Caccia vicino alle case, Paxia: «Mio caso non isolato». Bennati:«Strumentalizzazioni»

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di Nicole Dionigi e Elle Biscarini

L’aggressione denunciata sui social da Francesca Paxia, presidente dell’associazione ‘Sulle orme di Enea’, al rifugio che gestisce, sarebbe il caso limite di una realtà che chi vive nelle zone vicine ai terreni di caccia si trova a dover fronteggiare giornalmente. Tra le questioni sollevate dalla vicenda vi è, infatti, lo «sconfinamento» nelle proprietà private e «l’assenza di controllo» sulle mute: «Durante la stagione di caccia non puoi uscire di casa. Siamo ai domiciliari» racconta Paxia. Sul tema sollevato, Arci Caccia non ha esistato invece a sollevare un problema di «ostilità nei confronti della categoria dei cacciatori da parte di ambientalisti estremisti».

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La comunità La caccia vicino alle abitazioni è un problema che inizia a essere particolarmente sentito dalle comunità. A seguito dell’episodio, in diversi hanno manifestato profonda solidarietà per l’accaduto a Paxia. Questo perché, quanto successo al rifugio – una muta di cani incontrollata avrebbe invaso la proprietà privata provocando panico tra gli animali – è un esempio lampante di come la caccia, se non gestita in modo adeguato, possa rappresentare una minaccia concreta per la sicurezza e la tranquillità. «Incursioni in proprietà private, spari vaganti, rumori forti all’alba, cani da caccia fuori controllo, il semplice fatto di non poter uscire per andare a passeggiare con il proprio cane», sono solo alcune delle problematiche che rendono la vita difficile ai cittadini che risiedono in queste zone e che Paxia ha raccontato a Umbria24.

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Sicurezza A proposito, Paxia racconta di un episodio avvenuto poco sotto la strada principale di San Marco: «Una mia amica aveva il gatto sullo zerbino davanti casa che prendeva il sole. Due cani da caccia, che non erano in quel momento accompagnati, hanno sbaranato il gatto. La proprietaria, pure cardiopatica, ha tentato di intervenire, si è presa morsi e graffi, ma non ha potuto fare niente. Sono scesi persino i vicini, il delirio. Gli ultimi ad arrivare sono stati i cacciatori». Oppure, racconta ancora, quando una famiglia con un bimbo piccolo in carrozzina, si sarebbe ritrovata danni di pallettoni su muri e finestre. «Pallettoni che per fortuna non hanno colpito nessuno – dice – il bambino in quel momento si trovava in giardino nella carrozzina con i genitori».

I cani A subire veri e propri maltrattamenti, sarebbero anche i cani degli stessi cacciatori: «Ci contattano tantissime persone – racconta ancora Paxia – che ci segnalano cani da caccia tenuti in stalletti piccolissimi e fatiscenti, senza acqua né cibo, a volte malati e con nessuno che se ne prende cura. Noi, quando possiamo cerchiamo di far partire i controlli, le verifiche o intervenire personalmente». Sebbene molti di questi cani finiscano in rifugi, come quello gestito da Paxia, «la problematica è così diffusa che non si riesce a fronteggiare del tutto, anche con tutto lo sforzo dei volontari». Paxia racconta delle condizioni in cui lei e chi fa il suo lavoro, trova i cani dei cacciatori una volta recuperati dai proprietari: «Sono scheletrici, puzzano, alcuni hanno le zampe piagate e infette perché vivono ammassati l’uno sopra l’altro, anche su diversi centimetri di escrementi a terra. Li sento a volte rieccheggiare, 40, 50 cani nei capannoni, perché nessuno va a controllare?».

L’appello Tra i modi per gestire meglio la situazione, sostiene Paxia, vi sarebbe un maggior controllo all’origine: «Bisognerebbe cercare di determinare quanti sono i cani da caccia che finiscono abbandonati, fare delle indagini sulle cure “fai da te” a cui vengono sottoposti dagli stessi cacciatori e, in generale, rivedere l’intero sistema per trovare un equilibrio tra l’attività di caccia e il diritto delle persone a vivere in sicurezza e tranquillità. Non possiamo aver paura di uscire di casa».

La risposta Sul caso Umbria24 ha interpellato Emanuele Bennati, presidente di Arci Caccia Umbria: «Sulla questione in sè so solo ciò che ho letto dai giornali – ha detto a Umbria24 – so che c’è stata una lite con una persona, non so bene chi, che non era tra i componenti della squadra. Tuttavia, questo è un chiaro tentativo diffamatorio di un’intera categoria che rispetta le leggi e le regole. Certo la caccia può essere impattante, ma la strumentalizzazione del comportamento di alcuni soggetti da parte degli ambientalisti integralisti non l’accetto. Le accuse mosse sono molto pesanti, ma le mute dei cacciatori non sono mai fuori controllo: tutti i cani sono ormai dotati di collare gps e il cacciatore sa sempre dove sono gli animali. Escludo che la squadra avesse perso il controllo dei cani categoricamente. Poi, certo, se il cane insegue il cinghiale e quello scappa anche per 10 km fuori battuta, è normale che il cane lo insegua e che la squadra ci metta un po’ per arrivare. Non è vero nemmeno che i cani dei cacciatori sarebbero maltrattati, potrebbe esserci qualche soggetto che lo fa, ma in generale l’amore di un cacciatore per il suo cane è come quello per un membro della famiglia, il cacciatore è in simbiosi con il cane, li si accudisce tutto l’anno. Non è vero che i cani rimangono chiusi nei box tutto l’anno una volta finita la stagione. Il problema è che non abbiamo zone in cui addestrarli: come tutti gli altri cittadini che hanno il cane e lo lasciano in giro per strada, nei boschi, nei giardini, nei parchi, al cacciatore questo non è concesso. Io cacciatore se sciolgo il mio cane da caccia all’interno di un giardino, in un parco, io sono sanzionabile, se io lascio il mio cane libero in un bosco è più facile che mi arrivi il controllo. Le strumentalizzazioni ci sono perché c’è troppa ignoranza dell’attività venatoria da parte del mondo ambientalista. Nel caso specifico, io so che la squadra ha proceduto immediatamente al recupero dei cani una volta avvisate le forze di polizia, come da procedura. Esiste una conflittualità verso il mondo dei cacciatori che conosciamo bene, a volte ci sono cacciatori le cui azioni non sono esattamente in regola, questo sì, ma attaccare tutta la categoria non è corretto».

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