L’Europa del green condanna a morte anche il cotone

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 A petto nudo sul campo da tennis; biancheria intima bandita; via anche il sogno di sostituire l’abito da lavoro, evitando di utilizzare la lana del mese di agosto. Sembra una barzelletta, ma non è così. Un lungo servizio pubblicato da Ticino on line, con intervista annessa a uno dei maggiori esperti europei del settore tessile, Tobias Herzog, amministratore delegato di Tailorlux, svela il segreto di un altro suicidio collettivo in cui gli euro/eco burocrati dell’ Unione europea si sono impegnati a dare il peggio. Entro il 2050 tutti gli indumenti in cotone saranno messi al bando (ovviamente quelli prodotti in Europa) ma il veto potrebbe produrre danni con venti anni di anticipo e decretare la crisi globale dell’industria tessile, abbigliamento e moda, già a partire dal 2030.

Il giornale svizzero online cita dati inoppugnabili: da un lato la Comunicazione del 2022 sulla Strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari, quindi il Regolamento Ecodesign approvato nel dicembre 2024 che introduce norme che cambiano il modo in cui i prodotti tessili vengono progettati, realizzati e distribuiti. Tra le novità c’è anche il divieto di distruzione degli abiti invenduti, una pratica comune nel fast fashion, spesso criticata per il suo impatto ambientale. Secondo le stime della Commissione europea, questa misura può ridurre di milioni di tonnellate i rifiuti tessili prodotti annualmente.

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Se gli industriali svizzeri si dicono molto preoccupati, nonostante la Confederazione non aderisca all’Unione europea, possiamo immaginarci cosa ne penseranno (una volta che se ne saranno accorti e avranno verificato l’effettiva entità del rischio) tutti gli operatori europei del tessile, destinati a seguire il destino dell’automotive, dell’industria energetica e di tutti i settori in cui il green deal (non dimentichiamo le navi) è riuscito a infierire.

Solo il 20% del cotone puo’ essere riciclato

Obiettivo dichiarato della UE è quello di favorire “l’industria circolare” prevedendo che «entro il 2030 tutti i prodotti tessili immessi sul mercato» siano «durevoli e riciclabili, in larga misura costituiti da fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente». E il cotone non circola.

Il problema si pone col cotone, tessuto più diffuso e che non soddisfa i nuovi requisiti fissati dall’UE: solo il 20% degli indumenti di cotone potrà essere riciclato senza compromettere «il comfort dei nuovi prodotti». Questo, con buone probabilità, porterà alla sua scomparsa su larga scala addirittura «entro il 2030». Ma il 43% dei prodotti tessili in Europa è di cotone.

Secondo Harald Junker dell’Agenzia federale tedesca per l’ambiente, citato da Ticino on line, «bisogna trovare un materiale che, a parità di proprietà d’uso, provochi un minore impatto ambientale e sia in grado di soddisfare la domanda” .

Senza contare le tonnellate di magliette, mutande e pantaloni che arrivano dalla Cina (questi sono circolari nel senso che comunque circolano liberamente per vie parallele) i talebani della UE sostengono che il consumo di capi di abbigliamento e calzature dovrebbe aumentare del 63 % entro il 2030, passando dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni di tonnellate nel 2030 e sottolineano come ogni anno nell’UE vengano buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ossia circa 11 kg a persona  e, a livello mondiale, ogni secondo l’equivalente di un camion carico di materiali tessili è collocato in discarica o incenerito. E gli europei sono doppiamente colpevoli. L’abbigliamento rappresenta la quota maggiore del consumo di prodotti tessili dell’UE (81 %) , la tendenza a utilizzare capi di abbigliamento per periodi sempre più brevi prima di buttarli via è la prima causa di modelli insostenibili di sovrapproduzione e di consumo eccessivo. Questa tendenza nota come “fast fashion” o “moda rapida” – spinge i consumatori a comprare capi di abbigliamento di qualità inferiore e prezzi più bassi, prodotti rapidamente in risposta alla moda del momento. E qui si pone il problema dell’ambiente, ma anche del lavoro femminile, del lavoro minorile ecc ecc.

