Europa, la comunicazione è un flop: riscoprire politica e cultura oltre il digitale

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Gettare ponti, attorno a sé, fra i Paesi, anche dentro un continente denso come l’Europa è l’approccio socio-culturale che dà senso al concetto e all’ideale di comunicazione che sembra essersi costruito attorno a questa speranza condivisa di coltivare uno sguardo e una relazione per l’Altro.

L’Europa e la vera comunicazione secondo Dominique Wolton

Per il teorico francese, Dominique Wolton, la vera comunicazione è sempre una negoziazione e poi una coabitazione all’interno dello spazio pubblico mediatizzato. Applicando questi assiomi all’Europa, Wolton giunge a conclusioni che possono apparire alquanto inedite nella sfera pubblica digitale contemporanea: all’interno dell’Europa, la comunicazione più autentica oggi è silenziosa, non usa parole, non dice nulla. È una sorta di adesione implicita dei popoli a questo progetto politico, il cemento dell’Europa sono i popoli.

Malgrado l’arroganza delle tecnocrazie, malgrado gli errori dei media e la disonestà di quei politici che additano sempre l’Europa, permane un’adesione popolare europeista, al di là della crescita reale recente dell’eurofobia. La sfida post-digitale consisterà nel conservare tale adesione, negoziare nuovi significati tra le culture e coltivare nuove pratiche di cura contro ogni forma di “incomunicazione”.

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Proviamo allora a sviluppare una riflessione sociologica sull’idea e sul significato di Europa che sta emergendo, sia in termini di percezione che di dibattito pubblico in questi ultimi anni di conflitto e shock globali e locali.

Il ruolo della comunicazione tra i principali attori sociali e la costruzione di frame narrativi mediali costituiranno il filo rosso del discorso.

Ma il punto di partenza e il focus centrale, allo stesso tempo, dell’analisi teorica sarà il pensiero di Dominique Wolton, sociologo francese, e il suo pensiero attorno all’idea di “incomunicazione” in relazione all’esperienza del comunicare (del)l’Europa, un’istituzione ancora incompiuta e problematica, tuttavia fondamentale per la risoluzione dei conflitti e la costruzione di un nuovo patto comunicativo tra media, istituzioni politiche e cittadini.

Nei prossimi paragrafi ripercorreremo le tappe principali del pensiero intellettuale di Wolton a partire dal recente lavoro pubblicato Vive l’incomummunication (2020).

L‘incomunicazione nel contesto europeo

Le riflessioni dell’autore sull’incomunicazione europea prendono le mosse essenzialmente da questa constatazione apparentemente paradossale: quanto più nel secolo dei media si sono moltiplicate e potenziate le comunicazioni sotto il profilo tecnologico, digitale, politico ed economico, tanto meno efficace e soddisfacente risulta oggi l’esperienza stessa della comunicazione dal punto di vista socio-culturale e psicologico.

Si sperava che, citando Breton (1992), l’utopia della comunicazione mediata e tecnologica avrebbe ridotto le incomprensioni e le difficoltà del linguaggio umano. Ma oggi, forse, ci si dovrebbe rassegnare e prendere atto che questo progetto post-traumatico sembra essere fallito.

Sfide identitarie e frammentazione

La frammentazione identitaria dell’Europa, i discorsi violenti, la riaccensione di vecchi odi politici che si alimentano nei social media, sono forme concrete del fallimento sociale e istituzionale e del pericolo di perdita di una comunità (europea) della comunica-azione capace ancora di comprendere e valorizzare le differenze interculturali e organizzare nuove forme di convivenza.

La domanda di ricerca alla base di tale contributo teorico, dunque, sarà: in che tipo di Europa esercitiamo oggi la comunicazione, e soprattutto, quale idea di (in)comunicazione europea abbiamo bisogno di sviluppare per essere all’altezza di un progetto culturale e politico che mostra segnali di incertezza?

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Comunicare una Europa instabile

Contrariamente a quanto dicono i pessimisti, nonostante la grande crisi sanitaria del covid-19 e i preoccupanti scenari di guerra riemersi tra i territori dell’Ucraina e del Medio-Oriente, il progetto europeo è radicato proprio a livello popolare, pur restando fragile.

