Due vite per lo sport

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Altri tempi, altri uomini, altro sport. Fabio Cudicini, il Ragno Nero, “el Longo”, per dirla col Paròn che in rossonero lo rilanciò, indicandogli la via del trionfo, e Rino Tommasi, “ComputeRino”, per dirla con Gianni Clerici, “quello del tennis”, di cui fu la meravigliosa spalla in telecronache dal sapore antico e modernissimo, questi due miti contemporanei ci hanno detto addio a un’età considerevole, lasciando tuttavia in noi un vuoto che ci porteremo dentro per sempre. E sì, perché il triestino paratutto che arrivò a Milano, sponda rossonera, all’età di trentadue anni, quando molti colleghi, che si sistemassero fra i pali o corressero in mezzo al campo, avevano già appeso guantoni e scarpini al chiodo, questa figura gentile, altissima e capace di esercitare un carisma senza pari su compagni e avversari apparteneva alla stagione in cui ci si metteva d’accordo in trattoria, davanti a un bicchiere di rosso. Nereo Rocco lo chiamò al Milan quando giocava nel Brescia, dopo aver fatto faville alla Roma. La verità è che da quelle parti avrebbero preferito Zoff, ma il Nappli era stato più lesto e il Dino nazionale, da Mantova, si era spostato alle pendici del Vesuvio. Rimaneva lui, Fabio Cudicini, figlio d’arte, che ormai molti davano per finito. Molti, ma non lui, el Paròn col cappello ben avvitato al testone, un personaggio singolarissimo, unico nel suo genere, determinato a puntare su una compagine di vecchie glorie in cerca di riscatto e in grado di condurle, in un biennio, alla conquista di scudetto e Coppa dei Campioni. Memorabile la già menzionata notte di Manchester, con i rossoneri in vantaggio grazie al 2 a 0 dell’andata e i Diavoli rossi all’assalto, mentre dalle tribune pioveva di tutto, neanche si trattasse di un’arena sudamericana. Nonostante questo, il Ragno Nero sventò qualunque assalto, subendo un trauma cranico per il lancio di una bobina di filo di ferro ma andando avanti lo stesso, proprio come Rosato, cui Nobby Stiles, detto “Nosferatu”, pensò bene di rompere due denti, ma anche lui di uscire dal campo non ne volle sapere. Arrivarono alla finale del Bernabéu contro l’Ajax di un giovanissimo Cruijff: non ancora lo squadrone che avrebbe dominato il mondo negli anni successivi ma già erano in nuce gli elementi rivoluzionari di un modo di giocare che avrebbe rivoluzionato per sempre la concezione del calcio. Ebbene, la vecchia scuola rocchiana, difesa e contropiede, tutta catenaccio, solidità, un genio che inventi e un “mona” che segni prevalse per 4 a 1. Il genio in questione era Rivera, che quell’anno avrebbe conquistato il Pallone d’oro, primo italiano a riuscire nell’impresa, il mona era Pierino Prati, autore di una tripletta (l’altro gol milanista fu di Sormani).

Cudicini parava da Dio e, non a caso, nel suo quinquennio all’ombra della Madonnina, il Milan vinse praticamente tutto, prima di vivere un decennio difficile, reso meno amaro dalla conquista del decimo scudetto, quello della stella, all’ultima recita del divino Gianni piemontese. Il Ragno Nero non giocava più già da qualche anno, ma la sua impronta nel Milan è rimasta intatta. Qualunque successore, da Giovanni Galli a Sebastiano Rossi, passando per Abbiati, Dida e tutti gli altri, infatti, si è sempre dovuto confrontare con la sua eredità. Il figlio Carlo ha ripercorso la strada paterna, divenendo un significativo portiere del Chelsea, ma la poesia e la grandezza del padre sono insuperabili.

Quanto a Rino Tommasi, basti dire che ha portato gli sport americani in Italia, che sapeva tutto di pugilato e di tennis, che ha raccontato da par suo la “rissa” di Kinshasa fra Ali e Foremann (“The rumble in the jungle”), nel cuore della giungla congolese e in mezzo al grido “Ali bomaye”, in cui la folla, inebriata dal “Labbro di Louisville”, lo incitava addirittura a uccidere l’avversario, e che in fatto di tennis aveva una competenza assoluta, una cultura enciclopedica e la sagacia di inventare un linguaggio nuovo, da immaginifico dello sport qual era, un passo sotto Brera, ma lì stiamo parlando del Vate, dunque ogni paragone è escluso. 

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Rino capiva quasi di tutto e sciorinava aneddoti su aneddoti. Non si fermava mai, non smetteva mai di studiare e di aggiornarsi, diceva la sua con garbo e incisività, non perdeva mai un colpo ed era in grado di animare, con Clerici, un siparietto che talvolta valeva da solo la sintonizzazione su un incontro magari non entusiasmante. 

Diciamoci la verità: gente così l’ha forgiata il Novecento, il secolo delle passioni e delle ideologie. In questa stagione si barcamenavano, ma non l’amavano, e si vedeva. Così, hanno scelto di andarsene al momento opportuno, dopo aver a lungo vissuto, a lungo trepidato, a lungo lottato, salvo infine arrendersi alla banalità di un tempo privo di senso e di un mondo impazzito. 

Fabio e Rino, lassù, ritroveranno GPO e altri compagni d’avventura, troppi per non indurci a riflettere su cosa ci rimanga a noi che, a dispetto dell’evidenza, vogliamo ancora bene a quest’universo di malinconia. 

Due vite per lo sport was last modified: Gennaio 11th, 2025 by ROBERTO BERTONI BERNARDI

Due vite per lo sport
ultima modifica: 2025-01-11T19:49:01+01:00
da ROBERTO BERTONI BERNARDI

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