La guerra ibrida di Donald Trump

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di Enrico Tomaselli – 19/01/2025

Fonte: Giubbe rosse

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Nonostante le grandi aspettative di cui รจ riuscito a circondare il suo secondo mandato presidenziale, รจ assai improbabile che Trump possa e voglia imprimere una svolta radicale alla politica internazionale degli Stati Uniti. E ciรฒ per la semplice quanto evidente ragione che le linee strategiche di una grande potenza non possono essere soggette a continui cambiamenti, se non sul piano tattico e per gli aggiustamenti resi necessari dallโ€™evoluzione delle situazioni, e che pertanto non รจ una Presidenza che imprime la direzione, ma รจ questa a determinare il Presidente.
Fermo restando, quindi, che la presidenza Trump (cosa del resto chiaramente rivendicata) avrร  come obiettivo la riaffermazione dellโ€™egemonia americana, e non certo una qualsiasi apertura al multipolarismo, resta da capire come concretamente svilupperร  questa linea strategica, soprattutto relativamente alle maggiori aree di crisi, ma non solo.

Se guardiamo ad esempio alla crisi ucraina, sulla quale del resto si รจ accentrata lโ€™attenzione, possiamo notare come la posizione statunitense โ€“ quale si va sempre piรน delineando โ€“ รจ caratterizzata innanzitutto da un approccio riduttivo, che cioรจ considera il conflitto come una questione circoscritta, che va mantenuta e risolta in un ambito limitato, senza quindi affrontare i temi di fondo che invece lo sottendono, quali non solo lโ€™appartenenza o meno dellโ€™Ucraina alla NATO ma la sua neutralitร /smilitarizzazione e, ancora piรน importante, una nuova architettura di sicurezza reciproca in Europa e globale. Temi questi che, per loro natura, richiederebbero appunto la disponibilitร  a mettere in discussione la supremazia statunitense, cosa che la nuova amministrazione non vuole e non puรฒ fare.
Ugualmente, si vede come Washington intenda conseguire il solo risultato che gli sta a cuore โ€“ ovvero la fine dei combattimenti โ€“ attraverso una politica del bastone e della carota; da un lato offrendo la prospettiva di un progressivo allentamento delle sanzioni ed il riconoscimentoย de factoย delle annessioni territoriali, accompagnati da un rinvioย sine dieย dellโ€™adesione di Kiev alla NATO, e dallโ€™altro la minaccia di inasprirle e di mantenere il sostegno militare allโ€™Ucraina, magari allargandone la facoltร  di utilizzo.

Con ogni probabilitร , verrร  da prima provato lโ€™approccioย morbidoย per poi, qualora questo non dovesse sortire gli effetti sperati, passare a quelloย duro. Il presupposto, ovviamente, รจ che la Russia desideri porre fine comunque al conflitto, almeno quanto lo desidera lโ€™occidente, e che pertanto il combinato disposto di questo duplice approccio finirร  per convincerla a negoziare, nellโ€™ambito dei termini immaginati alla Casa Bianca. Di fondo, cโ€™รจ comunque la convinzione che gli Stati Uniti abbiano un vantaggio strategico di potenza, rispetto alla Russia, che non solo va difeso e riaffermato, ma che รจ tale da piegare le resistenze che potrebbero manifestarsi da parte del Cremlino.
Il punto debole di questa prospettiva รจ che si fonda su una erronea valutazione, sia del punto di vista russo, sia del suo gruppo dirigente, sia degli stessi rapporti di forza. Sembra quasi che a Washington pensino di avere di fronte Eltsin, piuttosto che Putin.

Oltretutto, alla leadership russa non puรฒ sfuggire il contesto globale in cui si viene a collocare il presunto approccio dialogico statunitense. Contesto che vede gli Stati Uniti muoversi in una prospettiva decisamente conflittuale, anche se per il momento di tipo ibrido, non cinetico, con il chiaro intento di attendere che si determinino le condizioni ottimali per passare (nuovamente) a questo. Oltretutto, i numerosi precedenti degli ultimi decenni hanno insegnato ai russi come la doppiezza e lโ€™inaffidabilitร  siano uno standard delle relazioni internazionali dellโ€™occidente.
In particolare, ci sono due questioni su cui si incentra questa azione conflittuale, ed entrambe riguardano direttamente la Federazione Russa.

