In pensione prima grazie alla previdenza…

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Tra le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 – approvata definitivamente lo scorso 30 dicembre – ce ne sono alcune che riguardano l’eterno cantiere delle pensioni.

Tra le altre cose, sono state confermate nuove proroghe per gli anticipi con Opzione Donna, APE sociale e Quota 103, oltre a piccoli aumenti delle pensioni sociali e alla conferma dell’incentivo contributivo per chi resta in servizio. Ma soprattutto è stata introdotta la possibilità di un accesso agevolato alla pensione anticipata per i lavoratori interamente contributivi (cioè coloro che hanno iniziato a versare contributi dal primo gennaio 1996) che faccia valere le rendite della previdenza integrativa ai fini del raggiungimento della soglia minima dell’assegno di pensione.

Come funziona

Che cosa significa, in concreto? Innanzitutto, è bene ricordare che la pensione anticipata contributiva prevede una riduzione nell’età anagrafica necessaria e un totale di contributi richiesti inferiore rispetto all’anticipata ordinaria. Per poter accedere a questa possibilità sarà necessario avere almeno 64 anni di età e 25 anni di contribuzione, che saliranno a 30 dal 2030. Inoltre, il lavoratore deve aver maturato una rendita pensionistica che sia almeno pari a tre volte l’assegno sociale, che nel 2024 era pari a 534,41 euro.

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A partire da quest’anno, gli iscritti a fondi pensione o a Piani individuali pensionsitici (PIP), avranno la possibilità di sommare la rendita maturata dal proprio fondo pensione (o PIP) a quella prevista dall’INPS per raggiungere gli importi soglia mensili.

Le forme di previdenza complementare dovranno mettere a disposizione una certificazione che attesti l’effettivo valore della rendita mensile. A questo proposito, spetterà a un decreto interministeriale individuare i criteri di computo e le modalità di richiesta e di certificazione della proiezione della rendita.

Una misura per pochi

“La finalità ultima sembra essere quella di agevolare l’uscita anticipata dal mondo del lavoro e non tanto incentivare le adesioni alla previdenza complementare soprattutto dei più giovani”, commenta Michaela Camilleri, responsabile Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, intervistata da Morningstar.

“Peraltro, considerando il plafond massimo sul quale si pagano i contributi e che dà luogo alla pensione (oggi circa 113mila euro), saranno davvero pochi quelli che potranno accedere a questa anticipazione; dovrebbero infatti aver accantonato in previdenza obbligatoria un montante contributivo di oltre 400mila euro, oppure un mix tra obbligatoria e complementare superiore ai 450mila euro”, prosegue Camilleri, che aggiunge: “forse per dare slancio alla previdenza complementare sarebbe stato più utile inserire il discusso nuovo semestre di silenzio-assenso, accompagnato da un’adeguata campagna informativa e dal ripristino del fondo di garanzia per le micro e piccole imprese, e/o modificare la tassazione o quanto meno ridurla”.

Troppo poco per rilanciare la previdenza complementare

Per la prima volta, comunque, il pubblico e il privato si uniscono in ambito pensionistico. Questo provvedimento, almeno a livello teorico, rende ancora più conveniente l’adesione a un fondo pensione o a un PIP, strumenti che comunque già godevano di almeno due vantaggi importanti: la deducibilità dei contributi versati dal reddito dichiarato che riducono il reddito imponibile e garantiscono un risparmio sull’IRPEF (l’importo massimo annuale che si può dedurre è di 5164,27 euro) e l’imposta sostitutiva sulle rendite più bassa rispetto a quella ordinaria.

Il sistema prevede infatti un’aliquota agevolata sui rendimenti – 20% contro il 26% ordinario – e una sulle rendite del 15% che, dopo i 15 anni di versamenti, diminuisce dello 0,3% per ogni anno successivo, fino al limite massimo di riduzione pari a 6 punti percentuali: con 35 anni di partecipazione l’aliquota scende quindi al 9%. Questo tasso è notevolmente inferiore rispetto alle aliquote IRPEF applicate alle prestazioni pensionistiche tradizionali, che possono raggiungere un massimo del 43%.

Tuttavia, secondo Michaela Camilleri, per dare un vero slancio alle adesioni, “si potrebbe passare, come avviene in altri Paesi, all’esenzione sui rendimenti o almeno riportare la tassazione all’11% com’era in passato. Anche la revisione della soglia per la deducibilità dei contributi, fermo al 2007, potrebbe rappresentare un ulteriore incentivo. Da ultimo – dice Camilleri – rivedere il sistema delle rendite che, ad oggi, è piuttosto penalizzante e, infatti, la maggior parte dei lavoratori che può farlo opta per il capitale”.

L’autore o gli autori non possiedono posizioni nei titoli menzionati in questo articolo. Leggi la policy editoriale di Morningstar.

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