Le élite sono invece globalizzate e percepiscono sempre meno l’interesse dell’Europa ormai ferita da violenza e identità frammentate.

Nel 2018, proprio nella sua rivista scientifica “Hermès”, il sociologo francese Dominique Wolton, raccomandava “dieci cantieri” per il rilancio dell’Europa che includevano in particolare la creazione di radio-televisioni-piattaforme paneuropee, proprio per contribuire a creare quello “spazio pubblico” transnazionale condiviso, ancora generalmente assente. «La più grande avventura politica democratica della storia dell’umanità prosegue senza che i media spesso considerino che sia importante. Un’indifferenza quasi tragica», aveva affermato lo studioso in un’intervista ad un noto quotidiano italiano (Avvenire, 2018).

Il ruolo della comunicazione nelle istituzioni europee

Ciò non dovrebbe stupire.

Secondo dati recenti (Linkiesta, 2022) solo il 45 per cento dei cittadini dell’Unione Europea è al corrente della politica di coesione. Per Pablo Perez, responsabile dei canali social della Commissione fino allo 2019, non si possono raccontare le dinamiche Ue con discorsi astratti “perché le persone sono stufe di slogan vuoti”.

Serve un approccio comunicativo empatico e credibile, una comunicazione che non ha nulla a che vedere con quella dei GAFAM, della tecnologia, dell’industria dei dati e del digitale, ma di una comunicazione che parta dalla realtà dell’ incomunicazione (Wolton, 2022).

Esattamente l’obiettivo scientifico di Wolton.

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La questione europea secondo il sociologo va affrontata da due punti di vista.

Da un lato, il continente va inteso come contesto imprescindibile della nostra realtà culturale, politica e sociale; dall’altro, come campo di indagine al cui interno è possibile analizzare i conflitti principali e le contraddizioni essenziali che percorrono le democrazie contemporanee.

Come affermato da Patocka (2018) e Magatti (2022), il problema delle società contemporanee riguarda la fondazione spirituale dell’Europa, che non è più di tipo ontologico, ma politico. Non si tratta più di considerare il cittadino-individuo e la sua natura, ma di scorgere un nuovo orizzonte del mondo a partire dal percepirsi come cittadini liberi e inter-indipendenti, cioè di come organizzare la vita sociale nel modo migliore massimizzando i vantaggi e riducendo al minimo gli inconvenienti, cercando il bene comune attraverso il confronto collettivo razionale.

L’Europa come “riforma politica e civile” è il risultato di un processo generale di socializzazione supportato negli anni anche dai media digitali.

Tuttavia, afferma Wolton (2015), questo spazio collettivo circoscrive la coabitazione del discorso politico, della pressione dei media e dell’opinione pubblica, ed è fortemente legato all’emergenza di essere cittadini in relazione all’interno di un macro-contesto culturale. A tal proposito i media digitali hanno aiutato nel tempo a creare le condizioni utili affinché ogni attore sociale potesse farsi un’opinione su ciò che è bene e ciò che è male; i più recenti ecosistemi informativi hanno costituito delle società civili capaci di immaginare dei modelli comuni e di progettare delle istituzioni adeguate a tali modelli.

Una sfera pubblica per la quale l’azione politica si traduce in comunicazione politica.

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Questo perché, per Wolton (2015), con la democrazia tutto rientra nel campo politico, si estendono le frontiere, ognuno accede fisicamente o tramite i media.

La comunicazione, in tal senso, diventa elemento centrale e strategico per il dialogo collettivo e la gestione dei conflitti all’interno di una scena interattiva sempre più colma di contraddizioni, opinioni, intese, alleanze, sensibilità, accordi e disaccordi.

Comunicare l’Europa appare realmente obiettivo strategico e sempre più funzionale a ridisegnare il futuro equilibrio della sfera sovranazionale, a fronte dell’emergere di sentimenti antieuropeisti e nuovi nazionalismi che minano le basi dell’identità europea (D’Ambrosi, 2019).

