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Un’associazione in memoria di Mattia Ahmet Minguzzi. È questo il progetto maturato nel cuore della famiglia del 14enne ucciso dopo la brutale aggressione ordita a Istanbul da due adolescenti che nemmeno conosceva. Luogo della tragedia, il 24 gennaio scorso alle 8.30 del mattino, il mercato di Kadikoy, quartiere sulla sponda anatolica della città sul Bosforo, dove viveva con il padre Andrea Minguzzi, originario di Misano Adriatico e executive chef Eataly in Turchia e la madre Yasemin Akincilar, violoncellista turca che ha studiato al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. I due hanno atteso un miracolo che non è arrivato mentre il loro bambino colpito negli organi vitali da cinque coltellate e poi preso a calci, una volta caduto a terra, ha lottato in ospedale per due settimane tra la vita e la morte. Ora nel vuoto lasciato dalla perdita dell’unico figlio, «l’anima della mia anima», come lo ricorda Yasemin, sono circondati da un abbraccio che non si allenta, quello comunità dove questo adolescente «è diventato un’icona».
Andrea, cosa ricorda di quei giorni?
«Le interminabili notti in ospedale passate su una sedia e l’attesa straziante che ha lasciato spazio a un’assenza che non si può colmare. Che questo vuoto non venga sopraffatto dall’oscurità ma dalla luce è il nostro desiderio più profondo. Voglio che Mattia Ahmet diventi una scintilla, un ponte gettato tra culture diverse nell’antico crocevia che è Istanbul».
La popolazione turca ha lanciato una petizione online perché i due colpevoli, un 15enne e un 16enne con precedenti penali, ricevano il massimo della pena. Cosa ne pensa?
«Non l’ho organizzata io, né voglio cedere all’odio. Credo che Mattia si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tutto qui. A scuola, i compagni lo definivano “fratello maggiore” perché difendeva sempre i più fragili. Anche quella maledetta mattina ha tentato di proteggere gli amici e per questo è diventato il bersaglio degli aggressori, poi arrestati dopo la fuga».
Intende fondare un’associazione in memoria di suo figlio?
«È questa la nostra intenzione con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza sociale sui nodi che alimentano e generano questa ferocia tra giovanissimi. Lasciamo che i bambini camminino sicuri per strada».
«Nato a Istanbul, nel quartiere di Güngören, Mattia Ahmet ha frequentato la scuola primaria Marco Polo. A 14 anni parlava già turco, italiano e inglese mentre studiava giapponese e russo. Nell’anno trascorso a Malta, a causa del mio lavoro di executive chef presso l’ambasciata degli Stati Uniti, aveva ottenuto un attestato di coding (disciplina che ha come base il pensiero computazionale, ndr). Dopodichè ha prevalso la nostalgia per la Turchia dove siamo tornati. Qui mio figlio aveva ripreso gli studi presso il Liceo italiano I.M.I., per frequentare la terza media. Proprio quest’anno avrebbe dovuto sostenere l’esame».
Quali erano le sue passioni?
«Ne coltivava tre: skateboard, musica e cucina. Lo chiamavo “chef” perché era pieno di talento e amava sperimentare guardando ricette su YouTube».
«La voglia scura attorno all’occhio sinistro che, secondo la tradizione popolare turca, equivale al bacio di un angelo».
Molti artisti stanno realizzando ritratti di suo figlio, un fiore «che non ha avuto il tempo di sbocciare». Può menzionarne uno in particolare?
«L’autore di graffiti Semi Ok lo ha immortalato in un’opera divenuta un simbolo. Sulla maglietta campeggia la scritta “Phayx”, il suo soprannome. Ma non è tutto. Ogni giorno vengono bambini a portarci doni per Mattia ed anche il suo “giardino” è pieno di fiori e lettere ma anche di dolciumi e disegni».
«Suonava la chitarra classica e acustica e da poco quella elettrica, esercitandosi con impegno. Era un fan dei Duman e pochi giorni prima della tragedia aveva assistito a un loro concerto con la mamma e la zia. Mentre lottava in terapia intensiva, il cantante Kaan Tangöze gli ha spedito un messaggio vocale. I Guns and Roses lo ricorderanno a giugno durante il loro concerto a Istanbul di cui io avevo già comprato i biglietti per lui e mia moglie. Anche dal mondo dello sport, dal basket al calcio, sono giunte testimonianze di grande affetto».
Le massime autorità politiche della Turchia vi sono state vicino. E quelle italiane?
«Siamo stati a colloquio con il ministro della Giustizia Carlo Nordio durante la sua visita in Turchia. Lo ha richiesto lui ed è stato un incontro molto cordiale. Oltre al ministro ci tengo a ringraziare l’ambasciatore Giorgio Marrapodi e la presidente del circolo Roma Martina Pavone. La messa per Mattia è stata celebrata dal vescovo in persona con altri quattro sacerdoti. Tutti fanno il massimo per tenere in vita il suo nome, sono sicuro che il suo sacrificio salverà moltissime vite».
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