A me il Veneto oggi, a voi la Lombardia domani. FdI si fa beffe del baratto di Salvini

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Raccontano che quando ha sentito la proposta, Giorgia Meloni si sia fatta una grossa risata: “Ma che c’hanno presi pe’ fessi?!”. Anche Antonio Tajani non si è trattenuto: “Più che un’idea per risolvere il problema, sembra una boutade”. A scatenare l’ilarità della premier e del capo di Forza Italia è l’ultima trovata di Matteo Salvini. Il segretario della Lega, pur di incassare il sì di Meloni a un candidato del Carroccio in Veneto, ha fatto balenare la possibilità di un baratto: a me la guida della Regione del Nord-Est, a te la Lombardia. Una proposta che da una parte è una presa d’atto dei nuovi rapporti di forza in Padania e dintorni, dove i Fratelli d’Italia viaggiano oltre il 30% e dove la Lega governa – nonostante abbia ormai meno della metà dei voti – in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trento e, appunto, la Lombardia. Ma dall’altra suona, per FdI, come un’autentica presa in giro. “Sembra Totò-truffa o il gioco delle tre carte”, sibila un colonnello meloniano.

Tanta diffidenza e tanto scherno hanno fondamenta solide. In Veneto si dovrebbe votare il prossimo autunno (assieme a Campania, Toscana, Puglia, Marche, Valle d’Aosta), se non scatterà il rinvio chiesto da Salvini al 2026 in nome delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina (ipotesi improbabile). In Lombardia, invece, il leghista Attilio Fontana è blindato fino al 2028. Fin dopo le elezioni nazionali in programma nel settembre 2027. “Un’era geologica durante la quale tutto può succedere e qualsiasi accordo potrebbe diventare carta straccia”, dice il coordinatore del Veneto di FdI, il senatore Luca De Carlo.

Insomma, il “pagherò” di Salvini è destinato a essere respinto dagli alleati. Così il capo della Lega, stretto alla gola dal governatore Luca Zaia e dai suoi, in queste ore sta facendo filtrare la minaccia di far correre da sola la Lega in Veneto. Di più: i suoi fanno sapere di lavorare già a un accordo, in quella Regione, con Italia viva di Matteo Renzi e con Azione di Carlo Calenda. Ai due partitini centristi se ne potrebbero aggiungere altri: la Dc, le liste indipendentiste e autonomiste (Noi Veneto, Indipendenza Veneto)  e soprattutto la lista civica sponsorizzata da Zaia. “Noi siamo nel centrodestra, ma la nostra riserva aurea sono 159 sindaci, 1.200 amministratori locali, 350 sezioni. Tant’è, che alle Comunali abbiamo vinto a Bassano, Monselice, Portogruaro anche senza i nostri alleati”, annota e minaccia il vicesegretario leghista Alberto Stefani, in predicato di essere candidato governatore al posto di Zaia se al Doge verrà impedito di correre (epilogo probabile) a causa del divieto al terzo mandato.

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Parole e concetti che in via della Scrofa, il quartier generale di FdI, non hanno preso bene. Tant’è, che Meloni ha dato mandato al coordinatore regionale, Luca De Carlo, di avvertire Salvini: “Uno strappo in Veneto, sarebbe inevitabile, avrebbe conseguenze anche a livello nazionale. Basta con il tatticismo esasperato e con queste boutade. In Veneto alle europee FdI ha preso il 37,6%, il triplo dei voti incassati dalla Lega”. Dunque, per dirla con il nuovo capogruppo alla Camera di FdI, Galeazzo Bignani: “Si procederà a un ricambio generazionale”. Traduzione: via Zaia e avanti un Fratello da scegliere tra il ministro padovano Adolfo Urso, l’eurodeputata Elena Donazzan e lo stesso De Carlo.

Zaia, però, non ha ancora alzato bandiera bianca, né intende alzarla. E anche se oggi pomeriggio il governo, come appare scontato, metterà nero su bianco un nuovo “no” al terzo mandato, opponendosi presso la Corte costituzionale alla legge varata in Campania da Enzo De Luca per aggirare il limite delle due legislature, il Doge non si dà per vinto. Primo, perché “ci vorranno dieci mesi prima che la Consulta si esprima…”. Secondo, perché “non è detto che la Corte accolga il ricorso del governo contro la legge regionale della Campania. Anzi, potrebbe aprire il vaso di Pandora sulla costituzionalità o meno del blocco dei mandati”. Difficile.

Di certo, c’è che il terzo mandato non piace neppure all’amico di Salvini, Roberto Vannacci: “Dieci anni di governo sono sufficienti”: E che in questa partita Meloni ha un’alleata inaspettata: Elly Schlein, al pari della premier, spera che la Consulta bocci la legge di De Luca. Così, alle regionali campane, la leader dem non avrebbe la spina nel fianco dello Sceriffo: Elly già l’ha messo da parte, ma De Luca è pronto a correre contro il suo partito se i giudici costituzionali gli dovessero dare ragione. Esattamente come Zaia contro Meloni e Tajani. Ironie della politica.



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