Ue, innovazione in gabbia? Ecco cosa frena le imprese e come risolvere

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In Europa il dibattito su come favorire l’innovazione per rendere l’economia del continente più ricca, autonoma e sostenibile è molto forte. La tesi più diffusa è che con maggiori investimenti in startup, digitalizzazione e tecnologia, tramite incentivi fiscali e finanziamenti pubblici, si possano ottenere migliori risultati in termini di innovazione e crescita economica.

Questa è stata, ad esempio, la principale affermazione della stampa in merito al dettagliato rapporto di Mario Draghi sulla competitività dell’Europa: la necessità di ulteriori 800 miliardi di euro di investimenti, soprattutto pubblici, all’anno.

In questo articolo si propone un approccio diverso, che analizza invece la questione a partire dai meccanismi di organizzazione e regolamentazione del mercato del lavoro, sottolineando come le imprese europee debbano essere messe in condizione di gestire i processi di innovazione, assunzione di rischi, successo, fallimento e riorganizzazione, in modo più dinamico e agile.

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In effetti, il dinamismo e l’efficienza sono evidenti nella grande industria dei giganti tecnologici statunitensi, che guidano le arene dell’innovazione, dominano i mercati più redditizi, acquisiscono le migliori startup, mantengono un’alta produttività del lavoro, pagano salari elevati e generano un’economia fiorente che così si auto alimenta.

Seguendo questa logica, si vuole dimostrare come la regolamentazione del lavoro e l’organizzazione del mercato svolgano probabilmente un ruolo sottovalutato nello spiegare il ritardo dell’Europa nel settore tecnologico. Infine, verranno suggerite nuove proposte per consentire alle aziende tecnologiche europee di innovare più rapidamente e con meno rischi, pur rimanendo all’interno del modello sociale europeo.

Queste proposte saranno inoltre particolarmente utili per gestire l’impatto delle nuove tecnologie AI sul mercato del lavoro.

Tech company e differenze di produttività e innovazione tra Ue e Usa

I dati sulla produttività in Usa mostrano una forte crescita della produttività del lavoro negli ultimi anni, molto maggiore rispetto a quanto avvenuto in Europa.

Fonte: Bureau of Labour Statistics

Questo aumento di produttività è stato trainato dal settore dei servizi, in particolare tech, che si è rapidamente riposizionato dopo il Covid, a differenza del settore manufatturiero tradizionale che ha mantenuto sia in Usa che in Europa andamenti abbastanza simili.

Anche gli investimenti del settore pubblico e in R&S in settori tradizionali non differiscono in modo significativo tra gli Stati Uniti e l’Europa, con circa 400 miliardi di euro all’anno su entrambe le sponde dell’Atlantico, mentre la differenza nel settore privato tecnologico è enorme e in crescita (300 miliardi di euro negli Stati Uniti contro 54 miliardi in Europa). Pertanto, non sembra che maggiori investimenti pubblici siano la chiave per recuperare il ritardo.

Una delle tesi fondamentali per spiegare la differenza produttività e di investimenti in innovazione tra Europa e Stati Uniti, presentata nel Rapporto Draghi, indica la maggiore diffusione di campioni tecnologici negli Stati Uniti, nati negli ultimi 30 anni, che in Europa faticano ad emergere.

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In effetti, oltre l’80% degli investimenti privati del settore tecnologico statunitense proviene da grandi gruppi tecnologici, ciascuno con un budget in R&S di almeno 100 milioni di euro all’anno che può arrivare per alcuni fino a 50 miliardi di euro all’anno, un importo equivalente al bilancio della Difesa di un grande Paese europeo.

Queste aziende raccolgono rapidamente capitali, li investono ad alto rischio, falliscono rapidamente, licenziano grandi team e riassumono competenze diverse, acquisiscono nuove startup, spesso falliscono di nuovo, alla fine crescono rapidamente e ottengono grandi profitti, oppure cambiano rapidamente strategia se qualcosa non funziona attraverso un processo costante di tentativi ed errori su mercati imprevedibili e non collaudati.

Sembra quindi che la mancanza di investimenti privati nell’innovazione tecnologica europea non derivi da una minore propensione al rischio, ma dall’incapacità di coltivare e far crescere grandi campioni tecnologici continentali in settori ad alta innovazione. Le imprese tecnologiche sono infatti volatili e imprevedibili e circa l’80% dei progetti tecnologici delle grandi aziende fallisce. In Europa quindi la mancanza di grandi imprese tecnologiche, visti gli alti costi di fallimento, soffoca la redditività degli investimenti ad alto rischio.

Perché non sono nate le big tech in Europa? il ruolo della regolazione del lavoro

Come mostrato in questo articolo, pubblicato a settembre dall’Università Bocconi, le leggi sulla tutela dei lavoratori cambiano drasticamente tra Europa e Stati Uniti e rendono i processi di ristrutturazione molto più lenti e costosi per le aziende europee.

