“Per cogliere la ‘verità’ mi basta un segno”: Giovanni Chiaramonte all’APE Parma Museo

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È davvero imperdibile questa monumentale prima retrospettiva su Giovanni Chiaramonte, organizzata grazie a una decisiva collaborazione tra il CSAC – Centro Studi Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma (fondato da Arturo Carlo Quintavalle, amico personale di Chiaramonte e curatore della mostra) e Fondazione Monteparma. Ospitata nei locali dell’APE Parma Museo di Via Farini, la mostra, visitabile sino al prossimo 9 febbraio, si snoda attraverso quattrocento immagini, classificate in 26 tematiche progettuali dal grande fotografo lombardo di origini gelesi. “La fotografia come misura del mondo” è il titolo dato dai curatori a questo lunghissimo viaggio dentro la poetica del fotografo, pregna di presenze umane, elementi di paesaggio, silenzi, luci, ricerca costante del divino nel particolare, continui rimandi alla cinematografia di Andrej Tarkovskij. Chi la visita si trova di fronte alla compresenza di elementi concettuali e realistici, geometrie e prospettive, e non si perde mai di vista l’essenza dell’arte fotografica di Giovanni Chiaramonte, che affermava: «La fotografia è scrivere con la luce un istante in modo permanente». Di fronte a un allestimento impeccabile e capace di non far perdere l’orientamento del visitatore, applicheremo qui in recensione il metodo messo in atto durante la visita: seguire cronologicamente la mole delle opere esposte in un ordine possibilmente cronologico che inizia nel 1970 e termina quarant’anni dopo, intorno al 2010.

Giovanni Chiaramonte, “Gela”, 1970, ph. courtesy APE Parma Museo © Eredi Giovanni Chiaramonte

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Gli esordi di Giovanni Chiaramonte sono un ritorno alle origini: “L’ultima Sicilia” (1970) è un progetto in bianco e nero che fotografa le anime viventi dei paesini accecati dal sole, nei loro movimenti quotidiani, riprese in attimi in cui il bianco abbacinante del sole e delle lenzuola stese su strada vibrano come il nero delle vesti di donne anziane. Da un racconto dal titolo molto reale si passa l’anno successivo a “Numerazione Desolazione”, un progetto che il titolo rende efficacemente. Siamo in un luogo di Milano lontano dalla ribalta: la numerazione è quella segnata con il gesso bianco negli stalli d’auto e la desolazione è quella di un parcheggio ricavato da un edificio bombardato che, privo delle macerie, diventa una struttura orizzontale raccontata in undici scatti. “Sequenze nel tempo” è il racconto che occupa il biennio 1973-74 e procura un sussulto destabilizzante. Il fotografo ci trasporta tra i cieli e nello spazio fotografando, nel buio della stanza, immagini spaziali provenienti dal televisore. Il risultato finale è costituito da trittici e polittici immaginifici che ci spingono dentro la realtà attraverso il linguaggio mediato. Si torna nell’amata Sicilia e a fotografie che fissano il reale con il progetto “Giardini in Sicilia” (1974), in cui Chiaramonte escogita un titolo più poetico per rappresentare, in verità, lo smarrimento di chi non riconosce più le proprie origini e il mondo che ha vissuto. Il suo occhio è un pendolo tra due mondi, essendo figlio dell’epoca di classica emigrazione italiana del boom economico. Come ormai ben sappiamo, l’arte fotografica di Chiaramonte oscilla anche verso il concettuale cui torna con il progetto “La Creazione/Neon”, sempre del 1974, grazie al quale il creativo fornisce un omaggio diretto agli artisti coevi che usavano il neon come materiale. Siamo di fronte a una linea luminosa, un cerchio che irradia luce e altri segni virtuali che, in realtà, intendono dirci che quella non è solo una linea e l’altro non è solo un cerchio.