Sono le fibre virtuose oppure gli abiti vecchi

La Comunicazione Ue sostiene che entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura costituiti da fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente. Con Biancaneve e forse anche i sette nani in passerella nelle sfilate di moda.

Dalla valutazione iniziale della Commissione è emerso che tra questi prodotti dovrebbero figurare, ad esempio, i tessili per uso personale e per la casa, i tappeti e i materassi. L’elenco definitivo sarà stabilito sulla base di una consultazione, che sarà avviata entro la fine del 2022, in vista dell’adozione del primo programma di lavoro nell’ambito del regolamento sulla progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili.

La distruzione delle merci invendute o rese, compresi i capi di abbigliamento, – si afferma nella Comunicazione del 2022- è uno spreco di valore e di risorse. Per scoraggiare questa pratica, nel quadro del regolamento sulla progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili, la Commissione propone un obbligo di trasparenza che impone alle grandi imprese di rendere pubblico il numero di prodotti che buttano e distruggono, compresi i tessili, e il loro ulteriore trattamento ai fini della preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, incenerimento o collocamento in discarica. Previ il conferimento di poteri a norma del regolamento proposto e un’apposita valutazione d’impatto, la Commissione introdurrà anche divieti di distruzione dei prodotti invenduti, compresi, se del caso, i tessili invenduti o resi.

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La moda etica deve inchinarsi al green

Per garantire la coerenza con questo nuovo atto legislativo, la Commissione riesaminerà anche il regolamento relativo all’etichettatura dei prodotti tessili  secondo il quale i tessili venduti sul mercato dell’UE devono recare un’etichetta che descriva chiaramente la composizione fibrosa e indichi eventuali parti non tessili di origine animale. Nell’ambito di tale riesame e previa una valutazione d’impatto, la Commissione introdurrà l’obbligo di comunicare altri tipi di informazioni, quali i parametri di sostenibilità e circolarità, le dimensioni dei prodotti e, se del caso, il paese terzo in cui si svolgono i processi di fabbricazione (“made in”). Nel contesto delle proposte di cui sopra, la Commissione valuterà anche la possibilità di introdurre un’etichetta digitale.

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Le nuove regole dell’Unione garantiranno che i consumatori ricevano, presso il punto vendita, informazioni su una garanzia commerciale di durabilità nonché informazioni pertinenti sulla riparazione, compreso un indice di riparabilità, ove disponibile. Le autodichiarazioni ambientali generali, quali “verde”, “ecocompatibile”, “rispettoso dell’ambiente”, saranno autorizzate solo se corroborate da un’eccellenza riconosciuta in materia di prestazioni ambientali, in particolare sulla base dell’Ecolabel UE, delle etichette ambientali di tipo I o della legislazione unionale specifica pertinente per la dichiarazione.

Ma le green follie non si fermano qui: Le specifiche vincolanti di progettazione di tessili sostenibili e circolari che saranno introdotte nel quadro del regolamento sulla progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili estenderanno la durata di vita dei capi di abbigliamento e, insieme alle nuove norme sulla responsabilità estesa del produttore ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti, diventeranno il punto di partenza per un nuovo paradigma di alternative interessanti alle tendenze in rapida evoluzione della moda.

Le imprese dovrebbero diventare i promotori di questo cambiamento di paradigma. Le imprese che negli ultimi vent’anni hanno costruito il proprio modello economico traendo profitto dall’immissione sul mercato di un numero sempre più elevato di collezioni e microcollezioni a un ritmo sempre più rapido, sono fortemente incoraggiate a internalizzare i principi e i modelli economici improntati alla circolarità, ridurre il numero di collezioni per anno, assumersi la responsabilità e agire per ridurre al minimo la loro impronta di carbonio e ambientale. Come dire: facciamo ogni sforzo per produrre di meno.

Tralasciamo, per pietà, di riportare i suggerimenti comunitari su come riparare le zip che si sono bloccate, le cerniere che non scorrono o come mettere le toppe a vecchi vestiti da utilizzare sino alla fine vita… di chi?

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