Lo scienziato Ennio Tasciotti e la scommessa della longevità che parte dal cervello: «Vivere più a lungo e in salute è relativo se poi non abbiamo più memoria di chi siamo»

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Vuole contribuire alla sfida globale di un invecchiamento in salute concentrando la sua ricerca sul cervello lo scienziato Ennio Tasciotti, direttore del primo laboratorio di Human longevity program all’interno dell’Irccs San Raffaele di Roma. Laureato in Biologia molecolare alla Normale di Pisa, ha fondato e diretto negli Stati Uniti il Center for Biomimetic Medicine e il Center for Musculoskeletal Regeneration presso l’Houston Methodist Research Institute, uno dei primi 20 ospedali in America. Dopo 15 anni è tornato in Italia per mettere a frutto la sua competenza sulla longevità umana. È considerato un pioniere nel campo della medicina biomimetica e tra i primi a sfruttare il potere rigenerativo del sistema immunitario per ricostituire organi e tessuti. All’università San Raffaele di Roma è docente di Tecnologie avanzate per il benessere e l’invecchiamento.

Se il 2024, in Italia, è stato l’anno della «presa di coscienza» dell’importanza di una longevità in salute, il 2025 sarà quello dell’organizzazione. Nominato advisor del forum Ambrosetti, con il compito di stimolare la crescita dell’imprenditoria della scienza, nel 2025 Tasciotti farà da collettore tra tutti coloro che si occupano di longevity. Obiettivo: organizzare al meglio le forze e far sì che l’Italia possa diventare uno dei Paesi più competitivi in questo campo.

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Professor Tasciotti, come funziona esattamente il programma di longevità umana dell’IRCCS San Raffaele di Roma?
«È un programma a due anime. Una è quella della ricerca di base, quella che ho condotto per tanti anni in America, ossia gli studi scientifici in laboratorio per sviluppare nuovi trattamenti, ed è una ricerca che parte proprio dallo studio delle cellule e, nel mio caso specifico, dallo sviluppo di nanoparticelle che sono in grado di raggiungere il cervello. All’interno del laboratorio ci sono scienziati che sviluppano particelle e le provano sulle cellule».

Perché concentrarsi proprio sul cervello?
«Perché il mio personale punto di vista sul progetto Human longevity, quello che mi sta molto a cuore, è proprio la longevità del cervello, fondamentale per garantire poi una vita lunga e sana all’individuo: possiamo fare tanto per migliorare le funzioni cardiache o renali, ma se ci abbandona la mente vivere più a lungo in salute è relativo. Come beneficiarne appieno se non abbiamo più memoria di chi siamo, dei nostri cari, di quello che abbiamo fatto? Il mio interesse, il mio contributo al programma sulla longevità umana come sfida globale è quindi mirato a quest’organo e, in particolare, a trovare un modo per trattare alcune patologie cerebrali. Perché nel mondo della medicina l’ultimo distretto anatomico, l’ultimo organo rimasto che non siamo ancora in grado di trattare è proprio il cervello. E questo, per me, non era più tollerabile».

Questa scelta ha determinato anche un cambio importante nella sua ricerca scientifica?
«In America ho lavorato tanto su tumori e malattie cardiovascolari, ma ho appunto pensato che fosse importante concentrare gli sforzi di ricerca a capire i meccanismi che portano il cervello ad ammalarsi e a perdere funzionalità. Questo per me è un punto chiave del programma di longevità umana come obiettivo globale di un invecchiamento in salute».

Avete già ottenuto dei risultati rilevanti?
«Abbiamo dei dati incredibili, di prossima pubblicazione, su alcune particelle che riescono a oltrepassare la barriera ematoencefalica, ossia la struttura che esiste tra i vasi sanguigni e il cervello; si tratta di una barriera impenetrabile anche ai farmaci, motivo per cui non possiamo trattare le malattie del cervello. Questo però è soltanto uno dei vari progetti di ricerca in atto».

Accennava anche a una «seconda anima» dello Human Longevity Program, di cosa si tratta?
«Mi riferisco alla parte in cui rientrano tante altre competenze cliniche. Perché all’IRCCS San Raffaele di Roma il focus è sulla riabilitazione cognitiva, motoria e funzionale nei pazienti anziani con multi comorbidità e malattie croniche, le patologie della vecchiaia. All’interno del team dei dottori del San Raffaele c’è un vero e proprio approccio a 360: si valuta la capacità cognitiva e come stimolarla, la parte motoria funzionale e tutte le scienze motorie ad essa connesse, poi la parte di riabilitazione cardiovascolare e polmonare, che riguarda altri due organi che abbandonano per primi l’anziano. All’interno del programma dell’IRCCS San Raffaele, in pratica, ci sono tutte le competenze necessarie per affrontare nella sua totalità quello che è il percorso di un paziente anziano. Sintetizzando quindi il discorso sulle due anime, una è focalizzata sulla ricerca prima ancora di poter arrivare ai trial clinici sull’umano, l’altra invece è focalizzata direttamente sui pazienti, ed è lì che si possono mettere in pratica alcune scoperte compiute negli anni passati».

Esiste anche un programma specifico di prevenzione?
«La parte relativa alla prevenzione classica rientra negli obblighi di un IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, ndr) di fare anche diagnosi precoce attraverso gli screening, che è uno dei modi per prevenire i sintomi di una grave malattia. Per quanto riguarda invece la prevenzione, ma anche l’informazione per chi sta ancora bene, quella è la parte di divulgazione di cui mi occupo personalmente. Perché c’è tutta un’altra fetta di popolazione a cui non serve un ospedale, serve solamente un po’ di cognizione di causa e di conoscenza più approfondita di quelli che sono gli impatti sull’invecchiamento di stili di vita errati e cattive abitudini. Questa è una lotta che si combatte fuori dall’ospedale, su temi che interessano a tutti. L’invecchiamento è sempre stato un tabù, fino a cinque anni fa non ne parlava nessuno. Adesso tutti vogliono sapere».



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