cinema italiano, pubblico giovane e intelligenza artificiale. Con Michele Casula

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Nel nuovo episodio del Podcast di Cineguru, Davide Dellacasa parla con Michele Casula di cinema italiano, pubblico giovane e intelligenza artificiale.

Si parte celebrando il successo di Follemente, che domina il box office per la terza settimana consecutiva superando i 12 milioni di euro. Si discute anche di Mickey 17 e Anora, quest’ultimo spinto in alto dalla vittoria agli Oscar.

Michele Casula sottolinea come il cinema italiano stia vivendo un momento particolarmente positivo: da inizio 2025, oltre il 40% del box office è stato generato da film italiani, con titoli come Diamanti, Io sono la fine del mondo e Dieci giorni con i suoi a trainare. Un risultato che testimonia la varietà di pubblico raggiunto, dai più giovani agli over 50.

Si riflette anche sul ritorno del pubblico giovane in sala: i 15-24enni nel 2024 hanno registrato un sorprendente +26% rispetto all’anno precedente. Un segnale che il legame tra domanda e offerta si sta rafforzando anche grazie a strumenti come CineExpert, che aiutano a profilare meglio il pubblico.

Infine, spazio al tema dell’intelligenza artificiale: Casula racconta il crescente impatto dell’AI nelle ricerche di mercato e nella comunicazione dei film, con qualche perplessità sul rischio che l’AI venga vista come sostituto dell’intuizione reale degli spettatori.

Potete ascoltare il Podcast di Cineguru nei seguenti player.

Ed ecco anche l’intera trascrizione del podcast:

Questa trascrizione è stata generata tramite un servizio di trascrizione. La versione attuale potrebbe non essere definitiva e potrebbe essere soggetta ad aggiornamenti

Davide Dellacasa

Buongiorno a tutti i nostri ascoltatori e ascoltatrici. Oggi, al Podcast, sono con Michele Casula, che è un altro degli ospiti che spesso hanno tenuto compagnia a me e a Robert. Ciao Michele, buongiorno.

Michele Casula

Buongiorno, ben ritrovato e buongiorno a tutti.

Davide Dellacasa

Allora, senti, come in queste ultime puntate di questo periodo particolare, mi soffermo poco sul box office, anche perché, in realtà, senza Robert non penso ci sia molto da dire: è lui quello che entra puntualmente sui numeri. È chiaro che qui festeggiamo, perché comunque è bene festeggiare la terza settimana di leadership di Follemente. È andato oltre i 12 milioni. L’obiettivo di Perfetti Sconosciuti, che si continua a considerare un obiettivo importante per questo film di Genovese, non è così distante.

Il calo di questo fine settimana è stato un calo importante, del 40%, però è un gran terzo fine settimana per un film italiano. In generale, sono pochi i film che hanno questa tenuta così buona. Comunque ha superato abbondantemente i 2 milioni e 200 mila euro di incasso nel fine settimana, con un’ottima media per copia. E quindi, sul cinema italiano ci torniamo tra un attimo.

Prima, lasciami dire che ha esordito al secondo posto Mickey 17, che mi sembra essere, nel nostro mercato, comunque un ottimo esordio con oltre 800.000 euro. E al terzo posto Anora, uno di quei casi in cui gli Oscar servono a qualcosa, mi viene da dire, perché poi Anora ha avuto comunque una sua prima uscita in cui, un po’ in tutto il mondo (e da noi uguale), è passato abbastanza in sordina. Poi è stato fatto uscire di nuovo prima degli Oscar e ora, con tutti i premi Oscar che si è portato a casa, arriva in terza posizione, incassa mezzo milione nel fine settimana, con un totale che arriva a un milione e mezzo.

Insomma, con qualche mese di ritardo e grazie agli Oscar, il mercato si è accorto di questo film. Dicevo — e dicevamo — tu non hai detto ancora niente, il che è strano, perché sono tipo tre minuti che parlo solo io… che, con te, è una conquista.

