All’indomani della premiazione dei dieci Protagonisti dell’ortofrutta italiana, avvenuta ieri sera a Bologna nel corso dell’evento organizzato dalla redazione del Corriere Ortofrutticolo e Omnibus Comunicazione nell’esclusiva cornice di Palazzo Re Enzo, riproponiamo su Greenplanet l’intervista realizzata dal direttore Lorenzo Frassoldati a Antonio Fricano, a cui è andato il prestigioso riconoscimento della storica testata in qualità di protagonista dell’uscita dello scorso dicembre.
Ma non solo eccellenza nel settore ortofrutticolo, Fricano è un personaggio di spicco anche nel biologico. presidente
In proprio conduce una azienda agricola bio di 20 ettari in provincia di Palermo specializzata in agrumi e ortaggi. Da quasi trent’anni è presidente di Apo Sicilia, 600 ettari di agrumi e frutta e 80 di ortaggi – produzioni quasi esclusivamente biologiche – specializzata nel limone (oltre la metà della produzione), realtà che è cresciuta negli anni fino a un volume d’affari di 16 milioni di euro annui.
Nel 2016, il salto oltre i confini della Sicilia: fonda con altri soci il Consorzio BIA associando un nucleo di aziende che coprono tutto il Mezzogiorno e conferiscono la loro produzione biologica al consorzio. Prodotti principali: agrumi (oltre ai limoni, clementine, arance, mandarini) poi mele, pere, drupacee, kiwi; a seguire, verdure e ortaggi. Anche qui una crescita importante fino a un fatturato annuo di 13 milioni di euro, con una quota di export altrettanto importante: 60%.
Nella storia di Antonio Fricano, 57 anni, sposato con due figli, nato in Veneto ma siciliano di adozione, ci sono alcune costanti: la capacità organizzativa, la visione, la passione per il biologico… e per i limoni. Con due stelle polari: l’aggregazione “buona”, quella che valorizza il contesto sociale e il territorio, che consente di “dare un valore aggiunto concreto ai nostri produttori, per programmare insieme “.
L’altra stella polare è il bio, in cui vede “la consapevolezza di quello che siamo e che possiamo diventare senza inventare nulla, senza forzature, solo essendo consapevoli delle nostre potenzialità . Nel bio c’è il nostro futuro come territorio, come isola, per dare risposte importanti al consumatore su temi decisivi come la sicurezza alimentare e la transizione ecologica e ambientale”. Con Fricano, ultimo Protagonista del 2024, parliamo di Sicilia, del bio, di limoni e di tanto altro
Da Aposicilia al Consorzio BIA: ci racconti questo passaggio
“È un’evoluzione del concetto di associazionismo: da una realtà regionale ad una dimensione nazionale, ampliando tanto la gamma dei prodotti realizzati. E coinvolgendo i più ‘bravi’ produttori del biologico dalla Sicilia al Trentino, passando per Calabria, Campania, Puglia, Veneto e Lombardia”.
La Sicilia è la terra promessa del bio italiano?
“Certamente, è la regione d’Italia che registra la maggiore SAU certificata, circa 390.000 ettari. Negli ultimi anni le produzioni tradizionali sono state integrate con le colture sub-tropicali, con ottimi risultati”.
Il futuro del bio deve fare i conti con i consumi che stentano a decollare e con prezzi spesso non remunerativi. Qual è la sua ricetta? Dove puntare: sul mercato interno o quello estero?
“A malincuore sul mercato estero, dove la distribuzione del cibo bio risponde meglio all’attuale crisi dovuta al ridotto potere di acquisto dei consumatori”.
Sempre a proposito di bio, ritiene che senza i premi del PSR ieri e del PSP oggi, per la conversione e il mantenimento in bio, la superficie dedicata al bio sarebbe così estesa (soprattutto in Sicilia)?
“La lungimiranza delle politiche UE sulle misure agroambientali ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle coltivazioni bio, che inizialmente non aveva un riscontro sul mercato, ma oggi ritengo che, per assurdo, l’azzeramento dei premi PSR/PSP porterebbe ad una contrazione delle superfici bio, ma non ad una riduzione delle produzioni disponibili per il consumo”.
