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Salgono a 70 Società scientifiche preoccupate per futuro atenei #finsubito prestito immediato


ROMA, 22 OTT – Sono diventate oltre 70 le società scientifiche preoccupate per minori fondi agli atenei e per un “ridimensionamento dell’università e della ricerca pubblica” .”Il mondo dell’università e della ricerca pubblica – scrivono – è stato investito negli ultimi mesi da politiche del governo che introducono importanti cambiamenti. “Come Presidenti di Società scientifiche italiane, che rappresentano migliaia di docenti universitari e ricercatori del Paese – impegnati ad affermare la ricerca italiana nel contesto internazionale – non possiamo condividere la deriva che si prospetta per la nostra università”, scrivono. E aggiungono che sul piano del finanziamento, “gli ultimi anni avevano consentito un certo recupero, anche grazie ai finanziamenti straordinari e temporanei del PNRR, avvicinando la spesa per ricerca pubblica allo 0,75% del PIL. Era questo l’obiettivo indicato nel 2022 dal rapporto del “Tavolo tecnico” insediato dal governo di Mario Draghi”. Mentre a partire da quest’anno “si profila una preoccupante riduzione del finanziamento dell’università e della ricerca pubblica. La distribuzione delle risorse che si prospetta – attraverso i criteri adottati e i meccanismi premiali – sta portando a maggiori disparità tra grandi atenei e università “periferiche”. Nel quadro europeo, l’Italia – ora agli ultimi posti nella UE in termini di percentuale di laureati sugli occupati – aggraverebbe le distanze nei confronti dei maggiori paesi in termini di risorse disponibili. È necessario che la Legge di Bilancio 2025 assicuri un aumento delle risorse per l’università e la ricerca, in particolare per quanto riguarda la quota non vincolata dell’FFO”. Sul piano del personale, nei prossimi tre anni intorno al 10% dei professori ordinari e associati andrà in pensione. “Anziché favorire nuovi concorsi, il governo ha rallentato il turnover e creato incertezza sul reclutamento”. Nel corso di un decennio, circa 15 mila ricercatori e ricercatrici italiane hanno trovato lavoro all’estero.” E ancora: “anziché favorire un “ritorno dei cervelli” e l’attrazione di personale qualificato dall’estero, le politiche del governo rischiano di condurre a una maggior emigrazione”. È necessario che le nuove regole e le risorse per il reclutamento consentano di rinnovare il personale docente di ruolo e ridurre le condizioni di precariato. Infine, anche sul piano della qualità della ricerca – un tema su cui si è molto insistito negli ultimi anni, anche con l’introduzione dall’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) – ci sono preoccupanti segnali di ritorno indietro”, concludono. (ANSA).



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