Piscine, giardini e agricoltura: Los Angeles è ingorda d’acqua e tutti i laghi si prosciugano

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di
Gian Antonio Stella

Un problema che esiste da sempre. Aumentano i costi delle bollette. Multe per chi esagera nelle irrigazioni.Sotto accusa (anche) le star del cinema

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Manca l’acqua, nella Città degli angeli e delle piscine. Magari non c’entrano le antiche invettive degli sciamani pellirosse Paiute del lago Owens, ma gli incendi che stanno devastando Los Angeles mentre gli abitanti maledicono gli idranti coi serbatoi a secco hanno senz’altro a che fare con la gestione di una metropoli ingorda di acqua. C’è chi dirà che no, non è l’abbondanza di swimming pool californiane (1.343.000 delle quali una su quattro nella contea di Los Angeles: una ogni 29 abitanti) a determinare la penuria drammatica di quella che mai come oggi sulla West Coast è davvero la biblica «fonte di vita».

E che perfino l’enorme quantità di acqua (da 100 a 150 mila litri complessivi l’anno) versati mediamente dai rubinetti per ogni vasca è secondaria rispetto agli spropositati fantastilioni di triliardi di acqua inghiottiti dall’agricoltura in quelle terre stupende ma aride e servite da ciclopici interventi di ingegneria idraulica per un totale di 1.400 dighe. Ma certo, davanti al ripetersi di stagioni di siccità sfociate in quello che pare essere il più grave incendio della storia Usa paragonabile solo a quello di Peshtigo (Wisconsin, oltre 2.000 morti) del 1871 spiccano i ritardi della grande metropoli californiana. Nonostante, coi problemi di approvvigionamento, sia costretta a fare i conti da sempre.




















































Il primo acquedotto

Verso la fine dell’Ottocento infatti, spiega nel suo libro Le guerre dell’acqua l’attivista indiana Vandana Shiva, «Los Angeles aveva già esaurito le sue risorse locali» e le autorità cittadine, approfittando della debolezza davanti all’uomo bianco dei nativi Paiute (nome che significa «popolo dell’acqua»!) e dell’ingenuità degli agricoltori del posto, presero ad «acquistare segretamente diritti sulla terra e l’acqua dalla vicina Owens Valley». Per finanziare a partire dal 1907 un «acquedotto della lunghezza di 360 chilometri che avrebbe incanalato le acque di deflusso orientali della Sierra Madre». 

Quando gli agricoltori della Owens Valley si accorsero che sarebbe finita male si ribellarono fino a compiere contro la condotta una dozzina attentati dinamitardi. Quelli di Los Angeles, però, «avevano la copertura di investimenti pubblici e privati e l’appoggio dell’esercito». E «guardie armate con l’ordine di uccidere». E per oltre un secolo, col carico supplementare di un apocalittico crollo nel 1928 della diga di San Francisquito che fece 424 morti a nord di Pasadena, la grande città metropolitana s’è impossessata praticamente di tutta l’acqua dell’Owens (che in origine aveva una superficie non troppo inferiore al lago di Garda e perfino un servizio di traghetti) fino a ridurlo a una distesa di terra arida chiazzata qua e là, se di rado piove, da pozzanghere. Un disastro ambientale.

Le polveri sottili

Che oggi punisce gli sventurati autori con le polveri sottili, arsenico e cadmio, che quando soffia il vento finiscono sulla Città degli angeli causando, secondo le autorità sanitarie, i più gravi problemi polmonari dello Stato. Al punto di costringere la California, da diversi anni, a costosi tentativi di fare «rinascere» il lago quasi estinto.

E meno male, come spiegò dieci anni fa Internazionale, che alla vigilia del terzo millennio fu bloccato tra le polemiche un progetto del Department of Water and Power per andare a rubare anche le acque vulcaniche il bellissimo Mono Lake vicino allo Yosemite park. Una sentenza nel 1988 della Corte federale infatti «decretò che l’intrinseco interesse alla tutela del patrimonio naturale prevaleva su quelli di singole municipalità». Non così bene è andata al Salton Sea, a suo tempo il più grande lago della California (quasi tre volte il Garda coi suoi 823 chilometri quadrati), nato nel 1905 da una inondazione del fiume Colorado. Le cartoline degli anni Sessanta e Settanta che decantano le acque blu, i filmati in bianco e nero coi motoscafi che trainavano belle ragazze sugli sci d’acqua o uno struggente documentario del regista David Kuspa con la voce narrante dell’attore hollywoodiano William Devane, ricordano che era di gran moda quel mare in mezzo al deserto e che ci andarono in vacanza Jerry Lewis, Frank Sinatra, i Beach Boys… 

Finché gli scarti chimici degli agricoltori della zona, come ricordato qualche settimana fa un’inchiesta di Ian James sul Los Angeles Times, crearono con il loro accumulo di veleni un ambiente sempre più invivibile.

