La dolorosa esperienza di Lucia Sardo (presto al cinema sarà Rosa Balistreri) e Marcello Cappelli, coppia di attori, che ha affrontato la reclusione volontaria del figlio, che dice: «Per anni ho cercato online qualcuno che fosse come me»
«Un futuro senza speranze e il senso di non appartenenza alla società mi hanno portato a un isolamento progressivo e profondo». Inizia così il racconto di Gioacchino Cappelli, figlio di Lucia Sardo e Marcello Cappelli, entrambi attori, che dall’età di 17 anni ha iniziato una reclusione volontaria che l’ha portato a chiudersi in casa. Un rifugio sicuro per sedare gli attacchi di panico. L’unica finestra da cui si affacciava al mondo era quella virtuale, on line infatti che cercava chi potesse capirlo, i suoi simili.
L’ hikikomori, così viene definito questo nuovo problema sociale che negli ultimi anni sta prendendo piede anche in Italia, è un fenomeno che arriva dal lontano Giappone. Tradotto letteralmente in “stare in disparte”, coinvolge sempre più giovani in un’età compresa tra i 14 e i 30 anni e nonostante si distingua da quello nostrano, i cui connotati sono quelli di un “ritiro dalla vita sociale”, è un grave fenomeno che si sta diffondendo a macchia d’olio tra i più giovani, soprattutto dopo la pandemia del Covid 19.
«Mi sono accorta che mio figlio aveva un problema – racconta Lucia Sardo, quando venne bocciato a scuola. Lui era molto intelligente, un genio lo avevano definito, ma invece di studiare passava le notti sveglio a giocare ai videogiochi e dormiva di giorno. Non mi ero accorta di nulla visto che andava regolarmente a scuola. La sua insegnante, infatti, non mi aveva informato tempestivamente. Quando si incontrano ragazzi fuori dal comune come Gioacchino è difficile stare al loro passo, forse aveva ritenuto più semplice omologarlo agli altri».
La reclusione volontaria che solo in Italia riguarda tra i 50 e 70 mila casi, secondo la psicologa Elina Valenti, dell’Associazione Hikikomori Italia-Sicilia, è un disagio adattivo sociale che deriva da una forte ansia sociale. I giovani faticano a relazionarsi con i coetanei e ad adattarsi alla società. Sono ragazzi con un elevato quoziente intellettivo e una spiccata sensibilità, convinti di stare meglio lontani da tutto e tutti, per questo si rifugiano a casa, nelle loro stanza, che diventa il loro mondo.
«Gioacchino fu bocciato due anni di seguito – continua Sardo – e come ogni madre che si trova in una situazione come la mia, ho usato tutte le armi a disposizione per riuscire a scuoterlo. Prima con la dolcezza, poi con le maniere forti. Ricordo che un giorno entrai nella sua stanza con una mazza da baseball e spaccai ogni cosa. Arrivai al punto di buttare dal balcone la sua play-station, senza ottenere nessun risultato. Ero nel panico più totale. Qualcuno mi suggerì di dargli un calcio nel sedere e buttarlo fuori di casa, per loro era solo uno sfaticato. Ma il cuore di mamma sapeva che non era così. Solo dopo numerose ricerche on line ho avuto l’intuizione di cercare quei sintomi in lingua inglese, pensando fosse qualcosa che venisse da lontano, e finalmente sono riuscita a dare un nome a quel problema, che inevitabilmente era diventato il mio».
Lucia Sardo – che presto al cinema sarà Rosa Balistreri, la cantautrice e cantastorie siciliana, nel nuovo film di Paolo Licata con Donatella Finocchiaro, Carmen Consoli e Vincenzo Ferrera – racconta quanto sia stato difficile anche per lei il periodo in cui il figlio ha vissuto questa reclusione, che in un modo o nell’altro è diventata la sua.
«Non uscivo più di casa neanche io. È stato un periodo difficile anche lavorativamente parlando. Dopo aver scoperto quello che stava accadendo a mio figlio, ho contattato una clinica in Valle d’Aosta che si occupa di questo fenomeno. Finalmente parlando con uno dei loro medici ho avuto la certezza di non essere pazza, e dopo tanto tempo mi sono sentita capita. Per venirne fuori ho dovuto aiutare prima me stessa e solo dopo sono riuscita ad aiutare mio figlio».
Gioacchino, che oggi è un attore e insegna recitazione, è riuscito a venir fuori da questa autoreclusione che lo aveva rinchiuso in casa, e con la sua arte racconta il suo “dolore” con uno spettacolo dal titolo «C’è nessuno», per sensibilizzare i giovani e i loro genitori a questa nuova tematica sociale.
«Per venirne fuori, spiega Gioacchino, serve consapevolezza. Per anni ho cercato on line qualcuno che mi capisse, che fosse come me. Cercavo di allontanarmi da una società che non mi apparteneva, che non mi dava sicurezza per il futuro. Crescendo e con l’aiuto dei miei genitori, ho capito che il tempo scorre e che dovevo ripartire, avevo già perso troppa giovinezza. Oggi, mentre racconto ai giovani la mia storia, mi commuovo sentendoli parlare, come me hanno solo bisogno di qualcuno che li ascolti. Ai genitori raccomando di entrare nel mondo dei propri figli, delle loro passioni, solo così si sentiranno capiti e sapranno di non essere soli».
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