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La prima รจ una vera e propriaย offensiva energetica, che ha sรฌ anche lo scopo di indebolire ulteriormente i paesi europei, al fine di accentuarne la sudditanza, ma che mira chiaramente a creare crescenti difficoltร  a Mosca, cercando di indebolirla ancora una volta sul piano economico, vista la sua resilienza su quello militare. Questa offensiva si sta articolando attraverso una serie di mosse certamente non casuali, a partire dalla decisione ucraina di non rinnovare il contratto con Gazprom, e quindi interrompere lโ€™ultima linea di fornitura energetica diretta tra Russia ed Europa, privando la prima degli introiti che ne derivavano. Tenendo presente che Kiev non aveva mai agito su questa leva, durante i tre anni di conflitto (cosa che invece aveva fatto piรน volte, in epoca prebellica), e che ovviamente viene cosรฌ a perdere leย royaltiesย derivanti dal diritto di passaggio del gas russo, risulta evidente che la decisione รจ stata presa di lร  dellโ€™Atlantico. Nella stessa logica, va letto lโ€™attacco ucraino al terminale russo attraverso il quale il gas confluisce nelย Turkish Stream, lโ€™altro gasdotto attraverso il quale viene alimentata lโ€™Europa [1]. Sono entrambe decisioni strategiche, la cui messa in atto esula di gran lunga la possibilitร  di scelta autonoma del governo ucraino.

A ciรฒ si aggiungano le nuove sanzioni, specificamente mirate a colpire la cosiddettaย flotta ombraย [2], attraverso la quale Mosca cerca di aggirare le difficoltร  di esportazione energetica; sebbene si tratti di sanzioni imposte dalla vecchia amministrazione Biden, รจ prevedibile che la nuova le utilizzi come leva, nel quadro della summenzionata strategia del bastone e della carota. Va notato che le importazioni europee di GNL russo sono aumentate in questโ€™ultimo anno in modo significativo [3], il che tra lโ€™altro costituisce una concorrenza diretta a quello americano.
Al momento, queste sanzioni non hanno ancora dispiegato appieno il loro effetto, ma del resto รจ previsto che entrino pienamente in vigore a partire dal 12 marzo. Ugualmente, anche se su scala minore, va vista la decisione moldava di aprire un contenzioso sui pagamenti con Gazprom, che ha portato a sua volta alla sospensione delle forniture a Chisinau.
Last but not least, lโ€™Ucraina ha intensificato i suoi attacchi sugli impianti petroliferi russi.

Altro aspetto โ€“ assai piรน significativo โ€“ di questa prospettiva conflittuale, รจ la crescenteย pressione marittima, che cerca chiaramente di contenere la Russia e di contendergli il predominio. Tale pressione รจ giร  in atto nel mar Baltico, dove si sta intensificando la presenza delle flotte NATO (missioneย Baltic Guard), con la scusa di alcune interruzioni ai cavi sottomarini (ovviamente attribuite a Russia e Cina), e con il dichiarato intento di esercitare un controllo sulla navigazione. Questo specchio di mare, che รจ di fatto un imbuto a forcella, il cui sbocco verso il mare del Nord รจ controllato dalla Danimarca, dalla Svezia e dalla Germania, vede la presenza russa in fondo al Golfo di Finlandia (dove si trova San Pietroburgo) e a nord-est della Polonia (dove si trova lโ€™enclave russa di Kaliningrad).
La dichiarata ambizione รจ quella di farne unย lago NATOย [4], sfruttandone la morfologia, e il fatto che la quasi totalitร  delle sue coste appartengono a paesi membri dellโ€™Alleanza (oltre quelli citati, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia). Ciรฒ consentirebbe, in caso di conflitto, diย strangolareย San Pietroburgo, e soprattutto di eliminare Kaliningrad, che la NATO considera una spina nel fianco.