Il cinema italiano l’ha fatta da padrone. Dall’inizio dell’anno, a parte il primo weekend dove avevamo Sonic a intrattenere un pubblico ancora molto festivo, se non sbaglio, solo un weekend con Captain America in testa: per il resto ci sono sempre stati film italiani in vetta nei fine settimana e abbiamo parlato soprattutto di cinema italiano.

Con l’inizio dell’anno c’era ancora Diamanti, che comunque ha avuto una buona tenitura anche a inizio anno. C’è stato poi il fenomeno Angelo Duro, c’è stato Dieci giorni con i suoi, e adesso c’è Follemente. A quanto dicevamo… circa più del 40% del box office di questo mese?

Michele Casula

Più del 40%, dando un contributo importante al +10% circa, caratterizza questo avvio del 2025 rispetto al periodo del 2024. Stiamo mettendo in fila tutta una serie di dinamiche che, anche dopo il buon 2023, non davamo per scontate, perché poi la prima fiammata di ottimo contributo di una produzione italiana agli equilibri complessivi del mercato è forse un po’ riconducibile all’exploit della Portilesi, che si portava dietro tutti i distinguo di chi temeva potesse essere una felice eccezione.

Andava a completare il terzetto con Barbie e Oppenheimer, e io mi ricordo ancora la domanda — barra interrogativo — che aprì il Q&A della conferenza dove si commentavano i risultati del 2023, temendo che potesse non esserci un equivalente, già anche nel 2024, capace di portare il mercato su volumi che, scordiamocelo, scontano ancora circa un -25% rispetto alla prepandemia.

Anche se io sono fra quelli che si stanno dando come regola quella di farlo sempre meno, questo confronto con il periodo prepandemico, perché — per motivi che poi, se vuoi, possiamo riprendere — io considero la soluzione di continuità introdotta dal Covid qualcosa che ci impone di parlare sostanzialmente di un nuovo mercato.

Però, tornando a quello che evidenziavo prima: il 2024, che invece i risultati del 2023 li ha portati a casa, grazie a una pluralità ancora più preziosa — perché nel mercato theatrical non c’è una linea editoriale definita da una regia unica — si muove attraverso queste geometrie variabili che si vanno a comporre, e il contributo delle produzioni italiane è stato molto importante.

È affidato a più titoli, molti dei quali — ricordami tu — sono caduti a cavallo fra la fine del 2024 e questo inizio del 2025, dove il superamento del 40% di quota del totale annuo è un parametro che, ci eravamo detti, è “alla francese”.

E la cosa che io apprezzo ancora di più, avendo l’osservatorio di CinExpert — che, come sai, lo gestiamo noi colleghi di Ergo Research per conto di Cinetel, ed è uno strumento a pieno titolo facente parte della suite Cinetel — è che abbiamo modo di vedere quanta eterogeneità ci sia anche nel tipo di pubblico ingaggiato da titoli come Follemente, Io sono la fine del mondo, Diamanti.

E questo era ancora più complicato da ottenere, nel senso che il risultato ottenuto in Francia dal sistema dell’offerta francese è fortemente radicato nella domanda del pubblico adulto, ma con un fortissimo contributo in particolare degli over 60. Gli over 60 in Francia sono, quasi tutte le settimane, il segmento che più di tutti contribuisce alle admissions complessive.

In Italia, invece, si tratta quasi sempre dell’ultimo segmento. Ma in Italia, storicamente, il pubblico che in proporzione ha premiato di più le produzioni italiane è proprio quello degli over 50.

La sfida — direi vinta — da molti dei titoli che abbiamo citato, titoli italiani, è stata quella di guadagnare diritto di cittadinanza anche sui segmenti di pubblico più giovani.

