Cina e USA alla sfida finale per l’Artificial Intelligence

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di Massimo Bolchi

‘United States invents, China imitates and Europe regulates’, recita un assioma, un po’ vecchio in verità, se se considera la situazione così come è attualmente, poiché cominciano a essere numerosi i comparti in cui la Cina non è più follower, ma si trova all’avanguardia con europei e americani che arrancano dietro. Per citarne alcuni solamente, ed evitando le lavorazioni a basso valore aggiunto dove la Cina è già l’indiscussa ‘fabbrica del mondo’, c’è tutto il mondo delle tecnologie green – dalle batterie ai pannelli solari – le terre rare, di cui controlla il 90% dell’output mondiale, la cantieristica – più della metà delle nuova navi costruite al mondo sono cinesi – e sta arrivando al sorpasso anche in settori tipicamente occidentali, quali l’aeronautica civile e lo spazio, nella duplice accezione di luogo dove ‘mostrare la bandiera’ (per esempio sbarcando sulla Luna con un veicolo robotizzato) e fare business, come le costellazioni di 13/15 mila satelliti in bassa orbita di Qianfan e di GuoWang, attualmente in corso di deployment, che si propongono come le sole concorrenti di Starlink di Elon Musk (e del prossimo Kuiper di Jeff Bezos).

Non è il caso di affrontare qui le implicazioni militari e strategiche, da Taiwan al controllo del Mar Cinese Meridionale, alla proiezione di potenza della People’s Liberation Army Navy, fibo alla ‘conquista’ dell’Africa: questo articolo rischierebbe di diventare tutt’altro, ma la competizione ad armi pari tra Stati Uniti e Cina sta crescendo, raggiungendo anche quelle enclavi dove le stelle e strisce predominano (non si sa fino a quando). Uno di questi ambiti è l’Artificial Intelligence: la superiorità americana è assicurata da uno stretto embargo sui processori più avanzati di Nvidia e dai rilevantissimi investimenti dei privati negli indispensabili data center. Ma è un equilibrio precario, perché qualsiasi embargo può essere aggirato, come dimostrano i missi russi che non mai sono stati a corto delle CPU che li guidano, o ‘scavalcato’ dall’autoproduzione, e non sono mancati i tentativi in tal senso, dallo spionaggio industriale all’acquisizione di ‘CPU machines’ della neerlandese ASML bloccata all’ultimo momento dall’amministrazione USA. Senza voler mettere in dubbio il ‘patriottismo’ del fondatore e Ceo di Nvidia, Jensen Huang, taiwanese naturalizzato americano, è solo questione di tempo perché anche l’embargo cessi di essere efficace e la produzione di chip sia fatta anche nelle foundry cinesi.

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Un confronto a suon di investimenti miliardari

Gli investimenti delle aziende statunitensi, invece, sono destinati a loro volta a essere raggiunti e superati, se non lo sono già in termini di potere d’acquisto, dalle strategie implementate dai conglomerati cinesi, con ByteDance, Tencent e Alibaba in prima fila, che, forti del sostegno politico e finanziario del Governo, e sostenuti economicamente anche dalle Borse occidentali, stanno rapidamente scalando le gerarchie nel settore espandendosi verso il traguardo di essere indipendenti anche nell’AI, come lo è già di fatto diventata Huawei: dopo l’embargo su Android, ha impiegato un anno per ripresentarsi sul mercato con il ‘suo’ Sistema Operativo, l’Hongmeng OS, multi-piattaforma, che supporta smartphone, tablet, dispositivi indossabili, smart TV e dispositivi IoT. Comunque, visto che gli investimenti cinesi, per la commistione tra sostegni governativi e operazioni di mercato, sono di difficile quantificazione, vediamo almeno come si muovono quelli statunitensi, che appaiono ancora rappresentare oltre la metà degli investimenti mondiali in cloud e data center.

Nel 2024 le principali aziende tecnologiche USA hanno investito significativamente in data center per l’intelligenza artificiale: Microsoft circa 40 miliardi di dollari per sostenere la sua infrastruttura AI, inclusi i servizi Azure e le partnership con OpenAI; Google 29 miliardi di dollari allo sviluppo dei suoi data center AI, concentrandosi sulla piattaforma Google Cloud e sull’ottimizzazione di Gemini (già Bard) e altri servizi AI; Meta 23 miliardi di dollari, concentrandosi su data center per il training di modelli AI avanzati e per supportare le applicazioni legate al metaverso; Amazon 16 miliardi di dollari attraverso AWS per fornire servizi cloud AI avanzati e supportare le esigenze di elaborazione di modelli di machine learning; ed Apple, pur in assenza di dati ufficiali, si stima che abbia dedicato 5-10 miliardi per sviluppare infrastrutture AI.

Il confronto: alla fine ne sopravviverà uno solo

Il 2025, comunque, si apre all’insegna di una decisa accelerazione: Microsoft investirà almeno 80 miliardi nel data center, almeno secondo quanto affermato dal presidente e vice-chairman Brad Smith in un post pubblico sul sito corporate aziendale, in cui illustra i tre step fondamentali dello sviluppo dell’AI ‘made in US’ e la sua fiducia che “with a thoughtful approach to government policy, we can sustain our leadership through well-funded basic research at the nation’s universities and broad support for private sector innovation”.

Anche Alphabet, la casa madre di Google, sta procedendo su orme analoghe: Ruth Porat, President & Chief Investment Officer di Alphabet, ha dichiarato a Reuter, in risposta alla domanda se gli investimenti dell’azienda nell’IA seguiranno le tendenze – enormi – del settore, che la tecnologia rappresenta una ‘opportunità generazionale’. L’azienda è pronta a spendere 50 miliardi di dollari in chip e data center, ma vuole ‘puntare sui risultati’.

Queste dichiarazioni di inizio anno fanno il paio con quanto già affermato in precedenza sullo sviluppo di SMR proprietari ad energia nucleare per soddisfare le crescenti necessità energetiche dei data center che costituiranno la futura AI. Il tutto dà un senso completo dell’urgenza e delle dimensioni della prossima sfida globale tra USA e Cina: ne sopravviverà solo uno, alla fine.



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