Meloni, i giornalisti e il giornalese

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Di recente, molto spesso, si parla di crisi della democrazia, tesi peraltro plausibile: il sistema liberal-parlamentare è stato creato dagli uomini ed è quindi ineluttabilmente temporaneo. E si lanciano anche frequenti allarmi per i diritti, che si paventa vengano messi in pericolo. Tra questi, la libertà d’informazione.La conferenza stampa del Presidente Meloni, di cui ci siamo già occupati, offre alcuni spunti interessanti al riguardo che meritano un minimo approfondimento.

Meloni, ovviamente, non ritiene di rappresentare un problema per la stampa e per la democrazia, anzi ha ricordato che il Governo sta fornendo all’editoria “tenace sostegno” economico, riconosciutodal pur critico Presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli. Primo paletto: il giornalismo non riesce a sostenersi sul libero mercato e ha bisogno di prebende pubbliche. Si deve riconoscere che non è proprio la condizione migliore per svolgere il ruolo di presidio democratico e indipendente: liberismo, libertarismo, liberalismo sono cose diverse ma strettamente legate. La riflessione vale anche per altri settori sostenuti da finanziamenti dello Stato o delle amministrazioni locali come la cultura, il cinema, il teatro, la giustizia, la sanità e l’istruzione.

Riguardo poi al “non rispondere abbastanza alle domande dei giornalisti”, di cui Meloni viene accusata, ci si dovrebbe chiedere quanto e quando il diritto alla domanda implichi un dovere in tal senso. Davvero, per esempio, il Presidente del consiglio ha il dovere di “comunicare in dettaglio gli spostamenti, quasi si trovasse in regime di libertà vigilata o fosse una concorrente del Grande Fratello”, come pretendeva Repubblica la scorsa estate, con un enfatico “a noi tocca domandare, è la fatica della democrazia”? Questa domanda democratica è anche il microfono inseguitore delle inchieste di Report, che lasciano perplessi sempre più commentatori? E poi, forse, i giornalisti dovrebbero imparare a farle meglio, le domande. In conferenza stampa si è assistito a un campionario che va dal “calpestare le formiche” a labirintici percorsi tra Corvetto, Elon Musk e Acca Larentia.

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Riguardo agli allarmi per la riforma della diffamazione a mezzo stampa, poi: non è più previsto il carcere ma una multa, la questione viene risolta se si pubblica la smentita, ma soprattutto si tratta del caso “di una notizia falsa, pubblicata consapevolmente con l’intento di diffamare qualcuno”. Come osserva giustamente Meloni, “qualsiasi giornalista dotato di una deontologia non dovrebbe preoccuparsene”. Così come, riguardo alla presunzione di innocenza, non appare proprio una limitazione del diritto di cronaca la norma che chiede al giornalista di fare una sintesi delle ordinanze di custodia cautelare in carcere anziché pubblicarle testualmente “perché nelle ordinanze sono contenuti anche atti sensibili o stralci di intercettazione”.

Infine, davvero l’informazione è quella sparata come (sedicenti) scoop a ripetizione? “Mi capita di trovare virgolettate dichiarazioni che non ho mai detto né pensato e riportati fatti che non sono avvenuti”, come ha detto papale papale Meloni: “Io assicuro rispetto per il vostro lavoro, mi permetto di chiederne per il mio”.

Il quadro è molto complicato e, come ha detto Meloni (ma l’Ordine e i giornalisti non sembra abbiano raccolto), occorrerebbe una riforma che investa tanti aspetti: dall’intelligenza artificiale all’equo compenso, fino alla “protezione di giornalisti che vanno in giro per il mondo, con le strutture dello Stato italiano” (l’allusione meloniana è piuttosto trasparente). Ci sono, eccome, giornalisti che fanno i cani da guardia della democrazia, che denunciano l’illecito, che combattono interessi occulti, criminalità organizzata e relative infiltrazioni. Ma non basta l’iscrizione all’Ordine, dove c’è, per entrare nella categoria degli eroi.

E anche il tema delle democrazie forse in crisi merita una riflessione meno stereotipata. Se libertà e diritti sono sotto attacco, lo sono anche da parte anche della magistratura: da Trump a Todde, da Toti a Bolsonaro i casi non mancano. E della tecnologia, come ha ricordato Mattarella, della finanza, dei poteri fortissimi dell’economia. E sono comunque declinati in modi diversi a seconda delle coordinate spazio-temporali: negli Usa vige ancora la pena di morte, per fortuna da noi considerata inammissibile, scuola e sanità soffrono un problema di sostenibilità per ragioni demografiche, non per la cattiveria di qualcuno. E poi, ha senso annullare un voto perché influenzato da un social, come in Romania? Le regole anti-fake sono davvero diverse dalla censura? Sediamoci a ragionare pacatamente, come propone il presidente del Consiglio.



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