Nella mappa che molti addetti ai lavori hanno imparato a conoscere — che è molto semplice: un’asse orizzontale che, man mano che ti sposti verso destra, segna un innalzamento del baricentro anagrafico, e un’asse verticale che mostra le accentuazioni al maschile nella parte alta o al femminile nella parte bassa — per le produzioni italiane avvicinarsi all’origine degli assi, e quindi esprimere una certa medietà, è sempre stato abbastanza complicato.

Recentemente, abbiamo visto la capacità di scollinare nella regione sinistra, che è quella a presidio più fortemente giovanile, con il film di Angelo Duro, ma tanti altri titoli sgranarsi in maniera importante nella regione destra della mappa.

E io trovo che questo lavorare con più segmenti di pubblico sia uno dei risultati più importanti ottenuti dalle produzioni italiane.

Vedi che sono partito per la tangente.

Davide Dellacasa

No no, va benissimo, però ti stavi fermando… quindi dai, non so se hai parlato più a lungo di me — quindi è andata bene. Dovevi bilanciare.

Volevo chiederti una cosa, ma a questo punto prima te ne chiedo un’altra, proprio affrontando questo argomento. Perché, insomma, in questi giorni abbiamo ricominciato a commentare — più che altro perché, come ti dicevo, l’ho vista condivisa sui social magari con qualche settimana di ritardo — proprio il tema di uno dei risultati che ci siamo portati… cioè, più che di uno dei risultati, una delle conclusioni che ci siamo portati dalla conferenza stampa di presentazione dei dati di Cinetel di questo 2024: il ritorno del pubblico più giovane al cinema.

“Ritorno”, non lo so… forse la parola è sbagliata. Su questo argomento c’è sempre stata un po’ di… un po’ di esitazione, no? Su questo “peso” del pubblico più giovane nel 2024, che per alcuni è una sorpresa, per altri no.

Sancita dai dati, magari era giustamente una sorpresa — come mi ricordavate.

Secondo te, vedendo i risultati di questi film italiani in questi mesi — poi noi abbiamo citato solo i titoli in testa alle classifiche di queste settimane, ma ci sono stati anche tanti altri titoli italiani che magari non hanno conquistato la vetta del box office, ma hanno dato un contributo a metà classifica o comunque più in basso — nasce prima l’uovo o la gallina?

Cioè: è il pubblico giovane che va al cinema e scopre i film italiani? O sono i film italiani che parlano di più anche a un pubblico giovane, secondo te?

Perché, ad esempio, soprattutto su un titolo che io vedevo più per il pubblico adulto, come Diamanti, ho scoperto invece che ha avuto anche lì una quota importante di pubblico più giovane. E dato il risultato totale, quando superi certi numeri, a me sembra scontato che si debba sgranare il pubblico che va a vederlo, perché altrimenti è difficile raggiungere certi risultati.

Dove la vedi l’origine di questa cosa? O è sbagliato chiedersi se c’è un’origine?

Michele Casula

Non è sbagliato chiederselo.
Nel titolo che citavi tu, il contributo importante anche del pubblico giovane arriva come portato della larghezza e dei numeri. Diamanti rimane — ma va bene anche così — un film a baricentro anagrafico medio-alto. Poi, andando a vedere anche i biglietti che ci sono dietro la percentuale degli under 25, sono comunque numeri importanti.

Le sorprese sono arrivate su altri titoli dove, in termini relativi, il contributo dei giovani è stato trainante.
Ma tu, che citavi la conferenza stampa e la consultivazione del 2024, avevi sicuramente in mente il fatto che i 15-24 anni non solo si sono riallineati ai gruppi di sbigliettamento pre-pandemia, ma nel 2024 — vado a memoria — hanno fatto segnare un +26%.

Vedi, io e te, con le organizzazioni dalle quali operiamo, nel lontano 2018 organizzammo un convegno che aveva come titolo Il biglietto mancato. Evocavamo già all’epoca un potenziale inespresso del mercato theatrical e ci interrogavamo su una serie di vettori che potevano portare alla conversione di questo potenziale.

