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Redazione
lavialibera
14 gennaio 2025
Un patto di comunità per Taranto, città ferita dall’inquinamento provocato dall’acciaieria Ilva. Lo propone ai tarantini Legambiente, l’associazione ambientalista che oggi, mercoledì 15 gennaio, arriva nella “città dei due mari” con la sua campagna Ecogiustizia Subito – In nome del popolo inquinato.
Con questo patto, che gli abitanti potranno sottoscrivere, l’organizzazione vuole spingere le amministrazioni a realizzare alcuni obiettivi: completare le indagini sulle aree ritenute a rischio, sbloccare i fondi destinati alle bonifiche della città e avviare il completo risanamento del territorio. Non solo. Legambiente propone un progetto ambizioso di sviluppo territoriale per creare occupazione indipendente dall’industria pesante, con quattro obiettivi: “Liberarci dai veleni del passato e del presente, decarbonizzare le produzioni inquinanti, favorire attività economiche ecocompatibili e l’innovazione tecnologica, energetica, ambientale, sociale, investire su formazione, università e ricerca ricorrendo sempre più a un approccio bioculturale”.
I temi saranno discussi nel pomeriggio, nella sala parrocchiale della chiesa “Gesù Divin Lavoratore” nel quartiere Tamburi (il più colpito dall’inquinamento), nel corso di un’assemblea pubblica a cui parteciperanno il Commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, Vito Felice Uricchio, e il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.
Cosa sono i crimini ambientali?
In nome del popolo inquinato. La campagna di Legambiente
In Italia, sei milioni di cittadine e cittadini italiani vivono privati del diritto alla salute, a un ambiente salubre, a uno sviluppo sostenibile. Sono gli abitanti dei 42 Siti di interesse nazionale (Sin) e dei 36.814 Siti di interesse regionale (Sir) dichiarati a rischio a causa di un inquinamento grave e diffuso, ma da decenni in attesa di bonifica. Persone che convivono quotidianamente con la sensazione di essere stati dimenticati, oltre che con la paura di contrarre una malattia inevitabile. A loro tutela Legambiente ha lanciato la campagna Ecogiustizia subito sostenuta anche da Libera, Azione cattolica, Acli, Agesci e Arci.
L’iniziativa prevede sei tappe in territori critici, con il coinvolgimento di associazioni e comitati locali. Casale Monferrato (Alessandria), Taranto, Marghera (Venezia), Augusta , Priolo e Melilli (Siracura), Brescia e Napoli, con flash mob, assemblee e manifestazioni per sensibilizzare e portare i cittadini alla firma del Patto di comunità per l’ecogiustizia, un documento che raccoglie i principi, le richieste e gli impegni della campagna.
Dopo la prima tappa di Casale Monferrato, nota per lo stabilimento Eternit, fabbrica di prodotti in amianto e causa di mesoteliomi mortali per almeno 1.254 persone dal 1990 al 2018, la seconda si tiene a Taranto.
La campagna Ecogiustizia parte da Casale e dell’amianto
Taranto, scena del dilemma tra lavoro e salute
Tamburi è il quartiere che ospita fin dal 1965 l’ex acciaieria Ilva. In quell’anno, con l’apertura del quarto polo siderurgico del paese il governo italiano sceglie strategicamente Taranto per rispondere alla necessità di sviluppo del meridione e di nuovi posti di lavoro. L’azienda pubblica Italsider – primo nome di Ilva – diventa in pochi decenni il più grande stabilimento siderurgico d’Europa.
Verso la metà degli anni Settanta raggiunge l’apice della produttività e impiega circa 40mila lavoratori tra appalti e indotto e nel 1980 il solo stabilimento pugliese raggiunge il 79 per cento della produzione totale di Italsider. Negli anni Ottanta, con la crisi della siderurgia europea, inizia il processo di privatizzazione che si conclude nel 1995 quando il Gruppo Riva acquista l’acciaieria per 1.649 miliardi di lire, assorbendo un debito di circa 1.500 miliardi. Il fatturato annuo è di circa 9.000 miliardi. Un affare.
Negli anni Duemila, al culmine dello sfruttamento dell’impianto e dei suoi dipendenti, alcuni segnali della compromissione ambientale superano la cortina del territorio, ormai assuefatto alla presenza dello stabilimento. Da tempo gli abitanti sanno che qualcosa non va. Il color ruggine dei marciapiedi del quartiere non somiglia per niente a quello delle altre città. I bambini si ammalano troppo. Il bestiame abbattuto. L’aria è irrespirabile. Ma c’è poco lavoro e l’Ilva dà da mangiare a tante famiglie.
