Il 2025 vedrà alle urne gli abitanti di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Una tornata amministrativa che vale il polso di sei regioni, che contano circa 20 milioni di abitanti, ma che non ha ancora una data definita, sembra tra settembre e ottobre (ma è possibile anche uno slittamento alla primavera del 2026, come invocato dal vicepremier Matteo Salvini, una data che permetterebbe all’attuale governatore veneto Luca Zaia di accendere la torcia delle Olimpiadi Milano-Cortina), forse anche in un election day, in abbinata con le comunali. Sei Governatori da scegliere, tra nuove e vecchie (soprattutto vecchie) proposte, con due situazioni particolari, Veneto e Campania, vuoi per la consistenza demografica (entrambe regioni intorno ai 5 milioni di residenti), vuoi per l’eccezionalità dei presidenti uscenti, Zaia e De Luca, entrambi in teoria impossibilitati a proseguire il mandato per raggiunti limiti di mandato consecutivo (secondo una legge del 2004).
Ad oggi sono cinque le Regioni con il medesimo presidente in carica da due mandati (Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Puglia e Campania), e in alcune di queste anche la legislazione regionale prevede il limite dei due mandati. Ma in Campania, Puglia e Liguria la legge regionale non lo prevede, e le cose si complicano, anche perché la conferenza delle regioni ha già proposto al parlamento di modificare la legge aumentando il limite a tre mandati. Tre mandati già raggiunti da Luca Zaia in Veneto, dove nel 2012 la sua prima giunta approvò sì una legge elettorale regionale col limite dei due, ma prevedendo che quel limite si applicasse esclusivamente ad incarichi ricoperti dopo l’approvazione della legge stessa.
La situazione, insomma, è tutt’altro che chiara, e molti ritengono che il limite dei due mandati sancito con legge nazionale non sia effettivamente applicabile, se non altro per quelle regioni che non hanno disciplinato la materia. Dopo il Veneto, anche Campania, Liguria e Puglia hanno varato leggi regionali elettorali senza specificare limiti ai mandati, leggi che però sono state promulgate in date successive a quella dell’approvazione della legge quadro del 2004. Da qui le incertezze che stanno caratterizzando la lunga roadmap verso le urne, tra le posizioni che contestano i limiti imposti solo per sindaci e presidenti di regione e non per membri del governo, parlamentari (europei e nazionali) o consiglieri regionali o comunali, e chi sottolinea che sindaci e presidenti di regione sono gli unici incarichi monocratici al vertice di un organo politico esecutivo ad elezione diretta, con poteri vasti e, a lungo termine, a rischio di derive potenzialmente pericolose.
Il governatore del Veneto, comunque, tira dritto. “Se il governo dovesse impugnare la legge della Regione Campania sul terzo mandato, non sarebbe una pietra tombale – ha detto Zaia, che da novembre espone in libreria il suo ultimo lavoro “Autonomia – la rivoluzione necessaria” -. A quel punto dovremmo capire cosa dirà la Corte costituzionale, che potrebbe anche aprire un vaso di Pandora sulla costituzionalità o meno del blocco dei mandati. Per ora, non perdo il sonno, continuiamo ad amministrare. È legittimo che tutti possano avere aspettative e chiedere il Veneto, significa che siamo molto attrattivi per la politica, ma se qualcuno dovesse imporre un candidato, magari non particolarmente gradito agli elettori, non ci sarebbe la doverosa attenzione ai cittadini”.
E qui si entra nel vivo della questione-Veneto. Se si contabilizzano i dati delle elezioni politiche del 2022, emerge che Fratelli d’Italia ha totalizzato 821.583 voti, pari al 32,7%, e la Lega 365.190, pari al 14,5%, con Forza Italia al 7% (centrodestra al 56,3%), mentre il Pd ha avuto 409.001 voti, pari al 16,3% (centrosinistra al 23%). Le amministrative, ovviamente, sono altra cosa, e richiedono presenze e reputation territoriali ben diverse. Numeri alla mano, però, è abbastanza evidente che FdI abbia motivo di rivendicare la presidenza (specie dopo i recenti flop elettorali del Carroccio), almeno nel caso che Zaia non possa più essere confermato, e sta già facendo fare preriscaldamento all’europarlamentare vicentina Elena Donazzan e al senatore di Pieve di Cadore Luca De Carlo, presidente della Commissione Agricoltura del Senato e coordinatore veneto di FdI.
“Alle europee il partito ha ottenuto il 37,5% dei voti in Veneto – ha detto il senatore Raffaele Speranzon -, un risultato senza precedenti. Non siamo noi a rivendicare il Veneto, ma sono i veneti a indicare con il loro consenso chi li rappresenta”. La Lega, comunque, a priori non ci sta, e il segretario Salvini, annunciando che non si asterrà in Consiglio dei ministri sulla decadenza della legge elettorale campana pro De Luca, ma dicendo allo stesso tempo che “dire di no a De Luca non vuol dire smettere di ragionare su altri piani”. Ed è già tempo di fantapolitica. Se il centrodestra non dovesse trovare la quadra, c’è chi ipotizza la Lega più liste civiche dei sindaci e una Lista Zaia in corsa contro il centrosinistra e il duo FdI-FI (con i forzisti che oggi spingono per una candidatura di Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e già candidato alla Regione nel 2015). Follia? Può essere, ma un recente sondaggio di Quaeris con Italypost per VeneziePost (riportato dal Corriere del Veneto) sostiene che il blocco leghista totalizzerebbe il 35%, il centrosinistra 29,5 e FdI-FI ferme al 16%.
In tutto ciò, è lecito chiedersi: il centrosinistra che fa? Apparentemente sta a guardare, con solo un’ipotesi di candidatura emersa nelle ultime settimane: quella di Andrea Crisanti, microbiologo e attuale senatore del Pd, giunto ad una certa notorietà durante l’emergenza Covid. Ma è ancora in fieri l’eventuale coalizione: nelle schede quali saranno i simboli accanto a quello del Pd? Le incertezze stanno smontando ogni possibilità di campo largo, mentre Elly Schlein sa di dover scegliere se allearsi con i 5 Stelle o con i moderati.
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