Lucio Corsi: «Meno moda e più musica: a Sanremo mi vesto da solo»

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di
Andrea Laffranchi

Il cantautore in gara con «Volevo essere un duro», una ballad su sogni e aspettative

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Il Festival lo ha già vinto. Nella terza stagione di «Vita da Carlo», quella in cui Verdone viene chiamato a dirigere Sanremo. Per Lucio Corsi, cantautore unico per sensibilità e libertà di approccio alla musica che nella serie interpreta se stesso, può bastare così. «Quando Verdone mi ha contattato non avevo ancora tentato quello vero… ma la musica non è competizione. Le gare si fanno con le motociclette. E lo dico da amante della velocità perché è una lotta contro il tempo che invece mi sta antipatico perché passa veloce».

Una trattoria milanese, zona Niguarda, una di quelle vere con ancora i quadri a olio appesi alle pareti e la perlinatura, la titolare in cucina che fa la spesa «solo di cose fresche» e gli habituée come Mario «mille lire», un signore con un barbone bianco alla Giuseppe Verdi, «compagno di pranzi di tutti i giorni» che Corsi ha voluto al suo fianco per presentare la sua avventura al Festival vero. «Sarà un’esperienza formativa, un passaggio della mia crescita e non un traguardo. Nella carriera non devi puntare a fare Sanremo ma a suonare dal vivo il più possibile». 




















































Le serate all’Ariston le vivrà proprio come un concerto, anche se di soli tre minuti. «Tutti dicono che è un frullatore: e allora per evitare il rischio di tagliarsi con le lame è utile saper suonare degli strumenti. E in questo mi ha insegnato molto suonare per strada: devi imparare a far fermare le persone. Spero di stare in tour tutta la vita, come Dylan con il Never ending tour, con gli strumenti in spalla, l’armonica in bocca e i musicisti che sono amici dai tempi della scuola e coi quali si condivide qualcosa in più che la musica».

È in gara con «Volevo essere un duro»,
una ballad «fra folk e rock and roll». «L’avevo scritta per il disco, senza pensare al Festival. Le canzoni si ribellano se cerchi di dare loro una forma per infilarle in un contenitore». Il testo analizza il distacco fra aspettative e realtà, le contraddizioni della società delle performance, con un linguaggio a volte fiabesco. «Parla di quanto il mondo ci vorrebbe infallibili, indistruttibili e inscalfibili con la solidità dei sassi e la perfezione dei fiori, senza dirci però che tutti i fiori sono appesi a un filo. Parla, ammesso che questa canzone abbia una bocca, del fatto che sia normale diventare altro rispetto a ciò che si sognava». Lui di sogni ne ha avuti diversi. «Avrei voluto fare il paleontologo, poi il cacciatore di insetti e a 10 anni scrissi anche una canzone sulle larve di cetonia, quindi il disegnatore di auto». 

E la musica? «Ho deciso che avrei fatto il cantante quando mamma e papà mi fecero vedere “Blues Brothers”: rimasi estasiato. In quel film il musicista è un supereroe in missione per conto di Dio. Scrivevo il mio nome sulle dita per imitare i loro tatuaggi e ho una cicatrice sotto il mento per una caduta mentre rifacevo il loro ballo».

Corsi è un cantautore con una cifra personalissima, fra Ivan Graziani e il glam rock, testi fra il fiabesco e l’onirico, un fisico androgino, un’estetica vicina alla glam rock. Tutto bio, senza un marketing invadente alle spalle, senza in ear nelle orecchie ma con le spie come si faceva una volta, senza nemmeno uno stylist a vestirlo. «Il mio gusto si è formato sfogliando riviste in cui vedevo le foto di Lou Reed e altre star. È vero che ho collaborato con Alessandro Michele e Gucci, e come fotografo c’era un grande come Mick Rock, ma era un progetto legato al glam rock. È tempo di centrare gli occhi su altro, sugli strumenti ad esempio. la patina ha stancato. E poi il glam era fatto da musicisti che cercavano una via di fuga da una vita grigia ma usavano stracci sberluccicanti e non brand».

C’è anche un album in arrivo, il quarto, e la copertina sarà un quadro di mamma. «La cosa più difficile per un artista è il cambiamento. Se ristagni in cose già fatte la musica diventa noiosa anche per chi la fa. Nel disco sono cambiato più a livello testuale, anche se sarà un po’ meno rock. Prima ero onirico, parlavo di persone attraverso animali, onde, vento… qui racconto le persone in maniera più diretta come facevano con maestria Lucio Dalla, Paolo Conte, Ivan Graziani… Sul palco vedo che oggi si raccontano cose rassicuranti e normali, io cerco canzoni che mi ingannano e portano avanti nel tempo o indietro nel passato o che mi fanno credere di essere qualcun altro».

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