Per tali ragioni l’Europa, accantonata la sua dimensione puramente economica, rimane ancora un campo in sperimentazione di un progetto molto più ampio e a lunga scadenza, di cui oggi vediamo solo l’abbozzo la cui natura si fonda su due livelli obbligatoriamente da conservare e migliorare: il progetto politico di pace e una comunicazione cooperativa della più grande utopia forse mai esistita (Grassi, 2022).

Come dimostrato dai recenti shock sanitari, climatici e bellici, le crisi assumono un carattere sempre più complesso e non si fermano alle frontiere.

L’Unione e i suoi Stati membri hanno già istituito meccanismi di cooperazione e solidarietà transfrontalieri per gestire efficacemente le crisi e proteggere i cittadini.

Tuttavia è necessario che la risposta dell’Unione alle crisi evolva.

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In futuro, l’UE dovrà essere pronta a far fronte a crisi acute di natura diversa, che potrebbero avere molteplici sfaccettature o essere ibride, avere effetti a cascata o verificarsi simultaneamente. La resilienza è la capacità non solo di resistere alle sfide e di farvi fronte, ma anche di attraversare le transizioni in modo sostenibile, equo e democratico.

Per potenziare la sua resilienza alle sfide future, le istituzioni europee dovranno migliorare la gestione intersettoriale e transfrontaliera delle crisi, cosi come pianificare una comunicazione europea delle crisi, intensificando la lotta alla disinformazione contro ogni forma di entropia.

La resilienza (comunicativa) è la capacità non solo di resistere alle sfide e di farvi fronte, ma anche di attraversare le transizioni in modo sostenibile, equo e democratico.

L’Europa tra informazione e comunicazione

Secondo l’Eurobarometro postelettorale del Parlamento europeo, a partire dal 2019 in poi l’affluenza complessiva alle elezioni europee e la partecipazione alla vita pubblica del nostro continente è aumentata di otto punti, toccando quota 50,6%, la più alta partecipazione dal 1994.

Il risultato più eclatante ha riguardato l’affluenza alle urne dei giovani e degli elettori che hanno votato per la prima volta: il 42% dei cittadini di età compresa tra 16/18-24 anni ha infatti risposto di essersi recato a votare.

La partecipazione dei giovani è quindi aumentata del 50% rispetto al 2014, quando era stata di appena il 28% (Formez, 2019).

Il sostegno dei cittadini all’Unione europea, in generale, resta oggi elevato: il 68% degli intervistati afferma che il proprio paese ha tratto beneficio dall’appartenenza all’UE. In forte aumento anche il numero di cittadini che ritengono che la loro voce conti nell’UE: il 56% degli intervistati condivide tale opinione, il risultato più alto da quando è stata posta questa domanda per la prima volta, nel 2002.

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Tuttavia, come si legge in una recente nota tematica sulla politica di comunicazione, curata dal servizio di ricerca del Parlamento europeo, “il senso di appartenenza all’Unione è ondivago, e sono necessarie strategie e politiche di comunicazione adeguate a livello dell’UE”.

Una sfida raccolta dalla Commissione europea proprio in vista delle elezioni del Parlamento europeo e del conseguente cambiamento nella leadership politica comunitaria.

In quella data, in occasione dell’incontro di 27 leader dell’UE a Sibiu, la Commissione uscente aveva ritenuto opportuno contribuire a fissare nuove priorità per l’agenda strategica dell’UE 2019-2024, insieme a cinque raccomandazioni principali “per una comunicazione europea al servizio dei cittadini e della democrazia”:

  1. Riconoscere che la comunicazione sull’Unione europea è una responsabilità comune degli Stati membri dell’UE, dei governi a tutti i livelli e delle istituzioni europee. E’ necessario comunicare di più utilizzando messaggi comuni, recanti il marchio dell’UE, che illustrino il significato che le decisioni e le politiche rivestono per i cittadini e i risultati tangibili che ottengono; capitalizzare le decisioni e gli accordi politici più importanti in seno alle riunioni del Consiglio europeo e sfruttare le tappe fondamentali e gli eventi di riferimento per sottolineare l’unità europea (ad esempio la giornata dell’Europa il 9 maggio, gli anniversari degli allargamenti dell’Unione e dei trattati);
  1. Aumentare il dialogo e l’interazione con i cittadini in merito alle politiche e alle questioni relative all’Unione europea. Le istituzioni e gli Stati membri dell’UE dovrebbero intensificare il loro sostegno a un dialogo costante con i cittadini sull’Unione europea, utilizzando dialoghi con i cittadini e dibattiti civici, consultazioni o convention, nonché tecnologie digitali e audiovisive. Essi dovrebbero informare i cittadini circa l’intera gamma di opzioni di cui dispongono per esprimere le proprie opinioni sull’UE e sulle sue politiche e garantire che esistano procedure e canali per fornire un riscontro sui risultati dei dialoghi con i cittadini e delle consultazioni;
  1. Garantire la collaborazione tra le istituzioni comunitarie a campagne di comunicazione basate su valori europei condivisi. La comunicazione dovrebbe partire dai valori condivisi per poi concentrarsi sui risultati concreti delle politiche dell’UE per le persone nel luogo in cui vivono e sostenere la creazione di comunità. Le campagne dovrebbero rivolgersi a tutti i tipi di pubblico, nella loro lingua, in maniera accattivante, coinvolgente ed evocativa e dovrebbero essere pienamente in linea con le priorità strategiche del prossimo ciclo politico;
  1. Unire le forze per contrastare la disinformazione con una comunicazione dell’UE fondata sui fatti. E’ necessario potenziare i servizi indipendenti di verifica dei fatti a livello nazionale ed europeo, promuovere l’alfabetizzazione mediatica e lo sviluppo delle competenze nell’intelligenza artificiale; rafforzare la collaborazione con i social network e le piattaforme online a livello dell’UE per promuovere buone pratiche, difendendo nel contempo la libertà e il pluralismo dei media; intensificare gli sforzi volti a mettere in comune risorse nazionali e dell’UE per tutelare il diritto dei cittadini a un’informazione fattuale, obiettiva ed affidabile sull’Unione europea;
  1. Promuovere l’insegnamento e l’apprendimento dell’Unione europea a tutti i livelli di istruzione. E’ necessario rafforzare la conoscenza dei discenti in materia di Unione europea, dei suoi valori, del suo funzionamento e dei suoi ambiti di attività. L’UE dovrebbe creare partenariati con gli istituti di istruzione a livello nazionale e regionale per garantire che l’educazione civica europea diventi parte integrante dell’apprendimento formale. Coinvolgere in queste attività coloro che hanno partecipato al programma Erasmus e al Corpo europeo di solidarietà. Garantire che i cittadini dell’UE siano consapevoli dei propri diritti.

Comunicazione e crisi

Le istituzioni europee cercano di ottenere la fiducia dei cittadini, e le istituzioni dovrebbero essere percepite dai cittadini come legittime ed efficienti.

La fiducia nelle istituzioni è tutto, poiché ne hanno bisogno per svolgere le loro azioni quotidiane. Gray e Balmer esplorano quanto la reputazione possa essere importante per un’organizzazione. Definiscono la reputazione, infatti, come “la valutazione aggregata che i costituenti fanno su quanto bene un’organizzazione soddisfa le aspettative dei costituenti in base ai suoi comportamenti passati” (Gray e Balmer, 1998, p. 696). In questo senso, gli studiosi sopra menzionati suggeriscono che il mantenimento della reputazione significa che l’istituzione non ha bisogno di dedicare tempo alla riparazione dei possibili danni, ma l’ascesa dell’euroscetticismo ha messo in discussione questa l’identità e la credibilità stessa dell’Europa ( de Vries, 2018 ).

La fiducia pubblica è legata all’importanza della comunicazione nelle democrazie contemporanee imperfette.

In tempi di declino delle democrazie a causa dell’aumento del cinismo e della sfiducia ( Foa e Mounk, 2016 ), il valore dell’informazione si è rafforzato, poiché la crisi delle democrazie significa una crisi del concetto comunicativo della sfera pubblica. C’è scarso spazio per la democrazia deliberativa che è collegata a un forte neoliberismo e a una mancanza di diversità, minacciando l’ordine liberale.