Mentre le grandi aziende tecnologiche statunitensi possono infatti assumere e licenziare decine di migliaia di persone in pochi mesi nei loro processi di crescita e innovazione, le grandi aziende europee devono affrontare processi di ristrutturazione lenti, lunghi e costosi per fare lo stesso, e quindi esitano a investire in settori ad alto rischio come quello tecnologico.

Uno dei fattori di competitività ancora poco discussi è quindi il rapporto tra la flessibilità del mercato del lavoro statunitense rispetto alla maggiore rigidità del mercato del lavoro europeo, e l’impatto che questo fattore ha sulla redditività, sull’assunzione di rischi e sul dinamismo dei programmi di innovazione radicale, e di conseguenza sulla propensione delle aziende e degli operatori finanziari a investire nell’innovazione tecnologica in Europa, un settore ad alto rischio, con frequenti fallimenti e alte ricompense.

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L’impatto della regolamentazione del lavoro sul meccanismo con cui le grandi aziende investono influisce non solo sui programmi di innovazione delle grandi aziende europee, ma probabilmente anche sull’atteggiamento nei confronti dell’acquisizione di startup nate in Europa, che quindi non riescono a trovare un mercato, né clienti né finanziamenti, e sono spesso costrette a trasferirsi negli Stati Uniti.

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Un mercato del lavoro troppo burocratico e frammentato

Un altro limite emergente per le aziende tecnologiche europee è la frammentazione del mercato del lavoro europeo in 27 mercati del lavoro nazionali, con diversi sistemi di regolazione.

Questo fattore obbliga le aziende europee ad affrontare notevoli costi amministrativi e complessità nell’assumere rapidamente lavoratori tech, da remoto e nomadi digitali.

Questo riduce anche la possibilità di costruire un “bacino di talenti europeo” ed è un ulteriore limite rispetto alle aziende tecnologiche americane che possono raccogliere competenze da un mercato del lavoro di circa 170 milioni di persone, oltre a quelle che attraggono da tutto il mondo, e allo stesso tempo essere in grado di adeguare rapidamente il personale in aree in cui l’innovazione non funziona e i progetti falliscono.

Questa flessibilità organizzativa porta a profitti e compensi elevati. Lo stipendio mediano di Meta è di 300.000 USD, per una forza lavoro di 80.000 dipendenti. Questo ambiente attrae anche talenti da tutto il mondo, che vengono rapidamente inseriti in posizioni di leadership. Ci sono infatti numerosi esempi di CEO e manager internazionali alla guida delle più grandi aziende tecnologiche statunitensi.

Come sostenere, quindi, le grandi aziende europee a competere con quelle statunitensi, che sono molto più veloci ed efficaci nel raccogliere investimenti, trovare i migliori talenti, esplorare le frontiere dell’innovazione, cambiare rapidamente rotta quando necessario, assumere e licenziare i propri collaboratori e acquisire startup rischiose per i propri progetti di innovazione?

Flexsecurity per i dipendenti altamente qualificati del settore tecnologico

L’Europa non ha bisogno di importare il “brutale” modello sociale americano per rilanciare l’innovazione radicale. L’istruzione gratuita, l’assistenza sanitaria, la generosa protezione dalla disoccupazione e i sistemi pensionistici europei non incidono in modo significativo sull’assunzione di rischi o sulle decisioni di investimento, ma al contrario favoriscono la coesione sociale e la stabilità politica, contribuendo così all’attrattiva dell’Europa per gli investitori.

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Solo il costo dell’insuccesso soffoca la redditività dell’innovazione radicale. In secondo luogo, l’innovazione tecnologica non impiega colletti blu o colletti bianchi senza una solida formazione, che insieme rappresentano ancora la grande maggioranza della forza lavoro europea. Pertanto, anche riforme limitate possono essere sufficienti a rendere redditizi gli investimenti ad alto rischio, concentrati sul segmento di popolazione altamente retribuito, ad esempio al di sopra dei 50.000 euro l’anno di retribuzione, che corrisponde a meno del 10% della popolazione occupata.

Danimarca e Svizzera per esempio impongono vincoli limitati o nulli alle decisioni delle imprese di licenziare i dipendenti. Hanno ancora un modello sociale europeo con sussidi di disoccupazione generali e solidi sistemi di formazione. Modelli simili, applicati solo a dipendenti ben remunerati, che hanno ricevuto un’istruzione elevata e non devono affrontare la disoccupazione di massa, potrebbero essere implementati negli altri Paesi europei per rilanciare gli investimenti nel settore tecnologico.

Flexstability e imprese digitali a piattaforma

Il meccanismo di flexsecurity potrebbe inoltre essere combinato con l’introduzione di un nuovo contratto di lavoro di settore, sulla scorta di quello recentemente approvato in Italia, anche per le aziende europee che promuovono progetti di innovazione.

Il nuovo contratto sarebbe basato sul concetto di flexstability e incardinato in una nuova forma di impresa digitale come nuovo oggetto organizzativo, tecnologico e giuslavoristico.