La fotografia del contributo alle admissions fatta all’epoca ci metteva di fronte a un dato calante per i giovani, ma rispetto a quel dato calante noi ci sentivamo comunque in dovere di dire: guardate, sì, c’è un trend di leggera flessione dello sbigliettamento anno su anno da parte dei giovani.
E ricordo però che quel “anno su anno” era 2015-16-17, cioè l’immediato — fatemelo chiamare così — “post-Netflix”, e quindi fotografava questo leggero intiepidimento del contributo dei giovani al box office nella fase che li vedeva assoluti protagonisti, early adopters di un sistema di offerta potentissimo, entrato nel loro angolo di disponibilità.

Quelli erano anche gli anni in cui, invece, il contributo del pubblico adulto era in crescita.

Poi arriva la pandemia, con la sua discontinuità, e rimescola completamente le carte.

Ci fu un altro appuntamento che ci vide affiancati, il cui titolo era un interrogativo: Gli ultimi saranno i primi?
A fronte di questo trend che avevamo contribuito a fotografare — i giovani comunque stanno un po’ rallentando, sono importanti, gli adulti stanno consolidando il loro contributo — ci chiedevamo: ci ritroveremo in una situazione analoga nel post-riapertura?

La risposta è stata: no.

Mille volte abbiamo spiegato che, inizialmente, c’era un tema anche di cautele, di cui il pubblico adulto era maggiormente portatore.
Questo tema è stato completamente smarcato.

Nel frattempo — faccio breve — cosa è accaduto?
C’è stato un progressivo avvicinamento anche alle piattaforme da parte del pubblico adulto. Ma, nell’ultimo biennio, la quota più importante di neo-abbonati o di neo-user delle piattaforme è espressa proprio dal segmento adulto.
La fase “luna di miele” riguarda loro, e la loro domanda rispetto all’offerta delle piattaforme è tutt’altro che satura. Significa che ci pensano un po’ di più per andare a soddisfare un pezzo della loro domanda nel contesto delle sale cinematografiche.

Per i giovani è un po’ diverso.

Davide Dellacasa

Molti di loro hanno già visto tutto il vedibile del target, sono più in attesa del rilascio delle novità di turno.

Michele Casula

Le novità non sono così frequenti e, in molti casi, hanno un taglio neogeneralista; non voglio connotarlo, ma questo è un dato della crescita delle piattaforme. Probabilmente c’è un po’ meno innovazione di prodotto, ma comunque c’è una probabilità relativamente più bassa che un trentenne, nei rilasci del mese della piattaforma XY, non trovi qualcosa che rientri nei suoi interessi. Nella mia lettura, questo porta un pubblico sempre maggiore a considerare la sala come luogo delle novità, che settimanalmente offre un po’ di nuove opzioni. E quindi si finisce col dire: “Perché no?”, anche di fronte a una serie di titoli che, magari, non sono stati pensati come target principale per quel pubblico, ma che, alla fine, rientrano nel loro perimetro di considerabilità.

Questo è un pezzo di risposta a quello che dicevi prima, Pieriege. Ci arrivano perché ci si sta impegnando di più nell’andare in quella direzione, nel veicolare in modo diverso, nel fare delle promesse narrative anche nei confronti dei segmenti di pubblico più giovani. In parte c’è questo sforzo; si tratta anche di un segmento di pubblico tendenzialmente più proattivo nell’informarsi, e quindi, alla fine, di rimescolare le carte. Perché poi, quando andiamo a vedere la “valle dell’uscita”, cioè il profilo effettivo di chi ha scelto un determinato film, ci sono alcuni disallineamenti fra le assunzioni fatte prima del lancio e quello che emerge alla fine. Ma, come dire, è sano; vale per tutti i mercati. E fatemi dire, questa è una sottolineatura interessante, che da un po’ di anni il mercato ha uno strumento che consente di riflettere in modo più esposto sulle profilazioni, e quindi di lavorare sull’efficienza di processo nel porsi in maniera critica domande sul tuning crescente da guadagnare.