Nel 2012 la svolta
La perizia dell’inchiesta dice che nei sette anni precedenti l’acciaieria ha immesso nell’ambiente 4.159 tonnellate di polveri, 11mila di diossido d’azoto e anidride solforosa e 11.550 persone sono morte a causa delle stesse emissioni
Ambiente svenduto, l’inchiesta della procura di Taranto iniziata nel 2010, scoperchia una rete di collusioni con funzionari pubblici pensata per negare l’inquinamento creato dell’acciaieria ed evitare freni alla produzione. E ai guadagni.
Nel 2012, l’inchiesta porta al sequestro degli altoforni e all’arresto di dirigenti e proprietari dell’azienda, tra cui Emilio Riva, principale azionista del gruppo. Le accuse sono di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omicidio colposo e corruzione. Le perizie del tribunale dicono che nei soli sette anni precedenti sono state immesse nell’ambiente circostante 4.159 tonnellate di polveri, 11mila di diossido d’azoto e anidride solforosa. La stessa perizia dimostra che in quei sette anni sono morte 11.550 persone a causa delle stesse emissioni per cause cardiovascolari e respiratorie. Secondo l’Inventario nazionale delle emissioni e delle loro sorgenti (Ines) a Taranto è stata immessa in atmosfera il 93 per cento di tutta la diossina prodotta in Italia e il 67 per cento del piombo.
Lo Stato cerca in tutti i modi di salvare l’azienda dalla chiusura per evitare l’emorragia di posti di lavoro e tutelare una produzione fondamentale per il resto dell’economia italiana, senza la quale l’intero sistema subirebbe un colpo fatale in termini di costi e produttività. Si moltiplicano decreti, amministrazioni straordinarie e commissari con il compito di bonificare il territorio e rendere appetibile l’azienda per un compratore. Nel 2017 Arcelor Mittal, multinazionale indiana, vince la gara per assumerne il controllo e la successiva acquisizione salvo ritirarsi dalla gestione nel 2019 perché il governo non concede lo scudo penale. Nel 2021 Am InvestCo Italy e Invitalia subentrano nel capitale sociale dando vita all’amministrazione straordinaria di Acciaierie d’Italia.
Michele Riondino: “A Taranto la presenza dell’Ilva è ossessiva”
Il processo Ambiente svenduto
Dopo la sentenza del 2021 con 26 condanne e 270 anni di carcere complessivi, a settembre 2024, su richiesta della difesa della famiglia Riva, la Corte d’assise d’appello di Taranto ha annullato la sentenza di primo grado e trasferito gli atti alla Procura di Potenza
Nel frattempo il processo Ambiente svenduto, iniziato nel 2016, con oltre 40 imputati, fa luce sulla gestione del Gruppo Riva e le conseguenze per il territorio e le persone che ci vivono. Nel 2021, la Corte d’assise di Taranto emette le prime sentenze. Ventisei condanne, tra dirigenti, manager ed ex amministratori pubblici, per le accuse di concorso in associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, per un totale di 270 anni complessivi di carcere, nei quali spiccano i 20 e 22 anni inflitti a Fabio e Nicola Riva. Ma a settembre 2024, su richiesta della difesa della famiglia Riva, la Corte d’assise d’appello di Taranto annulla la sentenza di primo grado e trasferisce gli atti alla procura di Potenza con la motivazione di incompatibilità ambientale. Il processo è da rifare.
Le offerte di acquisto
Alla mezzanotte dello scorso 10 gennaio scadevano i termini per presentare le nuove offerte di acquisto di Acciaierie d’Italia. A conferma, nonostante tutto, dell’appetibilità del sito ne sono arrivate dieci, di cui tre per l’intero gruppo e sette per singoli asset. Ora i commissari straordinari avranno bisogno di un tempo per analizzarle mentre l’attività industriale, con oltre duemila lavoratori in cassa integrazione e un record di produzione negativo di 2 milioni di tonnellate di acciaio annue, procederà debolmente fino alla nascita della prossima gestione.
Nel frattempo, come denuncia lo stesso Patto di comunità prodotto dalla campagna Ecogiustizia Subito, sebbene Taranto sia stata dichiarata area a “elevato rischio di crisi ambientale” già nel 1990 e nonostante l’istituzione nel 2012 del Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione, gli interventi realizzati sono ancora insufficienti e la mortalità nel territorio continua a mostrare eccessi per tutte le cause, dal tumore del polmone al mesotelioma della pleura e malattie respiratorie.
Ferrajoli: “Serve una Costituzione della Terra”
Quella dell’ex Ilva di Taranto è solo una delle storie che ammala il nostro paese. La campagna Ecogiustizia Subito. In nome del popolo inquinato prevede altre quattro tappe: Marghera (22 gennaio); Augusta, Priolo e Melilli (12 febbraio); Brescia (12 marzo) e Napoli (3 aprile). Il 6 febbraio a Roma è in programma il lancio del dossier e un’azione dimostrativa sotto la sede del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Insomma, per guarire il malato occorre applicare una cura costante.
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