Cosa ostacola la crescita dei consumi dei prodotti bio? La presenza dei prodotti “a residuo zero” (o similari) riesce davvero a sottrarre ampie fette di mercato al prodotti bio?
“In Italia l’ostacolo maggiore è dovuto alla percezione del prodotto bio come linea premium, sia da parte del consumatore che dal distributore, per motivi diversi. Isolare i prodotti bio in spazi dedicati crea una barriera, che, in momenti di minor disponibilità economica, porta il consumatore a prediligere i prodotti convenzionali, senza effettuare un vero confronto qualità/prezzo tra le due linee offerte. Nei punti vendita dove abbiamo inserito i prodotti bio accanto ai prodotti convenzionali abbiamo riscontrato una crescita a due cifre del consumo del bio. Il prodotto a residuo zero è una risposta di marketing ad una crisi di mercato, non è una politica strutturata ad un’alimentazione sana e sostenibile per l’ambiente”.
Il limone è l’agrume che ultimamente sta attirando molti investimenti, anche dal Nord, in Sicilia e non solo. Lei sta lavorando per una nuova IGP, “Conca d’oro di Palermo” , che sarebbe la quarta in Sicilia dopo Siracusa, Interdonato Messina ed Etna. Con quali obiettivi?
“Il riconoscimento IGP ha due obiettivi: il primo è dare un riconoscimento sociale e morale agli agricoltori che nel tempo, con grandi sacrifici, hanno mantenuto viva una tradizione che ha salvaguardato un paesaggio rurale di pregio, e il secondo è poter offrire ai consumatori un prodotto che ha degli odori e sapori unici nel suo genere”.
Siccità: quanto ha pesato sulla produzione del limone siciliano?
“Tanto, in termini di sacrifici economici sostenuti dagli agricoltori. Abbiamo dovuto ripristinare le fonti di approvvigionamento dismesse da almeno trent’anni, da quando sono entrati in funzione i consorzi di bonifica. Si è mantenuta la qualità, la produzione complessiva sarà inferiore allo scorso anno. Dove non era possibile irrigare i limoneti sono deperiti, quasi estinti”.
Limone a parte, come se la passa l’agrumeto siciliano?
“Complessivamente bene, il rinnovo varietale fatto nell’ultimo decennio, grazie alle misure messe in atto dall’amministrazione regionale per combattere il virus della Tristeza sulle arance e del Malsecco sui limoni ha portato ad avere campagne produttive più lunghe e varietà vocate alla commercializzazione. Il mandarino Tardivo di Ciaculli è sempre più richiesto all’estero, per le sue eccelse qualità organolettiche”.
E sul fronte ortaggi?
“E’ molto più complicato, le temperature elevate e la siccità hanno ostacolato ulteriormente i cicli produttivi e si sono registrati importanti cali di produzione, non compensati dall’aumento dei prezzi”.
Consorzio BIA è multiregionale e propone una vasta gamma di prodotti. Con quali margini di crescita? E sul fronte export si può crescere?
“Ad oggi il consorzio BIA esprime circa il 30% del suo potenziale, i soci produttori sono strutturati e hanno dimostrato di avere delle realtà veramente importanti e organizzate. La mission del consorzio è il mercato italiano, dove abbiamo registrato una crescita notevole, ma sono in atto dei progetti per ampliare l’export su nuovi paesi europei ed extraeuropei”.
Il sistema OP-AOP ha garantito nell’ultimo ventennio una crescita del sistema ortofrutta in Italia, però i problemi di redditività restano. E c’è chi distingue tra aggregazione buona (quella che fa crescere imprese e territori) e “cattiva”, quella spinta solo dagli incentivi, dove gira poco prodotto e molta carta…
“Ritengo che il tema degli incentivi sia molto delicato, spesso l’illusione del contributo pubblico serve soltanto ad indebitare le imprese e farle fallire. Se l’aggregazione nasce da un progetto commerciale ben definito con l’obiettivo finale di trasferire un valore aggiunto al produttore sarà sicuramente un successo, a patto che tutti gli attori della filiera, produttori in primis, condividano i sacrifici necessari per raggiungere lo scopo prefissato”.
Lorenzo Frassoldati – Direttore Corriere Ortofrutticolo
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