La moria di pesci

Fino a spingere i turisti ad andarsene per sfuggire al tanfo insopportabile, i pescatori a ritirare le reti, gli stabilimenti balneari a chiudere, i proprietari di barche a portarle altrove. Una deriva che sfociò nel 1999 in una traumatica moria nel giro di pochi giorni di sette milioni di pesci. Con le foto agghiaccianti su tutti i giornali americani. E tutti i tentativi degli stessi agricoltori delle contee di Riverside e Imperial di assumersi qualche responsabilità in più nella gestione di quello che fu un lago amatissimo faticano a dare risultati. È morto, quel lago.

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Ad essere in grave difficoltà, spiega il Los Angeles Times, è lo stesso Colorado, che i turisti conoscono più che altro per lo strepitoso scenario del Grand Canyon ma è più ancora il fiume che «fornisce acqua a sette stati, dal Wyoming alla California meridionale, così come a 30 nazioni tribali e al Messico settentrionale. Il fiume è stato a lungo super sfruttato e i livelli dei bacini idrici sono scesi poiché condizioni più calde e secche hanno ridotto i flussi negli ultimi 25 anni. Gli scienziati hanno scoperto che il riscaldamento globale ha contribuito in modo significativo alla riduzione della portata del fiume a partire dal 2000. Le condizioni sono migliorate un po’ con inverni più umidi dal 2023. Ma il lago Mead rimane pieno solo al 33%, mentre il secondo bacino più grande, il lago Powell, è ora al 39% della capacità». Poche settimane e, da un controllo fatto ieri pomeriggio, i dati risultano perfino peggiorati: se il Mead non si schioda dal 33% (impressionanti le foto sul Guardian che mostrano l’abissale differenza tra il bacino pieno e il bacino semivuoto), il Powell è sceso al 35%. Direte: cosa c’entra il Colorado con la California?

Il Colorado a rischio 

Risponde Vandana Shiva: «Pur costituendo appena l’1,6% dei 630.000 chilometri quadrati del bacino del Colorado, la California utilizza un quarto della sua acqua». Tempi duri. E molto preoccupanti, dicono gli studi del California Department of Water Resources (DWR) e della National Oceanic and Atmospheric Amministrazione, sono le prospettive per quello che è storicamente il «serbatoio» fondamentale per la California: a causa del cambiamento climatico, «il manto nevoso nella Sierra Nevada si è ridotto di circa il 20% dal 1950 0ve si prevede che possa diminuire di oltre il 60% entro la fine del secolo». Le temperature più alte, a dispetto di quanto sdrammatizza Donald Trump, «causano una maggiore percentuale di precipitazioni sotto forma di pioggia invece che di neve, riducendo la quantità di acqua immagazzinata».

Le polizze disdette

Tutte cose che secondo il sito nogeoingegneria.com hanno già spinto grandi gruppi assicurativi come State Farm, fin dallo scorso aprile, quindi prima degli incendi di questi giorni, a dare la disdetta a 72.000 polizze. E le compagnie fornitrici di acqua ad aumentare i costi delle bollette. Una scelta comune a larga parte degli States al punto che secondo il Guardian in città come San Diego già nel 2018 «tra i poveri uno su sette ha dovuto affrontare bollette medie superiori al 12% del reddito familiare». Da incubo.

Un problema che un tempo non toglieva il sonno ai grandi divi hollywoodiani. Ma già da qualche anno, parallelamente a un progetto chiamato «Cash for Grass» (soldi in cambio erba) col quale chiedeva ai cittadini di rinunciare al praticello all’inglese (enormi quantità di acqua) offrendo a chi cambia il giardino mettendo delle piante grasse 21 dollari per ogni metro quadrato di erbetta rimossa, lo Stato ha cominciato a multare attori, sportivi e protagonisti dello show business che esageravano con le pompe d’irrigazione. Segnalando a duemila clienti «consumi eccessivi» che scattano nel caso sia superato quattro volte del 150% il limite concordato di acqua disponibile. Tra i discoli le sorelle Kim e Kourtney Kardashian, il comico di colore Kevin Hart (salito oltre il 519%), Sylvester Stallone (sopra il 544%: «ho dei bellissimi alberi secolari») ma su tutti l’idolo del basket Dwayne Wade, beccato per aver superato il tetto del 1.400%. Colpa di un guasto in piscina, disse. Sarà… Ma certo non è il solo, in California, ad aver badato sempre a queste cose assai distrattamente…

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