Giovanni Chiaramonte, “Vela-Gela”, dalla serie “Terra del ritorno”, 1985, particolare, courtesy CSAC- Centro Studi Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma

Giovanni Chiaramonte, “Vela-Gela”, dalla serie “Terra del ritorno”, 1985, particolare, courtesy CSAC- Centro Studi Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma © Eredi Giovanni Chiaramonte

Il 1974 è un anno fertile per Chiaramonte: viene proposto in mostra un altro progetto, “Discorso di Natale” nel quale riprende gli stilemi delle sequenze temporali e ci propone le immagini del papa di allora, Paolo VI, mentre annuncia il discorso natalizio. Se l’elemento tempo sembra ben determinato, Chiaramonte ci destabilizza introducendo la finestra del proprio appartamento, anch’essa immersa nel buio della stanza, quasi a fare da pendant concettuale con il finestrone da cui si affaccia il pontefice. E sempre nel 1974, Chiaramonte realizza “Dov’è la nostra terra”, un progetto che abbraccia diverse località italiane ed estere e che è molto centrato sul significato delle immagini e del segno. Torna l’oggetto finestra quattro anni dopo con “Finestre”, una serie tematica che ripropone ciò che si vede dal di dentro: l’obiettivo inizia la sua raffigurazione dall’interno della stanza per proporre ciò che può catturare attraverso il fragile ostacolo di una tenda, del vetro, della prospettiva. “Verso il celeste” del 1978 sposa, con un titolo rivelatore della profonda fede di Chiaramonte, la causa contro il consumismo. Spicca in questo progetto tematico la fotografia del corpo di una modella, ritratta su un tabellone pubblicitario con un gigantesco cuore rosso, mentre sullo sfondo si staglia una alienante periferia urbana. Come già nei giardini siciliani, anche nel progetto “Giardini e paesaggi”, i giardini fondamentalmente appartengono alla metafisica del titolo: in questa serie, infatti, il fotografo ci mostra un confronto tra presente e cultura classica includendo, nel formato quadrato della scena (il giardino è un luogo di progettazione e di mediazione molto rigorosa), frammenti di statue antiche attraversate da ombre. La fotografia centrale della serie “Paesaggio italiano” (siamo entrati nella decade anni ’80) è la ripresa di uno scaffale della libreria domestica del fotografo, con in bella evidenza alcuni testi di riferimento della sua poetica e della sua sensibilità: la presenza di Aristotele, Sant’Agostino, Sartre, Florenskij denotano un flusso conoscitivo che si abbevera di metafisica, di fede cristiana, di esistenzialismo. “Viaggio in Italia” è il baricentro di questo periodo e degli anni a venire per tutta la fotografia italiana. Impossibile non associare il nome di Luigi Ghirri a questo progetto di disvelamento della nostra identità sociale e culturale attraverso lo strumento fotografico. Giovanni Chiaramonte è tra i protagonisti assoluti di questo passaggio fondamentale (sono inclusi in tutto venti fotografi) e contribuisce con alcune fotografie necessariamente contigue alla poetica ghirriana.

Giovanni Chiaramonte, “Via Dolorosa, Jerusalem”, 1988, courtesy Fondazione Monteparma © Eredi Giovanni Chiaramonte

Giovanni Chiaramonte, “Via Dolorosa, Jerusalem”, 1988, courtesy Fondazione Monteparma © Eredi Giovanni Chiaramonte

