L’ingegnere iraniano pronto a garantire in Aula che non fuggirà se arriveranno i domiciliari. Il legale:«In cella spegne la tv perché non ce la fa più a vedersi associato ad azioni di guerra»
«Ma quindi, adesso, dopo la liberazione di Cecilia Sala, potrebbe diminuire la pressione su di me?». Mohammad Abedini Najafabadi, il 38enne ingegnere iraniano che gli Stati Uniti hanno fatto arrestare all’Italia lo scorso 16 dicembre a Malpensa e di cui chiedono l’estradizione accusandolo d’aver aggirato l’embargo statunitense su componenti elettronici utilizzati nei sistemi di navigazione dei droni iraniani del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, reagisce così in carcere a Opera a chi gli riassume il ritorno in Italia della giornalista italiana. E se ovvio è che si senta «sollevato di non poter più essere ritenuto responsabile delle sue sofferenze», meno scontato è che l’ingegnere — che continua a dirsi «stupito» dalle accuse americane — colga un possibile riverbero sullo sblocco della propria situazione in Italia.
Abedini, afferma il suo difensore Alfredo De Francesco in visita in carcere senza l’ambasciatore iraniano che pure era stato autorizzato ma che «per impegni istituzionali» non è venuto, sarebbe arrivato al punto che «sta spegnendo la televisione in cella». Perché? «Perché, quando si vede in tv, si vede sempre affiancato o ad azioni di guerra o a militari o comunque è ritenuto responsabile di quei poveri ragazzi americani uccisi, e questa è una cosa che veramente lo sta distruggendo dal punto vista umano ed emotivo»: riferimento ai tre soldati americani uccisi il 28 gennaio 2024 in un avamposto in Giordania da un drone che per gli americani avrebbe appunto montato il sistema di navigazione procurato dall’azienda di Abedini.
«Sarà presente all’udienza del 15 gennaio e in una brevissima dichiarazione spontanea confermerà la disponibilità al braccialetto elettronico e il fatto di non voler scappare dall’Italia», aggiunge il legale a proposito dell’udienza dove difesa e Procura generale discuteranno davanti alla V Corte d’Appello l’istanza di arresti domiciliari nelle more dell’invece più lungo vaglio (fino a un massimo di 1 anno) del merito della domanda americana all’Italia di estradarlo.
I giudici avranno poi 5 giorni liberi per decidere, dunque in teoria sino al 21 gennaio. E con l’insediamento di Trump come presidente degli Usa il 20 gennaio, chi accede alla tesi che il rilascio a Teheran della giornalista italiana sia avvenuto nel quadro di una triangolazione con gli Usa, e che il «pacchetto» contempli il destino di Abedini così a cuore dell’Iran, continua a scrutare ogni giorno se il ministro della Giustizia Carlo Nordio intenda esercitare la propria facoltà di legge (articolo 718 del Codice di procedura penale) di dettare ai giudici la revoca della custodia cautelare, con conseguente immediata liberazione dell’ingegnere iraniano. Fino a ieri non lo ha fatto.
Nell’incastro di date, proprio nei giorni caldi di questa udienza e della decisione dei giudici sulla concessione dei domiciliari o sul mantenimento del carcere, si sarebbe potuta creare la coincidenza della presenza di Nordio proprio in Corte d’Appello a Milano, dove da mesi era invitato alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziario, che in tutti i distretti si terrà il 25 gennaio e dalla quale un Guardasigilli manca a Milano da molti anni. Ma Nordio ha comunicato che intende dare «un segnale di attenzione agli uffici giudiziari del Sud», e che per questa ragione sarà invece a Napoli.
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