano i risultati».

«Ci sono progetti di grande valore, come il Progetto Cometa in Lombardia, che promuove l’inserimento lavorativo dei giovani con disabilità intellettive attraverso un modello di apprendimento duale, in cui la formazione teorica si integra con l’esperienza pratica in azienda. Anche il programma Garanzia Giovani prevede specifiche misure per facilitare l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, sebbene con risultati variabili in base alle Regioni».

Nuove tecnologie e inclusione lavorativa

Automazione e intelligenza artificiale possono rappresentare un rischio se non accompagnate da politiche di inclusione

«Le nuove tecnologie rappresentano una leva fondamentale per l’inclusione lavorativa – conclude Falabella – poiché permettono di superare molte barriere tradizionali. Strumenti come software per la comunicazione aumentativa e alternativa, dispositivi per il controllo vocale o oculare e le piattaforme di telelavoro possono offrire opportunità lavorative concrete anche a persone con gravi disabilità. Tuttavia, l’accesso a queste tecnologie non è ancora garantito per tutti, soprattutto in termini di costi e formazione. È necessario, pertanto, che le aziende e le Istituzioni investano in formazione tecnologica, affinché le persone con disabilità possano sfruttare appieno queste opportunità. L’automatizzazione di alcuni lavori potrebbe addirittura ridurre le opportunità per chi ha una disabilità, salvo che le nuove tecnologie non siano progettate sin dall’inizio per essere accessibili e inclusive. In Italia, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato fondi anche per l’innovazione tecnologica a favore delle persone con disabilità, puntando sull’abbattimento delle barriere digitali. Questo rappresenta un’opportunità cruciale per integrare le tecnologie a beneficio dell’inclusione lavorativa».



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