Con il pubblico, CinExpert porta con sé uno strumento che è aperto, in cui si lega la profilazione settimanale del pubblico, e in cui si raccoglie anche la valutazione dei film. Questo, per analogia, ispira ragionamenti sulle uscite, in quanto questo processo di incontro tra domande e offerte diventa più importante. Magari ciò che stiamo vedendo è in parte anche frutto di un mercato che affronta il tema della sintonia tra domanda e offerta con maggiore impegno.

Davide Dellacasa

Cambierò argomento, magari parto proprio da quello su cui hai chiuso. Non sulla risposta alla domanda precedente, ma sullo strumento, su CinExpert, il vostro lavoro, perché ormai non c’è puntata del podcast in cui non parliamo di intelligenza artificiale. Nelle ultime settimane ne abbiamo discusso anche sui social, almeno sul social che abbiamo in comune, su cui ci incontriamo, che è LinkedIn, dove tu hai fatto comunque un paio di interventi, ma soprattutto uno anche qui, su come l’intelligenza artificiale, che sappiamo avere in prospettiva un impatto più o meno remoto, possa influenzare il lavoro di tutti. Hai raccontato anche un po’ dell’impatto che inizia ad avere nel tuo ambito professionale. Poi c’è stata anche la coincidenza che io ero al Miccom a Londra e, tra le varie startup di intelligenza artificiale che presentavano, ce n’era anche una che si occupava di ricerche di mercato. Come vedi, io sono una persona vera o sono una persona virtuale?

Michele Casula

O sei il sosia digitale di Davide Dellacasa.

Davide Dellacasa

Sono già il sosia digitale di Davide Dellacasa.

Michele Casula

Qualcuno ha detto, ma senti, fai interagire.

Davide Dellacasa

Potremmo ancora dire “no, questo film non sa nessuno che esce perché mio figlio non lo sa”, oppure dovremmo dire “non lo sa, c’ha GPT”. Mettiamola così: non lo so.

Michele Casula

Ma senti, io mi sono un po’ preso in giro da solo con queste mie prese di posizione, nel senso che mi sono dato del neoludista. Il mio mestiere ha a che fare con cose molto simili a quelle che adesso vanno di moda etichettare come intelligenza artificiale da decenni, quindi saremmo davvero degli stupidi se mettessimo in discussione dei processi analitici che consentono, per esempio, di fare delle ipotesi, ragionando in base alle correlazioni, su quello che Tizio potrebbe pensare del tema X a fronte di tutta una serie di cose che so su quella persona. Non mi si chiamava così, ma ci sono in statistica dei meccanismi che consentono l’attribuzione di casi mancanti, eccetera. Tutto quello che è la potenza analitica legata all’uso dell’intelligenza artificiale si lega a strumenti preziosi, e anche quando ci si avvale di supporti di questo tipo per fare, per esempio, delle analisi retrospettive per capire se c’è relativa saturazione legata a determinati concetti o tematiche. La parte istruttoria che riguarda nuovi processi di greenlighting o il modo di comunicare determinati film già scelti di portare avanti si avvale dell’uso dell’intelligenza artificiale, però messa nelle condizioni giuste, di pescare dalle fonti giuste. Perché poi, anche chi se ne avvale, può arrendersi di fronte all’effetto black box, cioè si sa che da qualche parte ha pescato queste informazioni e si decide di fidarsi.

La richiesta è sempre difficile da fermare, nel senso che può arrivare il momento in cui lo step di affinamento porta, non dico al crollo del castelletto, ma a una sostanziale ridefinizione degli equilibri. Perlomeno a me è capitato più di una volta, anche di essere tratto in inganno dalla tendenziale assertività delle risposte, che forse è una delle cose che mi preoccupa di più dell’intelligenza artificiale. Si sta imparando a introdurre anche il tono dubitativo o certe cautele nella risposta. Però, appunto, io temo che una risposta ci sia sempre e tenda ad essere apodittica.

