Maltrattata: il marito condannato a tre anni

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CREMONA – Il matrimonio combinato in India nel 2018, «la conflittualità tra la coppia», «le diverse abitudini». Soprattutto, «le minacce e gli schiaffi», per l’accusa: cinque episodi di maltrattamenti sulla moglie, dal 2022 al 2023. Oggi il giudice ha condannato a 3 anni di reclusione — uno in più rispetto alla richiesta del pm onorario — un indiano di 33 anni, arrivato in Italia all’età di 10.

A Cremona ha studiato, si è preso il diploma alla scuola edile, ha trovato lavoro come mungitore e si è fatto una compagnia di amici con i quali il fine settimana tirava tardi in discoteca. Gli piaceva bere e assumere droga. Dopo le nozze combinate, la moglie era rimasta in India fino al 2022, quando si è ricongiunta con il marito. «Dopo un mese abbiamo cominciato a litigare, ma i litigi ‘forti’ sono stati quattro o cinque. Lui beveva e consumava droga», aveva spiegato la donna al giudice, precisando come per ‘forti’ intendesse «litigi, in cui lui ha alzato le mani: per lo più sberle». E, poi, le minacce: ‘Ti ammazzo’.

A giugno del 2022 il primo episodio. «Lui era rientrato tardi. ‘Dove sei stato?’ Mi ha picchiato, 4-5 sberle. Ho chiamato i miei cognati (abitavano al piano di sotto) e lui si è calmato». A luglio il secondo: «Stavo bevendo il caffè. Si è avvicinato. ‘Mi fai un caffè?’. Io: ‘Aspetta un attimo che finisco’. Mi ha dato una sberla. Lui è uscito di casa. Sono andata dai miei cognati». A febbraio del 2023 il terzo. «Una notte è rientrato tardi e la mattina è stato a letto. Gli ho chiesto spiegazioni, abbiamo litigato, mi ha preso a schiaffi. Sono riuscita a tirarlo indietro. Si è scusato, dava la colpa alla droga e all’alcol. Quella volta mi ha anche dato un calcio e picchiata con la scarpa sulla pancia». Sempre a febbraio, il quarto. «Abbiamo litigato per gli stessi motivi, era tornato tardi la notte. Mi ha preso a sberle per 20-25 minuti, prima in camera, poi sul divano. ‘Ti uccido’. Mi ha preso anche il telefonino». A luglio del 2023 il quinto episodio. «Mi ha chiesto 3 euro, mi ha preso a calci e schiaffi. Mi ha preso per il collo davanti ai miei cognati». La moglie non è mai andata al Pronto soccorso, non ha mai chiamato le forze dell’ordine. Il 24 luglio si è presentata ai carabinieri e lo ha denunciato. «Ho continuato a sperare che le cose cambiassero, non mi andava più di soffrire».

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Il marito — da allora sottoposto al divieto di avvicinarsi a una distanza inferiore a 300 metri dalla moglie (vive in una casa protetta) — aveva respinto le accuse. Difeso dall’avvocato Raffaella Parisi, aveva raccontato la sua verità: «Quando mia moglie è arrivata dall’Italia, la conoscevo poco, all’inizio non parlavamo tanto. Tornavo tardi di solito il venerdì e il sabato dalla discoteca. I litigi? Iniziava sempre lei per le solite menate». «Disaccordi sul modo di vivere?», aveva rilanciato il difensore. «Sì, lei non usciva. Le discussioni erano sempre reciproche. Ogni volta che litigavamo, lei spingeva me, io lei. Non l’ho mai picchiata, non le ho dato calci e quelle robe lì. Una volta lei mi ha lanciato un bicchiere in faccia, un’altra io ho chiamato i carabinieri: avevo bevuto, rischiavo di picchiarla. Lei si infastidiva quando vedevo gli amici».

«Sicuramente, alla base c’era una incompatibilità della vita matrimoniale, ma poi l’imputato non ha più avuto il controllo e per diverso tempo ha tenuto condotte irriguardose», aveva sostenuto il pm.

Di «situazione conflittuale» aveva parlato il difensore. «Bisogna contestualizzare i fatti». Per il difensore, «è emersa una situazione conflittuale dovuta a una divergenza culturale. Il matrimonio è stato combinato, il mio assistito si era già ambientato nel tessuto sociale, la moglie no. Lei non voleva che il marito uscisse con gli amici, avevano due mentalità completamente diverse. Ma lei stessa ha negato le minacce e le percosse. Ha parlato di sporadiche discussioni. In un caso, l’ha provocata lei, tant’è che a chiamare le forze dell’ordine è stato il mio assistito. La moglie si è allontanata non tanto per paura. Lei non ha mai chiamato le forze dell’ordine. Siamo in un contesto di conflitti di rapporti di coppia, non maltrattamenti». Il giudice depositerà la motivazione della sentenza entro 60 giorni.





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