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Ma la vera partita ostile รจ quella che si giocherร  sullโ€™Oceano Artico. Qui la Russia gode di un considerevole vantaggio strategico, sia perchรฉ le sue coste coprono gran parte dei suoi confini, sia perchรฉ la flotta artica russa รจ di gran lunga la piรน potente e la piรน attrezzata. Lโ€™importanza di questo oceano รจ oggi legata al fatto che sta per diventare unโ€™importante rotta commerciale alternativa (e piรน competitiva), ed รจ quindi un importante tassello del confronto geopolitico globale.
Ed รจ esattamente in questโ€™ottica che vanno lette le conclamate ambizioni egemoniche trumpiane sul Canada e la Groenlandia; assumerne il controllo di fatto, o quanto meno avere la possibilitร  di utilizzarne i territori in modo illimitato, consentirebbe agli USA di riequilibrare quantomeno la dimensione dellaย frontlineย marittima, e quindi di spingersi piรน da presso ai confini russi con i propri sistemi (missilistici, radaristici ed anti-missile) militari, e di esercitare un maggior potenziale controllo sul traffico navale โ€“ imprescindibile per una potenza talassocratica come gli Stati Uniti.

A rendere estremamente difficile, se non improbabile, unaย soluzione Trumpย al conflitto in Ucraina, quindi, non cโ€™รจ soltanto la situazione sul campo (che vede prevalere la Russia, cosa questa estremamente problematica per la NATO), o lโ€™intenzione statunitense di circoscriverne lโ€™ambito, quanto il fatto che la nuova amministrazione americana, mentre cerca di sganciarsi dalla guerra, articola mosse chiaramente ostili verso Mosca, con lโ€™intento โ€“ nemmeno dissimulato โ€“ di contenerla attraverso unaย cortina di ferroย che ne impedisca la crescita economica, e la inchiodi ad un dispendioso confronto militareย in potenzaย โ€“ mantenuto cioรจ sempre sulla soglia del conflitto, ma senza superarla. In buona sostanza, una riedizione di quella che fu la strategia statunitense verso lโ€™Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, e che โ€“ nella visione degli strateghiย neoconย โ€“ ne determinรฒ il collasso.

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Va qui notato che, dal punto di vista americano, il conflitto in Ucraina รจ stato sinora assolutamente vantaggioso: ha reciso i rapporti tra Russia ed Europa, da sempre visti a Washington come estremamente pericolosi; ha, conseguentemente, messo in ginocchio lโ€™economia europea, stroncandone le potenzialitร  concorrenziali; haย rimesso in rigaย i vassalli del vecchio continente, riportandoli allโ€™obbedienza; e, non da ultimo, ha dato una grossa mano allโ€™economia statunitense, in particolare (ma non solo) nel settore petrolifero ed in quello del complesso militare-industriale.
A questo punti, quindi, si tratta di capitalizzare questi vantaggi, ed impedire che una sconfitta sul campo di battaglia โ€“ con tutto quel che ne consegue โ€“ possa trasformarsi in un poderoso contraccolpo sullโ€™immagine di grande potenza americana. Negoziare con Mosca, dal punto di vista di Trump, serve appunto a far sรฌ che la fine del conflitto non arrivi a seguito di una schiacciante vittoria russa, e quindi a contrattare con Washington i termini con cui si concluderร .

Del tutto diversa รจ invece la situazione in Medio Oriente, dove gli USA si trovano a giocare una partita molto piรน complessa, in un contesto attraversato da profondi mutamenti negli equilibri di forza (che avvengono in larga misura al di fuori del controllo statunitense), ed in cui non sono ilย dominusย incontrastato nemmeno nel proprio campo. Il solo vantaggio di cui dispongano รจ dato dal fatto che qui non si confrontano direttamente con una potenza del medesimo livello.
Qui lโ€™obiettivo strategico degli Stati Uniti รจ condizionato dal fatto di non poter prescindere dallโ€™alleatoย israeliano, il quale invece si muove esclusivamente secondo i propri interessi, quandโ€™anche vadano in contrasto con quelli delย main sponsorย dโ€™oltre Atlantico. Cosa questa resa possibile da una accurata strategia di penetrazione allโ€™interno del sistema statunitense, che รจ stata in grado โ€“ negli ultimi decenni โ€“ di ribaltare completamente il rapporto tra i due paesi, assumendo un controllo di fatto sulla politica americana.

