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Quando e come arriveranno i nuovi dazi Usa? Le giravolte di Donald Trump rendono difficili le previsioni. Gli imprenditori stanno cercando di non arrivare impreparati a quel momento, anche se mancano indicazioni sui contenuti del provvedimento. Pur in questa incertezza come si stanno orientando? Le loro testimonianze indicano come si sta muovendo il sistema produttivo e anticipano quello che probabilmente accadrà, tra chi pensa di andare a produrre negli Usa, chi invoca un intervento radicale sull’energia per ridurre i prezzi e compensazione i dazi e chi sollecita l’Europa a stringere i tempi di una risposta in modo da ottenere un possibile effetto deterrente verso l’amministrazione americana. Insomma, gli imprenditori stanno affrontando in vario modo le minacce trumpiane.
L’imprenditore che progetta di sbarcare negli Usa
Chi sta progettando di sbarcare negli Usa è Alessandro Riello, presidente di Aermec (impianti di climatizzazione): «Sì, stiamo pensando al che fare verso gli Stati Uniti più che seriamente. Già abbiamo operative due società, negli Stati Uniti e in Canada, ora il progetto è avere nel giro di un paio d’anni un’unità produttiva a Nord e, forse, un’altra nel Sud America. Non solo per i dazi. Siamo alle prese con il Green Deal europeo, prospettiva giusta per la salvaguardia dell’ambiente ma se portato avanti senza fare i conti con la realtà rischia di trasformare l’Europa in una Red Valley, una vallata di sangue».
Aleotti (Menarini): il problema sono le scelte miopi dell’Europa
Anche secondo Lucia Aleotti, nel board dell’impresa farmaceutica di famiglia Menarini, oltre ai dazi Usa c’è da temere l’Europa: «La politica sui dazi non ci ha indotto a modificare la nostra strategia. Il fatto è che l’Europa si è fatta e si fa male da sola. Mario Draghi recentemente ha parlato di dazi auto inflitti dall’Unione Europea, imponendo su se stessa regole, burocrazie, tracciature, obblighi, tanti obblighi. Meno di 10 anni fa le aziende farmaceutiche americane erano al primo posto nel mondo per numero di sperimentazioni cliniche globali, al secondo posto, abbastanza vicino, c’erano le aziende europee, e lontanissime c’erano le aziende cinesi. C’è stato un ribaltamento in cui le aziende europee sono crollate nel numero di sperimentazioni cliniche a livello globale, e tutto ciò che è stato perso in termini di numerosità è stato guadagnato dalle aziende cinesi che hanno avuto grande spinta dal loro governo a innovare, a diventare competitive». «Purtroppo», aggiunge Aleotti, «l’Ue ha voluto comprimere lo spirito imprenditoriale, e non c’è niente di peggio di distruggere la spinta che ha l’imprenditore nel fare, nel rischiare, nel volersi vedere competitivo a livello globale: imprigionato da una ragnatela di regole e di obblighi che non tengono minimamente in considerazione la situazione globale della competizione. Io amo questo settore: è il più nobile, più ricco di ricerca, di scienza e di beneficio per il mondo: l’Europa se lo sta facendo scappare con scelte assolutamente miopi. Altro che i dazi, i problemi che rischiano di distruggerci sono questi».
«Prodotto italiano non è acquistato per il prezzo, ma per la qualità, per la storia, per il know how»
Un appello all’Europa, e non solo, lo lancia Anna Mareschi Danieli, che fa parte del quartier generale dell’azienda meccanica di famiglia, la Daniele & C: «È evidente che l’eventuale applicazione di dazi potrebbe avere ripercussioni sulle esportazioni, ma noi dobbiamo continuare a mantenere il focus di eccellenza e qualità del prodotto italiano, che non è acquistato per il prezzo, ma per la qualità, per la storia, per il know how. Questo è il nostro compito mentre al contempo l’Europa deve rispondere alla guerra commerciale. Se i singoli Stati andranno divisi la partita è già persa in partenza. Faccio soltanto un esempio, che credo sia di per sé eloquente: se le restrizioni statunitensi colpissero qualche comparto dell’industria tedesca, anche noi ne subiremmo le conseguenze. Perché le nostre economie sono fortemente interconnesse, dal punto di vista commerciale, ma anche e soprattutto produttivo».
La marcia degli imprenditori su Bruxelles
A mettere l’accento sul ruolo dell’Europa è anche Claudio Feltrin, presidente e amministratore delegato di Arper Spa, azienda trevigiana di mobili e arredo, che propone una sorta di marcia degli imprenditori su Bruxelles: «I dazi metterebbero in ginocchio le imprese perciò guardo all’Europa che non può tergiversare. il sistema Paese dev’essere compatto nel chiedere all’Europa di battere un colpo, difendere se stessa e smettere di suicidarsi con misure e regole che spesso fanno esclusivamente il gioco di chi, con un colpo di spugna, mira ad annientare la nostra forza produttiva. Se non difendiamo da soli le nostre produzioni che rappresentano anche la nostra storia e i nostri valori, chi pensiamo possa farlo per noi?».
Molti imprenditori stanno già pensando di diversificare
Marco Benedetti è a capo di Jessica Jewels, azienda di gioielli della provincia di Arezzo: «Molti imprenditori stanno già pensando di diversificare sui mercati, altri di spostare la sede aziendale a Taiwan e da lì fare triangolazioni. Non esiste una regola che valga per tutti, ogni azienda ha le sue peculiarità. Certamente bisogna trovare sbocchi all’export che suppliscano a una minora domanda determinata dai dazi Usa. Il fatto è che i dazi americani rischiano di sommarsi ad altri costi che già penalizzano le imprese italiane.
«Riduciamo almeno il costo dell’energia per recuperare il costo dei dazi»
Per Francesco Divella, quarta generazione nell’azienda di famiglia (Divella, settore alimentare, sede in provincia di Bari) i dazi spaventano soprattutto perché la competitività è messa a rischio dai costi, a cominciare dall’energia: «Le imprese stanno cercare nuovi sbocchi commerciali, soprattutto nei Paesi emergenti, ma uno spostamento decisivo verso altri mercati è impensabile perché la relazione economica fra Italia, Europa e Usa è fortissima. Dobbiamo considerare che l’Europa è un mercato importantissimo: un mercato di mezzo miliardo di persone con redditi fra i più alti del mondo, e a nessun Paese, nemmeno agli Stati Uniti dell’era Trump, converrebbe penalizzarlo. Va aggiunto che il made in Italy comprende tutti quei prodotti che sono riconosciuti nel mondo per la loro qualità e italianità, e per i quali i consumatori esteri sono disposti a pagare un prezzo superiore rispetto ai prodotti di altri competitor. Quindi la questione dei dazi potrebbe anche essere superata ma ci sono condizioni di contesto che rischiano di penalizzare persino le imprese più innovative. Mi riferisco per esempio all’energia. I costi del gas e dell’elettricità rappresentano una zavorra che, aggiunta ai dazi doganali, può affossare la competitività dei nostri prodotti. A essere micidiale può risultare questo mix. Quindi riduciamo almeno il costo dell’energia per recuperare il costo dei dazi».
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