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Quando si tratta di gestione della comunicazione di crisi, si possono trovare diverse attività, come la valutazione della minaccia, le attività di prevenzione e mitigazione, la preparazione/allarme precoce, la risposta e il recupero.

Tutto sommato, l’obiettivo è ridurre il rischio e presentare la resilienza come istituzione.

Nell’attuale contesto, dobbiamo sottolineare che la politica di gestione delle crisi dell’UE è stata alimentata, da un lato, dalla politica di sicurezza e di difesa territoriale, dall’altro, dalla politica di emergenza e di gestione della catastrofe a livello inter-nazionale ( Wolton, 2016; 2022 ).

Per quanto riguarda la comunicazione e le azioni intraprese dalle istituzioni, la Dichiarazione di Laeken e il Libro bianco del 2006 sulla politica di comunicazione europea funzionano ancora come documenti chiave. Alcuni autori hanno scoperto che l’UE ha mostrato grande preoccupazione su come comunicare e come sviluppare la comunicazione esterna. D’altro canto, l’UE è rimasta in parte lontana da alcuni gruppi di audience come quelle giovanili.

Eventi meno recenti, ma comunque culturalmente traumatici, come la crisi economica del 2008 e la Brexit hanno favorito una progressiva politicizzazione dell’UE ( Hooghe e Marks, 2018 ; Schmidt, 2019 ), il che spiega la volontà di gestire oggi gli attuali conflitti interstatali.

Le strategie comunicative adottate negli spazi piattaformizzati hanno ridefinito la politica di comunicazione dell’UE .

Gli strumenti digitali sono intesi come un modo efficace per coinvolgere i cittadini e ridurre la tradizionale distanza dal progetto europeo, il che spiega perché la Commissione europea ha utilizzato principalmente Twitter (X) per influenzare le opinioni pubbliche nazionali in occasione dei recenti eventi elettorali (D’Ambrosi, 2019; Belluati, 2020).

Secondo Barisione e Michailidou (2017) , l’attuale disconnessione tra cittadini europei e le istituzioni dell’UE potrebbe essere invertita solo se quest’ultima sviluppasse una comunicazione istituzionale incentrata sui principali problemi del continente, inclusa la crisi.

L’aspetto chiave della comunicazione di crisi sta nel saperla comunicare in modo competente.

Il pubblico di riferimento può percepire o essere direttamente colpito da un evento inaspettato, ma l’istituzione deve condividere tutte le informazioni in suo possesso per combattere i numerosi rumors che possono circolare nella sfera pubblica.

L’obiettivo principale è influenzare e informare il pubblico, un insieme di attori che ha grandi aspettative nei confronti delle autorità, anche se spesso vittima di manipolazione dei contenuti provenienti dalle grandi piattaforme digitali e di bolle tecno-culturali.

Se le autorità non riescono a soddisfare queste aspettative di sicurezza, il pubblico tende a perdere fiducia nella capacità politica-amministrativa dell’istituzione.

E’ proprio qui che il pensiero di Wolton (2016) risulta utile, strategico e attuale per evitare il collasso della credibilità delle istituzioni europee.

Il sociologo francese ci esorta nei suoi studi a spostare l’attenzione dall’informazione alla comunicazione: mentre nella prima è in gioco il messaggio, nella seconda assume rilevanza strategica la questione dell’alterità.

Se la comunicazione viene concepita come ponte per collegarsi all’interiorità dell’Altro in quanto tale, non si può che vivere l’incomunicazione come un fallimento e condannarsi fatalmente alla delusione. Al contrario, se si ritiene la comunicazione come un “investimento”, un sistema che deve servire a rapportarci e coordinarci con altri cittadini europei e non solo, ecco che l’esperienza comunicativa-relazionale può rivelarsi gratificante.

La comunicazione ha a che fare, dice Wolton (2022) con l’evento, con la frantumazione dell’immagine di un mondo unitario e trasparente; proprio nella crisi essa è pura negoziazione di significato ed è dunque aperta alle “infinite avventure della differenza”.