Siamo nel 1984 e il fotografo propone “Vitriol”, un acrostico che induce a coordinare il macrocosmo divino con il microcosmo umano. Ritorna la finestra di una stanza (metafora del passaggio interno-esterno) e colpisce ad esempio un labirinto sull’asfalto, espressione dell’ingannevole in cui l’uomo può perdersi. “Terra del ritorno” è un progetto itinerante, attraverso alcune città importanti come Porto, Berlino, Atene, Istanbul e Gerusalemme e, prima tra tutte, Gela, città di origine della famiglia di Chiaramonte. La foto simbolo di questa serie potrebbe essere la prua della nave affondata e direzionata verso ovest, quasi a raffigurare il ritorno verso il luogo di vita. “Attraverso la pianura” è un progetto da indagine sociale: Chiaramonte ritrae il marginale, l’obliquo, tutto ciò che, ai lati, si muove attorno alle vie di comunicazione veloci. Siamo nel 1987 e, nello stesso anno, il fotografo inizia anche il progetto di maggiore respiro temporale (comprenderà due decenni) e verticale su “Venezia”. In questo contesto, il suo sguardo incrocia l’essenza della poesia che le atmosfere della città regalano alla sua sensibilità. La città è spesso raffigurata intrecciando il suo elemento principale, l’acqua, con il cielo, creando così a Chiaramonte quel senso di pace tante volte evocato. Quasi in contemporanea, il fotografo approda a “Berlino”, città che indaga per evidenziarne il crudele destino storico. Il trittico delle urbes si completa con “Jerusalem”, luogo che è una costante dello sguardo di Chiaramonte: siamo sempre alla fine degli anni ’80 e la capitale delle tre religioni monoteistiche evoca sia il compimento fideistico del credente sia la necessità del dialogo tra culture che non sono molto distanti tra loro. Una pensilina nel paesaggio infinito e un albero solitario su una piazza sono i simboli di un nuovo viaggio di interrogazione del paesaggio contemporaneo italiano. Le due sottili verticalità sono al centro di “Penisola delle figure” in cui, oltre ad adottare definitivamente il colore, Chiaramonte entra nella decade degli anni ’90. Il tema, già presente, del ritorno a occidente è portante anche in “Westwards” (1996), ‘verso occidente’, dove il fotografo ci catapulta ai bordi di una palude dalla quale affiora un alligatore, osservato con tranquilla abitudine dagli abitanti del luogo (siamo in Florida) e in città sono abbacinanti le colonne “neoclassiche” delle abitazioni statunitensi. Il mondo latino-americano è geograficamente molto vicino alle coste statunitensi ed è il centro del progetto “Oceano latino”: il titolo molto suggestivo abbraccia i viaggi compiuti da Chiaramonte in Messico, Panama, Trinidad e Cuba. Lo spettro dei soggetti raffigurati è molto ampio e include i segni della grande devozione religiosa di quei popoli con lo spirito rivoluzionario e anticapitalista che ne ha permeato, in alcuni casi, la storia recente.

Giovanni Chiaramonte, “Duomo”, dalla serie “Cerchi della città di mezzo”, 1999, particolare, courtesy Fondazione Monteparma © Eredi Giovanni Chiaramonte

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Giovanni Chiaramonte, “Duomo”, dalla serie “Cerchi della città di mezzo”, 1999, particolare, courtesy Fondazione Monteparma © Eredi Giovanni Chiaramonte

“Ai confini del mare” è un progetto a lungo termine, infatti abbraccia il decennio 1985-1995. Il fotografo torna in Sicilia, nello specifico a Gela e dintorni, e raffigura una Sicilia dilatata, estesa, con spazi infiniti che appunto guardano verso gli orizzonti geografici. La decade duemila si apre con un ritorno alla concettualità e la città di Milano è la scena raffigurata nella serie tematica “Cerchi nella città di mezzo”. L’idea che sta alla base del progetto è quella di ritrarre la metropoli dalla periferia verso il proprio centro: e al centro, focus di tutto questo viaggio, una coppia si bacia ai piedi della Madonnina del Duomo, con un richiamo molto simbolico al credo del fotografo. Il tema del dialogo tra gli esseri umani trova compimento con il progetto “L’altro_nei volti, nei luoghi (2010), in cui esplora di nuovo il margine sociale. Il viaggio fotografico si snoda tra Palermo e Milano e ritrae i volti di chi non appartiene all’Unione Europea. Chiaramonte ritrae queste persone, spesso invisibili, all’interno di un trittico in cui, la fotografia centrale mostra il viso, mentre quelle laterali i luoghi che vivono e gli attrezzi da lavoro che usano. L’immanenza del terremoto è il focus di “Interno perduto”, un progetto fotografico centrato sui danni provocati dal terremoto che scosse la Bassa Modenese il 31 maggio 2012. In questo caso, la necessaria sensibilità individuale spesso intreccia l’arte compositiva, con un maggiore rigore nelle linee e nell’occupazione dello spazio all’interno delle immagini. Infine, coeva è anche la serie tematica “Salvare l’ora”, un viaggio fotografico del 2011-12 che unisce la poetica del fotografo con la specificità della forma interiore all’haiku. Sono 70 polaroid accompagnate da 70 haiku scritti dal fotografo e il progetto è molto ben spiegato dalle dirette parole del fotografo: «sono tracce leggere della presenza divina nascosta all’interno di ogni forma e figura che splende nel mondo». La mostra è accompagnata dalla voluminosa monografia “Giovanni Chiaramonte” di Arturo Carlo Quintavalle, esordio editoriale di Electaphoto, progetto della casa editrice Electa.

Info:

Giovanni Chiaramonte. Fotografia come misura del mondo
10/11/2024 – 9/02/2025
APE Parma Museo
Via Farini, 32/a – Parma
www.apeparmamuseo.it




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