Una forma di impresa che si distingue per minori livelli gerarchici, team indipendenti, quasi mercati interni, autonomia diffusa e un intreccio di piattaforme che risulta più adatta della tradizionale organizzazione del lavoro, composta da ruoli rigidi, funzioni, certificazioni, burocrazia e controlli centralizzati, nel supportare i percorsi tortuosi dell’innovazione.

Il contratto di lavoro proposto, pur mantenendo maggiori tutele sociali e rigidità all’uscita dei lavoratori rispetto alle aziende americane, cinesi e indiane, si differenzierebbe per una maggiore flessibilità nel corso del rapporto di lavoro all’interno dell’azienda, facilitando la mobilità interna e l’adattamento dei compensi, fornendo ai lavoratori incentivi più chiari per il raggiungimento degli obiettivi di innovazione e per l’aggiornamento delle competenze.

Il meccanismo delle piattaforme consentirebbe inoltre l’introduzione di regole algoritmiche automatiche, stabili e trasparenti, che permetterebbero alle aziende di cambiare rapidamente i piani di investimento, riducendo i tempi e i costi di ristrutturazione, accelerando il trasferimento di alcuni dipendenti da un’attività in declino a una in crescita, adattando i compensi di altri dipendenti durante i processi di licenziamento collettivo e offrendo ai lavoratori un maggiore equilibrio durante le transizioni di carriera.

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Per consentire alle grandi aziende tecnologiche di riorientarsi rapidamente da un progetto fallito a uno promettente, il nuovo sistema non impedirebbe più alle aziende di assumere durante e dopo un processo di licenziamento collettivo.

La piattaforma consentirebbe alle aziende di trasferire rapidamente i team interni con le competenze adeguate, e l’azienda potrebbe integrare la forza lavoro dei nuovi progetti con assunzioni esterne, prendendosi il tempo necessario per seguire i consueti processi di licenziamento collettivo per il ridotto numero di team che non potranno ricollocarsi autonomamente all’interno o all’esterno dell’azienda, accedendo quindi ad un meccanismo di flexsecurity meno costoso per le finanze pubbliche.

Questo nuovo meccanismo consentirebbe, entro certi limiti, di far fluttuare la retribuzione totale dei lavoratori – più alta nelle fasi di espansione e più bassa nelle fasi di ristrutturazione – fornendo al contempo incentivi, strumenti e informazioni sui percorsi di riqualificazione e aggiornamento utili sia ai lavoratori che alle aziende.

Allo stesso le imprese digitali a piattaforma potrebbero anche includere rapidamente startup e gruppi di lavoro esterni in ecosistemi integrati di innovazione, digitali, fluidi, basati su progetti, obiettivi e dati.

Come trasformare la regolazione del lavoro?

Il presidio e la definizione degli algoritmi che supporterebbero il management nel governare le fasi espansive e di contrazione delle aziende sarebbero disegnati e supervisionati da tutti gli shareholder e stakeholder delle imprese, e una volta definiti potrebbero essere applicati in modo rapido e automatico.

La trasformazione della regolamentazione del lavoro nel settore dell’innovazione richiede infatti un ruolo attivo da parte dei sindacati e delle istituzioni nel perseguire l’innovazione e la produttività. I sindacati, in particolare, potrebbero spostare la loro attenzione dalla protezione dei lavoratori nei momenti “critici” all’impegno coerente e attivo nell’organizzazione del lavoro, con l’obiettivo di prevenire i problemi piuttosto che reagire ad essi, attraverso un dialogo costante con il management, gli investitori e le parti interessate.

Il nemico per management, sindacato e stakeholder non sono infatti i progetti che falliscono, ma burocrazia e ritardi che impediscono alle aziende europee di sviluppare migliori capacità interne e di reagire rapidamente alle necessità di mercato.

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L’altro nemico del lavoro che abbiamo citato sono le barriere del mercato del lavoro dell’innovazione fra stati, settori, ruoli e funzioni spesso alimentate da albi, certificazioni, regolamenti e comitati, inevitabilmente incapaci di tenere il passo con la velocità dell’innovazione.

Questa seconda questione richiede un’azione da parte dei legislatori nazionali ed europei per modificare la legislazione e creare un mercato del lavoro europeo unico per l’innovazione, collegandosi alla recente petizione EU inc e costruendo un 28° regime anche per il mercato del lavoro.

L’insieme delle misure proposte consentirebbe all’Europa e alle sue imprese di attrarre investitori e di sfruttare lo straordinario bacino di talenti e competenze del continente.

Pur nella complessità delle politiche per favorire l’innovazione pensiamo che una maggiore attenzione alla regolazione e organizzazione del lavoro sia infatti necessaria e decisiva per vincere la partita dell’innovazione, al pari di quanto il costo dell’energia o delle materie prime sono strategici per le aziende che competono nei settori tradizionali.

Il prossimo impatto dell’Ai premierà infine quelle aziende che saranno in grado di ridisegnare processi e riorganizzarsi in modo flessibile, combinando in modo nuovo il contributo umano con nuovi team di agenti e robot intelligenti.



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