Questo obiettivo รจ stato conseguito essenzialmente attraverso una duplice azione: da un lato, sfruttando la potente comunitร  ebraica americana, in larga misura convogliata nellโ€™American Israel Public Affairs Committeeย (AIPAC), che oltre a lavorare come fortissima lobby ha costruito negli anni un meccanismo di selezione dei parlamentari statunitensi (finanziando le campagne elettorali di candidati filo-israeliani), anche grazie allโ€™appoggio dei media (a loro volta largamente controllati dalla stessa comunitร ); e dallโ€™altro trovando lโ€™appoggio dellโ€™altrettanto potente comunitร  cristiana evangelica, che fa capo allaย Fellowship of Christians and Jewsย [5], ed ha un significativo peso economico ed elettorale.
Questa duplice penetrazione, nei gangli del potere politico americano, ha fatto sรฌ che il Congresso degli Stati Uniti sia largamente composto, in modo assolutamente bipartisan, da sostenitori dello stato di Israele, e che la critica del sionismo politico sia considerata come un inviolabile tabรน.

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La natura di questo rapporto รจ un elemento fondamentale, per comprendere la posizione statunitense nella crisi mediorientale, perchรฉ di fatto lโ€™autonomia strategica americana ne risulta limitata. In buona sostanza, mentre rispetto allo scenario ucraino la leadership politico-militare รจ sostanzialmente indiscussa, sia rispetto a Kiev che rispetto ai vassalli della NATO, nello scenario del Medio Oriente puรฒ esercitarsi solo attraverso unaย mediazioneย con gli interessi israeliani.
Secondo laย vulgataย corrente, ad esempio, la firma del cessate il fuoco a Gaza sarebbe stata di fatto imposta da Trump a Netanyahu; ma pensare che il governo israeliano abbia assunto una decisione di tale portata solo per compiacere lโ€™amministrazione USA รจ davvero ingenuo. Assai piรน sostenibile รจ che il desiderio di Trump di celebrare la propriaย incoronazioneย con un pace (sia pure temporanea e moltoย sub judice) sia stato scambiato con qualcosโ€™altro, e che allโ€™ombra della (presunta) forzatura statunitense si celi piuttosto la constatazione che Israele ha perso la guerra contro la Resistenza palestinese, ed aveva la necessitร  di uscire da quindici mesi di inutile conflitto.

La questione mediorientale, comunque, ed esattamente per le ragioni su esposte, va osservata innanzi tutto proprio dal punto di vista israeliano. A partire dal 7 ottobre 2023, Tel Aviv ha dovuto affrontare una guerra asimmetrica ed a geometria variabile, in cui al fronte principale โ€“ Gaza โ€“ se ne sono poi aggiunti altri, in tempi e modi diversi. Il Libano, con Hezbollah, e lo Yemen, con Ansarullah, soprattutto, ma anche โ€“ e non secondariamente โ€“ la Cisgiordania, lโ€™Iraq e lโ€™Iran.
Tutti questi fronti di guerra fanno capo ad un conflitto che non รจ semplicemente asimmetrico, nel senso che i contendenti sono separati da un significativoย gapย di capacitร  militare (del resto, a parte lโ€™Iran, sono tutti soggetti non statuali), ma che รจ appunto qualcosa di diverso da un conflitto convenzionale, in cui le parti si scontrano per disputarsi un territorio, essendo sostanzialmente una guerra di liberazione nazionale, in cui il popolo palestinese (ed i suoi alleati) hanno lโ€™obiettivo di riprendersi la propria terra, non di ridefinirne i confini. Il fine di questa guerra di liberazione, quindi, รจ la fine del colonialismo dโ€™insediamento, e dunque la fine di uno stato ebraico in Palestina.

A sua volta, per gli israeliani, si tratta ad un tempo della difesa del proprio insediamento in Terra Santa, e della aspirazione messianica ad impadronirsi di tutto il territorio corrispondente ad una mitica Israele pre-biblica, espellendone le popolazioni arabe. Si tratta quindi di un conflitto in cui gli obiettivi strategici delle parti sono assolutamente inconciliabili e non mediabili. Sul piano tattico, invece, le azioni di entrambe rispondono a considerazioni piรน pragmatiche, e si pongono obiettivi di portata piรน limitata. Da questo punto di vista, Israele (cosรฌ come i suoi alleati anglo-americani) non รจ stato in grado di conseguire alcuno degli obiettivi che si prefiggeva, relativamente ai singoli fronti aperti.
Per quanto riguarda Gaza, questo obiettivo era sostanzialmente la distruzione della capacitร  di combattimento delle formazioni della Resistenza (Hamas e Jihad Islamica Palestinese su tutte) e, quindi, la loro messa fuori gioco come soggetto politico-militare. In quindici mesi di combattimenti, e soprattutto di bombardamenti quotidiani, lโ€™IDF non รจ stata in grado di raggiungere questi obiettivi. Ovviamente lโ€™azione militare israeliana ha inferto duri colpi alle organizzazioni armate, sicuramente uccidendo migliaia di combattenti; il che, peraltro, in un contesto di assoluta asimmetria del potenziale bellico, e con un conflitto che si svolgeva pressochรฉ interamente in una sorta di gigantesca arena chiusa, รจ del tutto normale. Se si considera quindi la diversa capacitร  di fuoco delle parti, il fatto che una delle due combattesse in uno spazio circondato da forze nemiche, e soprattutto lโ€™entitร  delle distruzioni e delle vittime civili del conflitto, il non essere stato ciononostante capace di conseguire lโ€™obiettivo della guerra, fa risaltare ancor piรน la portata della sconfitta di Israele.