Ma arrivo a quello che mi lascia un po’ più perplesso. Mi lascia perplesso la millantata surroga dell’interrogazione di uno spettatore reale. È quello che vuole essere la stima del potenziale, la simulazione delle reazioni degli spettatori di fronte a dei materiali stimolo inerenti al film X. La surroga della visione stessa: dare in pasto un flusso video a un sistema di intelligenza artificiale e chiedergli quali sarebbero le reazioni del pubblico italiano rispetto a un prodotto di questo tipo, semplicemente perché, come vengono raccontati anche in momenti di pitch divulgativi, tutto si fonda nel mettere insieme tutta una serie di piccoli indizi digitali legati a cosa le persone pensano di un determinato tema. Forse si scorda che le pur tantissime tracce digitali che noi tutti lasciamo di quello che facciamo, di quello che pensiamo, rimangono un’espressione molto parziale del nostro sentire, del nostro vissuto. Talvolta è un po’ azzardato farsi bastare quello per poi costruire dei “source digitali” e dargli una personalità a tutto tondo.

Io sono terrorizzato dal fatto che qualcuno provi a farlo in base alle tracce digitali che lascio su certi “source”. Conosci anche la parte più leggera che manifesto su Facebook, ok? Non vorrei essere in chi dovesse provare a…

Davide Dellacasa

Non vorrei essere l’uomo che corre da fermo davanti al frigo.

Michele Casula

C’è stato anche un momento in cui ho corso davanti al frigo da fermo. Il mio “sosia digitale” deve essere sicuramente disturbato. Però, se qualcuno dovesse prendere decisioni in base all’aggregato di “source digitali” come quelli che salterebbero fuori, in base agli indizi digitali che lascio in giro…

Davide Dellacasa

Io… Comunque posso dire che non ho mai mantenuto fede alla promessa di mettermi da parte tutte le tue espressioni che adoro, però oggi mi sono segnato “baricentro anagrafico” perché la trovo bellissima. È una di quelle espressioni che meriterebbe approfondimenti per molti. E ho segnato anche “millantata surroga dell’interrogazione”, perché la surroga dell’interrogazione è sicuramente qualcosa che i miei figli vorrebbero, ma “millantata” sposta tutto un po’ il discorso.

Senti, prima di salutarci, una cosa veloce, appunto, riguardo al Miccom, ma anche riguardo a tante discussioni che abbiamo affrontato nel passato, anche qui sul podcast, e chiaramente a tanti dati che arrivano costantemente, ma che riguardano il panorama americano, globale, eccetera. L’abbiamo detto tante volte: YouTube è diventato il più importante canale televisivo planetario. Mi manca sempre, almeno a me personalmente, un po’ la dimensione italiana del fenomeno YouTube, che immagino, perché noi siamo un paese con un baricentro anagrafico più medio-alto. Se sono riuscito a usarla giusta, sono contento. Quindi immagino che da noi YouTube non sia più visto di Rai1, Rai2, Rai3, Rai4, Italia1, messi insieme. Però, anche da noi, quanto è importante YouTube e quanto è televisivo? Perché poi il tema di cui, ad esempio, anche al Micco, su cui si è tornati molto, è che YouTube è visto soprattutto in televisione, cioè la sua importanza si è spostata dall’essere una cosa che alcuni magari pensano essere limitata al telefono, al tablet o al computer, a essere fruito su televisione in modo significativo e importante. Da noi, senza darci numeri, perché so bene che fa parte di un tuo lavoro di ricerca, quindi sono piccoli regali che chiedo a me e a chi ascolta questo podcast.