Il fallimento della comunicazione moderna

L’incomunicazione di cui Wolton parla, e che in questo paper cerchiamo di applicare al contesto europeo contemporaneo per prevedere socialmente il futuro del continente e la sua capacità di comunicazione tra i popoli, rappresenta l’ostacolo che fa inciampare la logica della modernità, la quale vorrebbe fare della comunicazione una sorta di logistica del senso nell’ambito di una economia della circolazione, una messa in forma generalizzata dell’informazione al fine di ottimizzare la trasmissione dell’informazione e connettere frammenti di messaggi senza considerare la cultura e la sensibilità delle comunità.

La polarizzazione e le forme di estremismo che hanno colpito negli ultimi dieci anni l’Europa percorrono esattamente il sentiero della discordia e della frammentazione, della non volontà di coltivare una comunicazione interculturale che tenga conto del passato, del presente e del futuro del continente (Habermas, 2017).

L’ondata di “epistocrazia” che da qualche anno ha investito il dibattito intellettuale internazionale e l’insofferenza verso le cosiddette fake news nello spazio digitale possono essere letti come il riflesso e la prosecuzione nel presente dei disegni della logistica moderna.

Per Peters (1999) troppo spesso la comunicazione tecnologica ci distoglie dal compito di costruire mondi insieme. Ci invita in un mondo di unioni senza politica, di comprensione senza linguaggio, e di anime senza corpi con l’effetto di farci sembrare la politica, le anime e i corpi come ostacoli piuttosto che opportunità.

Qui, in questa sorta di simulacro comunicativo, si nasconde l’incomunicazione.

Afferma Wolton (2021), la comunicazione per essere autentica deve richiamare in causa sempre l’Alterità. E l’ Europa si sviluppa sul riconoscimento dell’Altro e dei suoi confini.

Comunicazione e incomunicazione vanno di pari passo, solo cosi potremmo celebrare l’Europa dei popoli e valutare razionalmente le conseguenze politiche dei conflitti al suo interno (Wolton, 2021, 2022).

In primo luogo, la necessità di riconoscere che il dialogo e la negoziazione, spesso considerati “tempo perso”, sono in realtà parte essenziale dei rapporti politici e sociali (l’incomunicazione nei conflitti tra Russia e Ucraina ha confermato questa condizione).

Comunicare è sempre meno trasmettere, raramente condividere, il più delle volte negoziare e in definitiva convivere. La stessa organizzazione dei media non è mai indipendente da una visione della società; tra media tradizionali e digitali l’opposizione non è mai stata “il vecchio e il nuovo”, ma piuttosto tra due visioni di società.

La questione dell’alterità in europa

L’altra questione, come in parte accennato, rimane l’alterità.

L’Altro in Europa è ancora minaccia.

Gestire l’alterità significa accettare diritti e doveri reciproci altrimenti il modello della convivenza crolla.

Ciò comporta valorizzare un concetto importante come quello di “fiducia”, e quest’ultima richiede tempo relazionale di qualità, di incontro.

Considerando il modello attuale di comunicazione europea e di organizzazione politica, la convivenza riguarda una delle principali sfide normative della società contemporanea.

La diversità linguistica, la capacità dell’Europa di allargarsi da 6 a 27 territori, lo sforzo di normare eticamente e giuridicamente il comportamento delle piattaforme di origine extraeuropea rappresentano la volontà dell’Europa di non fermarsi nel suo cammino storico-politico

Scrive Wolton (2021; 2022), “l’Europa costituisce uno spazio economico, giuridico e politico, il che per una sola generazione rappresenta già un ottimo risultato. Tuttavia, perché la sua integrazione perduri nel tempo bisogna avere il coraggio e la forza di andare oltre il semplice progetto economico-politico”.

Nei periodi di pandemia e di guerra è stato, ed è, assolutamente necessario rafforzare i legami di solidarietà e di amicizia tra i cittadini europei.