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Se guardiamo al fronte libanese, la situazione รจ per molti versi simile. Ciรฒ che Tel Aviv si prefiggeva avviando lโ€™ennesima guerra in Libano, era innanzi tutto respingere Hezbollah oltre il fiume Litani, il che ovviamente implicava la necessitร  di infliggergli una sconfitta sul campo, e quindi minarne significativamente la capacitร  bellica. Come conseguenza, poter riportare a casa i quasi centomila coloni evacuati delle zone in prossimitร  del confine.
Lโ€™esito di questa campagna, estremamente breve, รจ stato che anche qui gli obiettivi non sono stati colti. Hezbollah non รจ stato spinto oltre il Litani, lโ€™IDF รจ riuscito a penetrare solo per pochi chilometri, a volte solo centinaia di metri. Certo lโ€™esercito sciita ha subito duri colpi โ€“ uno su tutti, la perdita di un leader come Nasrallah โ€“ ma ciรฒ non ha comportato una significativa perdita delle capacitร  di combattimento. E nonostante il cessate il fuoco, i coloni non sono ancora tornati nei loro insediamenti.

Sul fronte yemenita, nonostante i massicci bombardamenti aerei anglo-americani ed israeliani, e nonostante la presenza di potenti flotte occidentali nel mar Rosso, รจ assolutamente evidente la vittoria di Ansarullah (che, detto per inciso, sancisce la nascita di un altro soggetto mediorientale con capacitร  diย mettere boccaโ€ฆ). Il porto di Eilat รจ semidistrutto, e comunque completamente fallito. Il traffico marittimo commerciale in larghissima parte evita quella rotta, e preferisce la circumnavigazione dellโ€™Africa (con aumento dei tempi, dei costi, e dei danni per il Canale di Suez ed i porti del Mediterraneo). La flotta guidata dagli USA, anche con qualcheย ammaccaturaย ben dissimulata, si รจ rivelata semplicemente del tutto inefficace.

In Iraq, le formazioni che fanno capo allโ€™Asse della Resistenza โ€“ che hanno agito prevalentemente a supporto degli yemeniti โ€“ sono ben salde al loro posto. In Cisgiordania, la capacitร  di combattimento della Resistenza, nonostante la pressione militare quotidiana dellโ€™IDF, continua a crescere, tanto che adesso รจ costretta ad intervenire persino lโ€™aviazione israeliana, e lโ€™amministrazione coloniale dellโ€™Autoritร  Nazionale Palestinese (vero e proprio fantoccio USA, e collaborazionista di Tel Aviv) รจ stata spinta ad entrare pesantemente in campo, intervenendo militarmente al fianco dellโ€™IDF [6]. Quanto allโ€™Iran, rimasto sostanzialmente dietro le quinte, con le operazioniย True Promiseย 1 e 2 ha dimostrato non solo la sua capacitร  di penetrare le difese israeliane e di poter colpire in profonditร , ma anche e soprattutto che la deterrenza israeliana รจ ormai solo un ricordo, e nella migliore delle ipotesi si equivale con quella di Teheran. E si aspettaย True Promiseย 3.