Michele Casula

È un tema di metriche, nel senso che il consolidamento di YouTube anche nel mercato italiano è avvenuto nella parziale distrazione dei sistemi ufficiali di misurazione dei consumi digitali e dell’intrattenimento in genere. L’integrazione sta maturando adesso; siamo in una situazione in cui ogni player conosce benissimo i propri numeri, ma manca una visione d’insieme. Noi da tempo affidiamo grosse attività di campionamento che sollecitano ricostruzioni comportamentali degli italiani. Dedichiamo particolare attenzione ai consumi video e, attraverso questo strumento che si chiama Digital Trends, rileviamo quello che è il tasso di delinearizzazione dei consumi video. Una quota ancora importante di consumi video è affidata dal palinsesto, chiamiamolo così, e l’aggregato del consumo delinearizzato ormai, torno a sottolineare, nel dichiarato è maggioritario, e lo è anche nei segmenti adulti. È chiaro che le percentuali via via salgono man mano che ti sposti verso il basso, ma se ti interroghi su cosa c’è dietro la delinearizzazione, i vettori sono tre:

– Il mondo delle piattaforme alla Netflix, quello che gli addetti ai lavori chiamano il comparto SVOD (Subscription Video On Demand).
– La declinazione più tradizionale della PTV (Pay Television), con Sky, Now e il mondo delle offerte come RaiPlay, le piattaforme e i broadcaster video on demand.
– E infine, c’è tutto il mondo – lo banalizzo perché non è solo quello – dei video web nativi, ma c’è il regno di YouTube, il regno di Reeb, Company.

Questa terza componente è la più forte delle tre che ho evidenziato prima, anche se molto più frammentata. È più frammentata sia come penetrazione, sia come frequenza con cui le persone fruiscono di contenuti video attraverso quei touch point. Qui siamo sostanzialmente alla quasi coincidenza fra il bacino degli internettisti, e ormai sono dati che variano a seconda dei confini anagrafici, ma tra l’80% e il 90% degli internettisti fruiscono di contenuti, anche attraverso YouTube. Quando ci siamo ritrovati a commentare insieme dei dati, anche non italiani, che misuravano una serie di altri fenomeni in base al tasso di sovrapposizione con YouTube, quindi trasformavano YouTube in qualche modo in metro, facevano del cento di YouTube il punto di riferimento. Lo commentavamo dicendo che quel cento, alla fine, è quasi sovrapponibile al cento dell’insieme. Sicuramente è quasi coincidente con il centro degli internettisti e ormai lo scarto fra il centro rappresentato dall’insieme degli italiani è davvero piccolissimo. Già ora, quanto a trasversalità, ci sia un ridisegno di cos’altro veicolare attraverso quel potentissimo touch point è una sfida, perché poi è una sfida anche per tutti gli altri. Anche perché non siamo più ben oltre il tempo interstiziale, il tempo di trasferimento, il personal device. Vale anche per l’Italia l’aver guadagnato anche dignità di opzione da prima serata sui televisori principali, su percentuali che non sono quelle statunitensi. Però, in questo momento, nella distrazione dei sistemi di misurazione ufficiali, c’è già un presidio delle opzioni di intrattenimento degli italiani da parte di YouTube, che è assolutamente considerevole.

Davide Dellacasa

Bene, grazie. Posso dire che quando hai esordito dicendo “c’è un tema di parametri e misurazioni”, ho pensato: “Eccola là, che mi fa la supercazzola e non mi risponde”, invece mi hai risposto. E niente, insomma, ti ringrazio.

Michele Casula

Grazie a te, grazie a voi.

Davide Dellacasa

Esce questa settimana La città proibita di Gabriele Mainetti, un film a cui per tanti motivi vogliamo molto bene. A cominciare dal fatto che a me personalmente è piaciuto moltissimo, quindi vediamo come continuerà il trend del cinema italiano nelle sale. Intanto, grazie Michele e buona settimana a tutti.





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