Rifiuti, i nodi dietro lo stop all’IVA agevolata per lo smaltimento

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La legge di bilancio mette fine alle agevolazioni IVA per incenerimento e smaltimento in discarica, ma tra i Comuni c’è chi si oppone. E il gettito potrebbe non essere utilizzato per promuovere l’economia circolare


Smaltimento dei rifiuti, dal 2025 si cambia registro. Anzi, si cambia regime. Fiscale. Dopo poco più di trent’anni stop alle agevolazioni IVA per le principali forme di gestione dei rifiuti urbani e speciali che non prevedano alcuna forma di recupero e che per questo si pongono in contrasto con i principi dell’economia circolare. A partire dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, l’aliquota ridotta del 10% fin qui applicata alle tariffe per lo smaltimento in discarica e l’incenerimento senza recupero energetico verrà allineata a quella ordinaria del 22%, mettendo fine a una forma di sussidio ambientalmente dannoso introdotta per la prima volta nel 1994, censita dal Ministero dell’Ambiente nel catalogo dei SAD e la cui esistenza “nel 2024, quasi 2025, rappresenta quasi una follia”, ha commentato nei giorni scorsi la capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile Laura D’Aprile. L’obiettivo è quello di disincentivare le forme di gestione meno in linea con le direttive europee sull’economia circolare e accelerare il percorso dell’Italia verso i target al 2035: entro i prossimi dieci anni infatti non più del 10% dei rifiuti urbani dovrà essere smaltito o incenerito senza recuperare energia, mentre secondo ISPRA nel 2023 l’Italia era ancora sopra al 17%.

Nel quadro di un bilancio che mobiliterà circa 30 miliardi di euro, l’abolizione dell’IVA agevolata sullo smaltimento concorrerà ai 12,6 miliardi di nuove entrate fiscali. Stando alla relazione tecnica allegata alla manovra, l’intervento libererà un tesoretto da poco più di 148 milioni di euro. Come rilevato dalla Corte dei Conti nella relazione sulla legge di bilancio, tuttavia, si tratta di “un valore più contenuto rispetto a quello nel Catalogo SAD per il 2021”, che era stato calcolato dal MASE in 703,85 milioni di euro su circa 8 miliardi di IVA agevolata per finalità considerate dannose per l’ambiente. Anche secondo l’ufficio studi del Senato sulla cifra andrebbe fatta più chiarezza. “Al fine di poter valutare la correttezza della stima – si legge infatti nella nota di lettura alla legge di bilancio – appare necessario disporre dei dati relativi alle operazioni imponibili ai fini IVA dei soggetti la cui attività rientra nel campo di applicazione della norma”.

È la stessa Corte dei Conti a ricordare poi che l’abolizione dell’IVA agevolata “fa parte della Strategia sull’Economia Circolare“, riforma abilitante del PNRR adottata a giugno 2022. Come stabilito dagli ‘operational arrangements’ concordati con l’Ue, infatti, la SEC ha previsto una ampia revisione della fiscalità ambientale in materia di rifiuti “per fare in modo che il riciclo sia più conveniente di discarica e incenerimento su tutto il territorio nazionale”. La riforma però non sta marciando secondo il cronoprogramma stabilito e fin qui “non ha fatto registrare sviluppi di sorta”, come nota il dossier ‘L’Italia che Ricicla’ curato da Ref per Assoambiente. L’abolizione dell’IVA agevolata, ad esempio, avrebbe dovuto essere inclusa già nella legge di bilancio per il 2023, mentre entro il quarto trimestre dello stesso anno la cosiddetta ‘ecotassa’, il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti in discarica, avrebbe dovuto essere incrementata “di almeno il 50%”. Di quest’ultima misura, tuttavia, non c’è ancora traccia né si sa se e quando sarà proposta dal MASE.

A concorrere ai ritardi, oltre alle tutt’altro che felici congiunture economiche degli ultimi anni, anche l’ostilità di molti amministratori locali, che soprattutto nei Comuni più in ritardo con la differenziata e meno dotati di impianti di recupero di prossimità sarebbero costretti a ribaltare gli eventuali incrementi dell’ecotassa, e i prossimi aumenti delle tariffe di smaltimento causa revisione dell’IVA, sulla già salatissima TARI. Non devono quindi sorprendere le critiche all’abolizione del regime agevolato mosse da ANCI Sicilia, che ha paventato un “impatto dirompente sulle casse dei nostri comuni”, visto che nel 2023 la regione ha smaltito in discarica il 34% dei propri rifiuti urbani, pari al 16% di tutti i rifiuti smaltiti a livello nazionale. Ben lontano dal tetto massimo del 10% che l’Ue chiede di raggiungere entro il 2035.

Accanto ai dubbi sollevati da Corte dei Conti e Senato sul metodo di calcolo delle nuove risorse generate dall’adeguamento dell’IVA, resta poi l’incognita sulla loro effettiva destinazione. Come ricorda la Corte dei Conti, infatti, la SEC prevede che le somme vengano “riassegnate al fondo per la promozione di interventi di riduzione e prevenzione della produzione di rifiuti e per lo sviluppo di nuove tecnologie di riciclaggio e smaltimento”. Stando allo stato di previsione del MASE allegato alla manovra, però, questo non è ancora avvenuto, visto che la dotazione del fondo per il prossimo triennio è indicata in 28,8 milioni di euro, solo 5,5 in più rispetto alla scorsa legge di bilancio.

In una manovra dai margini risicatissimi, non è da escludere insomma che i maggiori introiti derivanti dal nuovo regime IVA siano stati spostati su altri capitoli di spesa. Che lo stop alle agevolazioni, più che per promuovere l’economia circolare, serva quasi esclusivamente a fare cassa. Del resto, come riporta Ref nel rapporto ‘L’Italia che Ricicla’, nel 2023 “a fronte di un totale di 58,9 miliardi di euro raccolti grazie alle imposte ambientali, appena 9,8 miliardi sono stati allocati a finalità ambientali”. Secondo lo studio, destinare appena l’1% dei 49 miliardi residui al finanziamento di misure come IVA agevolata e credito d’imposta per l’acquisto di materiali e prodotti riciclati, “vorrebbe dire assicurare un sostegno annuo al riciclo di oltre 490 milioni di euro, a parità di saldi finanziari per le finanze pubbliche”. Una opzione a portata di mano, ad esempio, avrebbe potuto essere quella di rifinanziare il credito d’imposta del 36% introdotto dalla legge di bilancio 2023 per l’acquisto di prodotti realizzati con materiali da riciclo derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti. Costo per il biennio 2023 e 2024? Appena 10 milioni di euro.





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