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La situazione, dunque, vede Israele stanco, provato e diviso piรน che mai, dopo che la guerra piรน lunga della sua storia si trova ad essereย sospesaย (tranne che in Cisgiordania, dove continuano i combattimenti). Oltretutto, si parla spesso delle pesanti perdite di Hamas o di Hezbollah, ma ci si dimentica sempre di sottolineare che anche per lโ€™IDF non รจ stata esattamente una passeggiata di salute. A prescindere da tutto il resto, quando verranno fuori le cifre vere sulle perdite (morti, invalidi, affetti da PSTD, ma anche carri armati e mezzi corazzati), si potrร  fare un bilancio di cosa รจ costata ad Israele questa guerra perduta. Perchรฉ la guerra non รจ come una partita di football, non esiste il pareggio: se non vinci, hai perso. E il contraccolpo psicologico sulla minuscola societร  coloniale israeliana non sarร  di poco conto.
La tregua, dunque, non รจ stata unโ€™imposizione dellโ€™amministrazione USA, anche se questa chiave di lettura fa gioco a Netanyahu, e gli consente di nascondere ancora per un poโ€™ la veritร , dietro questa cortina fumogena. La tregua arriva perchรฉ sanno che la guerra รจ persa; certo, avrebbero potuto continuarla ancora per un poโ€™, ma non sarebbe servito a cambiare le cose.

Dunque, ilย do ut desย tra Trump e lโ€™Erode israeliano riguarda qualcosโ€™altro. Prova ne sia che alla fine anche gliย ultrasย sionisti si sono limitati ad una sceneggiata: Smotrich ha protestato per lโ€™accordo, ma รจ rimasto nel governo, Ben Gvir ne รจ uscito (ma non dalla maggioranza che lo sostiene) riservandosi di rientrarvi appena la guerra ricomincia. A nessuno dei due, proprio come a Netanyahu, conviene far cadere davvero il governo, perdendo le opportunitร  offerte dal controllo di ministeri chiave, ed aprendo la strada ad una resa dei conti niente affatto rassicurante.
Lo scambio non รจ nemmeno in un possibile coinvolgimento USA in un attacco allโ€™Iran: Trump non vuole chiudere una guerra per aprirne unโ€™altra, soprattutto sapendo che questa presenta non pochi rischi (non solo per Israele, ma per le numerose basi americane nella regione, e soprattutto per il prezzo del petrolio). Di sicuro non dopo che Teheran e Mosca hanno siglato un accordo di partenariato strategico [7], che seppure non prevede un impegno di assistenza reciproca in caso di conflitto, di certo lega i due paesi ancora di piรน, ed รจ chiaro che la Russia non permetterร  che lโ€™Iran faccia la fine della Siria.

Sicuramente Washington aumenterร  le pressioni sulla Repubblica Islamica, sia attraverso un inasprimento delle sanzioni, sia alimentando il terrorismo, sia cercando di fomentareย rivoluzioni colorateย โ€“ e attraverso tutte queste cose insieme. Me รจ estremamente improbabile che si faccia coinvolgere in operazioni militari dirette contro lโ€™Iran, e di certo Israele non รจ a sua volta in grado di farlo da sola. Quel che Trump offre riguarda innanzitutto la Cisgiordania, dove eserciterร  la sua influenza sullโ€™ANP per spingerla ad inasprire lo scontro con la Resistenza, ed avallerร  nuove annessioni territoriali. Riguarda la Siria, dove offrirร  copertura politica โ€“ e se necessario non solo โ€“ alle mire israeliane sul Golan e su parte del sud del paese; del resto qui gli interessi di Washington e Tel Aviv coincidono perfettamente, essendo entrambe interessate al frazionamento del territorio siriano, ed al contenimento dellโ€™espansionismoย neo-ottomanoย di Ankara.
Ma soprattutto Trump intende rilanciare la carta degli Accordi di Abramo, che sono visti come lโ€™atoutย per cambiare gli equilibri regionali, interrompere la tiepidaย liaisonย tra Ryad e Teheran, riportare lโ€™Arabia Saudita nellโ€™orbita occidentale e tornare a giocare un ruolo di primo piano nella regione.

