dalle navette alla variante senza alcol, le contromosse degli esercenti

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Sotto le guglie del Duomo, nel cuore pulsante di Milano, Roberto Paddeu conta i bicchieri (vuoti) più delle bottiglie stappate. «Un calo del 18-20% rispetto a gennaio dello scorso anno», dice con una smorfia. Al ristorante “I Frades” a Milano, regno della tradizione sarda, i fratelli Paddeu di Orani hanno visto il vino e i cocktail evaporare come miraggi nel deserto con il nuovo Codice della Strada in vigore dal 14 dicembre. «Il problema non è Milano o le nuove norme» ammette lo chef, «qui ci sono metro, taxi e Uber. Ma a Porto Cervo dove abbiamo l’altro punto vendita sarà un disastro: lì senza macchina non vai da nessuna parte». Soluzioni quindi per non superare i 0,50 gradi alcolemici in corpo e non rischiare multe e patente? «Stiamo pensando a una navetta per i nostri clienti. Scelta costosa, ma meglio che vedere i tavoli senza bottiglie». Non è solo una questione di multe salate, che aiutano a frenare gli incidenti su strada. «Sanzioni fino a 2000 euro spaventano chiunque ma sono giuste» continua Roberto. E gli etilometri nei ristoranti? «Ce li abbiamo, ma nessuno li usa. Chi deve guidare preferisce evitare del tutto». Il risultato è un cambio di abitudini che tocca ogni livello della convivialità a tavola. «Questi primi venti giorni dell’anno hanno evidenziato un calo delle vendite dell’alcol. Ogni settimana analizziamo i report e i numeri parlano chiaro», aggiunge il ristoratore. «Ma un calo del 10% nelle vendite di bevande in Sardegna potrebbe tradursi in una perdita di 150-200 mila euro».

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LA NOVITÀ
Mentre le vendite tradizionali arrancano, qualcosa di curioso fermenta nel mondo del vino: quello senza alcol. Una alternativa valida per chi vuole mettersi al volante. «Nei primi 15 giorni di vigore della nuova normativa i morti per incidenti sono calati del 21% e i decessi del 25%» ha ribadito anche il ministro Salvini sui social. Paolo Castellati, segretario generale dell’Unione Italiana Vini, è entusiasta delle nuove prospettive aperte dal decreto di dicembre: «Finalmente possiamo produrre vini dealcolati in Italia» spiega. «Entro l’anno, prevediamo 50 impianti attivi. È una rivoluzione». I numeri sembrano promettenti. «Il 21% degli italiani è interessato ai vini dealcolati, una percentuale che sale al 28% tra i giovani tra i 18 e i 34 anni» continua Castellati. «Nel mondo alla fine il 70% della popolazione non beve alcol per motivi religiosi o culturali. Questo mercato rappresenta un’occasione unica per avvicinare nuovi consumatori e aprire nuove filiere». Non manca l’ironia nella voce del segretario: «Da tempo parliamo di consumo responsabile con il programma Wine in Moderation, e il vino senza alcol è un’estensione di questo principio. Certo, capisco chi storce il naso. Anche io trovo difficile chiamare vino qualcosa che non lo è». I ristoratori si dividono sul tema, c’è chi è pro e chi contro, ma ciò che li accomuna tutti è il calo di vendite del nettare di bacco. A Roma, per esempio, Alberto Martelli, del ristorante “La Carbonara” a Campo dei Fiori, osserva con preoccupazione. «Prima a pranzo un bicchiere era quasi la norma. Ora? Zero. E le famiglie che ordinavano due bottiglie si fermano a una». Martelli, però, non è convinto dal dealcolato: «Il vino è cultura, racconto, tradizione. Se dobbiamo rinunciare a tutto questo, tanto vale puntare su altro». Mariella Di Giacomo, dal suo “Puro Bistrot” nel Quartiere Africano, offre invece una prospettiva diversa. «Il calo c’è, eccome. Ma io lo vedo come un’opportunità». Mariella ha deciso di puntare sui fermentati di una piccola azienda sulle dolomiti: bevande analcoliche ma intriganti, come la rapa rossa fermentata con timo e pepe nero. «Non sono vino, ma danno quella sensazione di familiarità che i clienti cercano».

LE AZIENDE
Nel cuore delle Langhe, una terra che è sinonimo di eccellenza enogastronomica, c’è invece Roberta Ceretto, produttrice dell’omonima cantina ad Alba e figura di spicco nel panorama vitivinicolo italiano. La sua famiglia non solo produce vini pregiati come il Barolo, ma è anche proprietaria di due ristoranti: il rinomato “Piazza Duomo”, tre stelle Michelin guidato dallo chef Enrico Crippa, e il più tradizionale “La Piola”. Roberta affronta subito un tema caldo: le nuove sanzioni legate al consumo di alcolici. «Le regole in sé non sono cambiate, ma le multe sono diventate molto più pesanti. Questo spaventa le persone e le porta a bere meno, per timore delle conseguenze», spiega Ceretto. Al pensiero del vino senza alcol però scuote la testa: «Per me, è un ossimoro» dichiara con fermezza. «Il vino è tradizione, cultura, un rituale che va ben oltre il semplice bere. Come si può chiamare Barolo qualcosa che non ha nemmeno alcol? È un vino che si gusta con calma, in momenti di tranquillità, e non è certo pensato per eccessi. È un prodotto che racconta un territorio e una storia. Non riesco a immaginare un abbinamento serio tra un cibo e un calice senza alcol». L’imprenditrice riconosce che le nuove generazioni si stanno adattando. «Quello che vedo è che i ragazzi si organizzano: taxi, guidatori designati, trasporti condivisi. Questo è positivo, ma resta il fatto che qui senza macchina non si va da nessuna parte». Il turismo enogastronomico nelle Langhe non sembra cedere, ma la produttrice è chiara: «La cultura del vino è il nostro cuore pulsante. Dobbiamo trovare un equilibrio tra sicurezza e tradizione. Non sarà facile, ma sono fiduciosa».

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