La vicenda di San Giovanni in Fiore è l’ultimo episodio finito in tragedia: anche a fronte d’infarti o ischemie, si rischia la morte non tanto per l’evento acuto improvviso, quanto per le difficoltà logistiche.
In una ricerca scientifica imperniata su un campione di 1.377 ipotetici pazienti, Domenico Marino e Giuseppe Quattrone dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria evidenziano che, con gli asset di oggi, almeno il 38,5% degli ultra65enni calabresi è a rischio-decesso, in caso d’infarto o analoghi problemi di salute. Perché a oltre 2 ore di distanza del più vicino centro attrezzato per l’emodinamica. Una situazione che, naturalmente, si aggrava in caso d’ingorghi stradali, situazioni meteorologiche avverse, carenza o temporanee assenze di personale medico o infermieristico.
Gli sconfortanti esiti della ricerca invitano chi governa la Sanità in Calabria a rimpolpare gli organici e allestire più ambulanze medicalizzate; ma anche a puntare sulla telemedicina. Ma nessuno ha fiducia nella malapolitica…
La ricerca è stata condotta su “Accessibilità ed equità dei servizi di emergenza-urgenza nella regione Calabria”. Il problema analizzato mette in relazione il flusso dei pazienti del servizio di cardiologia d’emergenza, la scelta della struttura di ricovero e i tempi necessari a raggiungerla. Utilizzando un campione di domande di ricovero di 1.377 pazienti ultrasessantacinquenni nella provincia di Reggio Calabria, gli autori hanno preso in considerazione la disponibilità di posti letto indicata nel programma operativo 2022-2025 della Regione Calabria e due modalità di trasporto dal luogo di residenza, con mezzi propri e in ambulanza.
Nello studio si ipotizzano tre diversi scenari: Utic presente nella prima struttura di ricovero raggiunta e, in caso di indisponibilità del servizio di angioplastica, spostamento verso altra struttura in cui è presente il servizio; pazienti che si recano direttamente presso strutture con angioplastica; pazienti che si recano direttamente in strutture con angioplastica e chiusura di una delle strutture in cui è presente il servizio.
Con il primo scenario di simulazione, nell’ipotesi di utilizzo esclusivo dei mezzi propri, la popolazione residente maggiore di 65 anni che si trova a una distanza percorribile in più di un’ora di tempo dal servizio di emodinamica è il 21,1% dei residenti. La percentuale si riduce all’11,9% se i pazienti possono trovare subito, come prima scelta, la struttura in cui è presente il servizio di emodinamica. Ma simulando la chiusura di uno dei servizi di emodinamica, la popolazione che si troverebbe a una distanza superiore ai sessanta minuti di percorrenza dal servizio aumenta fino al 29,7% dei residenti nella provincia reggina.
Cifre che crescono ancora nelle situazioni in cui i pazienti raggiungano in ambulanza le strutture presenti sul territorio. Anche in questo caso gli studiosi reggini ricostruiscono diversi scenari, considerando ambulanze senza e con elettrocardiogramma. Si legge nella ricerca: “Le differenze più marcate nei tempi di percorrenza si osservano per i pazienti che si trovano nei comuni più distanti dalle strutture di ricovero, per i quali la mancanza di un ecg potrebbe orientare verso strutture non idonee all’intervento Stemi con conseguente riassegnazione del luogo di cura verso unità dotate di angioplastica”. In questo caso la distanza dal momento dell’intervento supera i 60 minuti per il 24% della popolazione se l’ambulanza non è dotata di ecg e per il 19,2% se lo è. La simulazione con il parametro dei tempi di percorrenza mostra ovviamente un incremento del dato per la popolazione più distante dal luogo di cura che offre il servizio specializzato.
Infine, immaginando la chiusura di un reparto di cardiologia con servizio di emodinamica, il modello di Marino e Quattrone stima un aumento della distanza media tra comune di residenza e servizio disponibile per ben il 38,5% della popolazione over 65, percentuale lontana fino a due ore dalla struttura di ricovero.
Numerose drammatiche vicende di cronaca nella nostra regione con decesso dei pazienti presi in carico molto dopo l’evento miocardico confermano quanto il fattore tempo sia salvavita. Intervenire entro un’ora dall’insorgere di infarto o altra patologia cardiaca acuta offre ai pazienti importanti possibilità di uscire dalla crisi e riprendere una vita normale. Se si arriva tardi, oltre al rischio di morte c’è quello di invalidità permanente.
L’analisi dei ricercatori reggini avvalora questa tesi medica e riflette sulla necessità di mantenere e anzi potenziare l’attuale dotazione della rete di emergenza-urgenza. Un ulteriore monito, corroborato dai dati scientifici, contro tagli e chiusure di reparti.
L’originalità della ricerca è proprio il rapporto con la geografia e la viabilità calabrese: si parla di tempi di percorrenza, che però avvengono sulle nostre strade con tutte le deduzioni prevedibili. Affermano i ricercatori: “Avere un 38,5% della popolazione che supera la soglia di un’ora per raggiungere i sevizi di emodinamica è molto preoccupante perché il modello è stato costruito per stimare il funzionamento del sistema in condizioni ottimali, ossia zero livello di congestione, zero errori da parte del personale delle ambulanze e numero infinito di ambulanze”. Ma la realtà è molto diversa. Si legge ancora nello studio: “I ritardi causati da congestione del traffico sono significativi, errori od inconvenienti si possono verificare, ma soprattutto la disponibilità delle ambulanze è generalmente molto limitata, spesso con un solo mezzo che deve presidiare un territorio molto vasto, per cui l’evasione di una richiesta di intervento è limitata dalla fruibilità effettiva in quel momento dell’ambulanza”.
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