Del resto, Trump lo ha detto esplicitamente:ย โ€œfaremo leva sullo slancio di questo cessate il fuoco per espandere ulteriormente gli storici Accordi di Abramoโ€. Anche se a gran parte dei leader arabi (soprattutto quelliย petroliferi) non frega assolutamente nulla della causa palestinese, sono comunque piรน o meno costretti a considerarla, per non entrare in rotta di collisione con ilย sentimentย delle proprie popolazioni. In particolare, lโ€™Arabia Saudita โ€“ soprattutto dopo il 7 ottobre โ€“ ha insistito sulla necessitร  di una soluzione al problema palestinese, come pre-condizione per unaย pacificazioneย con Israele. E questa รจ oggi estremamente importante per Tel Aviv, che si trova piรน isolata che mai nella regione. Ragion per cui รจ altamente probabile che Netanyahu, vincendo i malumori dellโ€™ala piรน radicale della sua coalizione, punti effettivamente a chiudere il conflitto nella Striscia di Gaza; non fosse altro che per mero calcolo, avviare una fase diย stabilizzazioneย a Gaza, magari anche attraverso una sua gestione amministrativa che veda in qualche modo coinvolta anche lโ€™ANP (come vorrebbero gli USA), farebbe da viatico a sbloccare la ripresa dei rapporti con Ryad ed altre capitali arabe.

Nei disegni dellโ€™amministrazione Trump, quindi, gli Accordi di Abramo rappresentano lโ€™architrave della strategia mediorientale, ed un loro rilancio in grande stile โ€“ approfittando anche di una fase in cui lโ€™Asse della Resistenza, benchรฉ sostanzialmente vittorioso, necessita di un periodo diย ricostruzioneย post-bellica โ€“ costituirebbe un ulteriore fiore allโ€™occhiello per la Casa Bianca. Chiaramente lโ€™ambizione statunitense รจ quella di coinvolgere gran parte dei paesi della regione, cosรฌ da isolare lโ€™Iran, dopo aver spezzato la continuitร  territoriale dellaย mezzaluna sciitaย con la caduta del regime siriano. Probabilmente gli americani vorrebbero provare ad emarginare Hezbollah in Libano, portando Beirut ad aderire agli Accordi, ma in questa fase la mossa appare quantomeno improbabile. Difficile anche ottenere lโ€™adesione dellโ€™Egitto (vero e proprioย gigante silenteย del mondo arabo, che da tempo non esprime piรน alcun protagonismo), posto che attualmente le tensioni con Israele sono forti โ€“ i due paesi si accusano vicendevolmente di aver violato gli accordi di Camp David. Potrebbero invece determinarsi โ€“ e sarebbe davvero un granย coup de thรฉรขtreย โ€“ le condizioni per una adesione della Siria.

Riassumendo, potremmo dire che la strategia statunitense durante il secondo mandato presidenziale di Trump โ€“ o quanto meno durante il suo primo biennio โ€“ sarร  quindi caratterizzata sรฌ dalla volontร  di porre fine alle guerre cinetiche in Europa ed in Medio Oriente, ma soltanto nel quadro di una visione conflittuale globale, con lโ€™obiettivo di isolare/indebolire per altre vie sia la Russia che lโ€™Iran, stante il fallimento della strategia perseguita durante la precedente amministrazione, che aveva invece scelto di sostenere un approccio piรนย bellicoso. In termini strategici di lungo periodo, รจ chiaro che la Presidenza Trump va intesa come un ponte tra lโ€™era Biden (dominata dallโ€™alleanza tra democratici e neocon) e lโ€™era Vance (caratterizzata da un maggiore pragmatismo), durante il quale si immagina che lโ€™America possa lanciare โ€“ e vincere โ€“ la sua sfida al rivale cinese.
Questo รจ presumibilmente, e per grandi linee, il disegno americano. Resta da vedere come risponderanno Mosca e Teheran (e Pechino), e soprattutto se, come e quando si incastreranno i pezzi delย puzzle.


1 โ€“ Vasily Nebenzia, rappresentante permanente della Russia allโ€™ONU, ha dichiarato:ย โ€œlaย  Russia ha tutte le ragioni per credere che lโ€™attacco dellโ€™Ucraina al Turkish Stream sia stato effettuato su istruzione di Washington e Londraโ€.