Come ben spiegato dal sociologo polacco Jan Zielonka (2015), il difetto più grave del progetto europeo risulta finora quello di essersi basato sempre sulla legittimità in uscita, più che su quella in entrata, e questo significa che l’efficienza, non la democrazia, è la sua logica di fondo.

In tal senso un nuovo paradigma di integrazione non può riguardare solamente la flessibilità o la rigidità delle regole di bilancio, ne può essere confinato ai problemi di leadership e strategia.

Come accennato sopra, si tratta piuttosto di salvaguardare la diversità sociale e culturale, individuale e collettiva, accettando un certo grado di non comunicazione reciproca, ciò che appunto lo studioso francese definisce “incomunicazione”.

La sfida post-digitale

Il cuore dell’incomunicazione europea sta nella discrepanza tra il progetto politico, la morsa economica e la sottovalutazione delle differenze culturali.

Ripercorrendo le tappe essenziali di Wolton nella sua teorica dell’(in)comunicazione, un altro punto fondamentale che lui discute, in merito al ruolo della cultura e dei media nella preservazione del continente europeo, è la sfida post-digitale.

Per preservare e permettere la diffusione del modello politico-culturale europeo auspicato, il ruolo delle tecnologie sociali, in particolar modo delle piattaforme, appare strategico.

La questione tecno-digitale va innanzitutto oltre la regolamentazione europea.

Il problema della gestione-alfabetizzazione politica e culturale dei nuovi media in Europa richiede una riflessione antropologica, o forse “ontologica” (Wolton, 2016) sul ruolo e lo statuto dell’informazione e della conoscenza nelle società democratiche.

Il tecnicismo globale e la digitalizzazione del mondo sono intesi come mezzi per attribuire senso alla mondializzazione e alla globalizzazione economica-informativa.

Regolamentare questo non aiuterebbe l’Europa a risollevarsi dalla crisi, il potere della trasparenza, la dimensione iper-pubblica e la velocità di re-azione delle (e nelle) piattaforme supera al momento ogni forma di agire sociali e politico europeo.

E’ dunque necessario collocarsi su un livello “post-digitale”, nel quale si tratterà di vivere avendo relativizzato, secondo Dominique Wolton, l’utilità di tutte le reti, di tutte le velocità.

La sfida è “oltre Internet”.

Come si può vivere in Europa oltre la tecnocrazia?

Fuoriuscire dalla subordinazione nei confronti della tecnica per riscoprire la cultura e la politica è una grande sfida.

Lo scontro tra visioni del mondo, anche se inizialmente fortemente polarizzate, è indispensabile per attivare un processo negoziale di senso e scoprire il piacere di riunificarsi fisicamente, lavorare, vivere insieme, riscoprire l’Europa, la sua storia, la sua geografia.

Conclusioni sulla sfida dell’incomunicazione

Comunicare l’attuale Europa è la strada che precede il tentativo di “ri-fare” un Europa post-digitale.

L’interconnessione e la mediazione di un buona informazione responsabile da parte dei media può contribuire alla ridefinizione di una comunità/identità nuova fondata sulla comunicazione cooperativa.

Il paradosso della globalizzazione/digitalizzazione è che doveva assicurare il trionfo pacifico dell’economia e del capitalismo su scala mondiale, mentre invece sembra aver innescato, dopo la recente pandemia, l’aumento delle disuguaglianze economiche e sociali.

Contemporaneamente si sono risvegliati gli odi tribali.

La cultura in senso lato è diventata un moltiplicatore di conflitti di cui i news media e la comunicazione politica fungono in molti casi da camera di risonanza all’interno di una sfera pubblica digitale dove informare diventa influenzare e comunicare significa manipolare.

Per l’Europa di oggi la sfida cruciale consiste nel riuscire a coniugare identità e universalità al fine di scongiurare il binomio identità/comunitarismo.

Bibliografia

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D’Ambrosi L. (2019), La comunicazione pubblica dell’Europa, Carocci, Roma.

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Foa R.M., Mounk Y. (2016), The Danger of Deconsolidation: The Democratic Disconnect, Journal of Democracy, vol. 27, 3, p. 5-17.

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