2 โ€“ Secondo il vice ministro degli Esteri polacco Wladyslaw Teofil Bartoszewski, la NATO deve smettere di preoccuparsi del diritto marittimo internazionale e fermare le petroliere che trasportano petrolio russo, non solo nelle acque territoriali dei loro paesi, ma anche in acque neutre. Cfr.ย โ€œะะะขะž ะพั‚ะบั€ั‹ะฒะฐะตั‚ ะพั…ะพั‚ัƒ ะฝะฐ ั€ะพััะธะนัะบะธะน ั‚ะตะฝะตะฒะพะน ั„ะปะพั‚โ€, ะ•ะปะตะฝะฐ ะžัั‚ั€ัะบะพะฒะฐ,ย Politnavigator

3 โ€“ Lโ€™Unione Europea sta importando GNL russo a livelli record. Nei primi 15 giorni di questโ€™anno, 837.300 tonnellate di GNL russo sono entrate nel blocco, una cifra senza precedenti. Nonostante la pressione delle sanzioni, il 95% proviene da Yamal con contratti a lungo termine. Al riguardo, cfr.ย โ€œEU devours Russian gas at record speed despite cutoffโ€, Gabriel Gavin and Giovanna Coi,ย Politico

4 โ€“ Andando contro il principio di libera navigazione, la NATO intende estendere il suo controllo sulle acque neutrali del Mar Baltico. Come ha rivelato il Primo Ministro polacco Donald Tusk, dopo il vertice NATO della regione baltica tenutosi a Helsinki, sono giร  iniziate le consultazioni per trovare modi legali per controllare le navi al di fuori delle acque territoriali. Una cosa, questa, che cozza frontalmente con il diritto internazionale, in base al quale i paesi le cui navi saranno sottoposte a ispezioni illegali possono difendere i propri interessi con la forza. Mosca ha giร  fatto sapere che se la NATO cercherร  di controllare le navi nel Mar Baltico, allora la Russia userร  la marina militare per scortare le navi cargo.ย โ€œProteggiamo le nostre navi e le imbarcazioni che trasportano il nostro carico. E in caso di attacco, inizia un conflitto: prima locale, poi regionaleโ€, ha detto Nikolai Mezhevich, presidente dellโ€™Associazione degli studi baltici, al quotidiano russo Izvestia. Cfr.ย โ€œะœะพั€ัะบะธะต ะฟั€ะพะธัะบะธ: ัั‚ั€ะฐะฝั‹ ะะะขะž ะดะพะฑะธะฒะฐัŽั‚ัั ะดะพัะผะพั‚ั€ะฐ ััƒะดะพะฒ ะฒ ะฝะตะนั‚ั€ะฐะปัŒะฝั‹ั… ะฒะพะดะฐั… ะ‘ะฐะปั‚ะธะบะธโ€, ะ‘ะพะณะดะฐะฝ ะกั‚ะตะฟะพะฒะพะน, ะฎะปะธั ะ›ะตะพะฝะพะฒะฐ, ะšะธั€ะธะปะป ะคะตะฝะธะฝ,ย Izvestia

5 โ€“ I fondamentalisti evangelici sono grandi sostenitori di Israele e del sionismo non per ragioni politiche, ma sulla base di motivazioni religiose. Essi ritengono infatti che, il giorno in cui gli ebrei conquisteranno tutta la Terra Santa, si avvererร  la profezia che porta al giorno del giudizio, e quindi si instaurerร  sulla terra il regno di Dio. Insomma una forma di messianesimo del tutto simile a quella che anima le componenti piรน estreme del sionismo israeliano.

6 โ€“ Dopo oltre un mese di assedio, lโ€™Autoritร  Nazionale Palestinese ha raggiunto un accordo con i combattenti palestinesi della Brigata Jenin, portando al ritiro dal campo profughi e alla rimozione del blocco sulla cittร . Ma le forze di sicurezza dellโ€™ANP continuano ad agire attivamente contro la Resistenza in tutta la Cisgiordania.

7 โ€“ Lโ€™accordo firmato tra Russia e Iran contiene una clausola sul rafforzamento della cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa. Seppure non รจ previsto un meccanismo automatico di difesa reciproca, come nel caso dellโ€™accordo con la Corea del Nord, รจ perรฒ previsto un approfondimento della collaborazione in campo militare, con uno scambio di tecnologie. Si sa che attualmente alcuni sistemi dโ€™arma iraniani vengono impiegati in Ucraina dalle forze russe, per testarli in condizioni operative.Non si puรฒ quindi escludere, ad esempio, che domani i russi forniscano la tecnologia del missile balistico ipersonicoย Oreshnik, cosa che fornirebbe a Teheran lโ€™equivalente di una deterrenza nucleare, pur senza disporre di armi atomiche, a cui la leadership iraniana resta contraria. (Il testo completo dellโ€™accordo รจ disponibile sul sito delย Cremlino).





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