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di Luca Zanini
Coinvolge migliaia di piccoli mammiferi in sette Paesi orientali la tratta di animali selvatici catturati e costretti nelle gabbie per nutrirsi di bacche di caffè. Dai chicchi recuperati negli escrementi si produce il Kopi Luwak, che può costare fino a 900 euro al chilogrammo. Un giro d’affari che presto supererà 10 miliardi di dollari
Nei caffè alla moda di Saigon e di Siem Reap, lo troverete difficilmente. Troppo contestato, non in linea con la pur debole cultura ambientalista del sud est asiatico. Ma in tanti altri locali di città e villaggi, bar e ristoranti, dall’Indonesia alla Cambogia, dal Vietnam, alle Filippine e talvolta perfino in Thailandia, Malesia e Singapore, il commercio del Kopi Luwak – il «caffè più raro e costoso del mondo», con listini tra i 250 e i 900 euro al chilogrammo – continua fiorente. Nonostante l’attivismo di tanti gruppi nati in difesa dei piccoli roditori cui si deve questa singolare specialità: gli Zibetti delle palme (Owen’s palm civet, nome scientifico Chrotogale owstoni), sfruttati in allevamenti intensivi per «digerire» le bacche del caffè (di cui in natura si cibano solo saltuariamente) e restituirne i chicchi che vengono poi estratti dalle loro feci, lavati e tostati per il consumo umano.
Piccoli mammiferi a rischio d’estinzione
Da una decina d’anni numerosi attivisti combattono questa pratica e in Vietnam, dal 2021, è particolarmente attiva la Civet Project Foundation fondata dall’antropologa dell’università di Exeter Jes Hooper. Eppure, lungo le rive del Mekong, ci sono ancora numerosi allevamenti di zibetti, dove seppure questi piccoli mammiferi della famiglia dei Viverridi – oggi a rischio estinzione – non vengano sottoposti a pratiche violente, sono comunque tenuti in cattività: chiusi per la maggior parte del tempo in gabbie anguste. Talvolta sedati per poterli offrire ai turisti per le foto ricordo. Lo abbiamo potuto constatare durante un recente viaggio sul Delta del grande fiume.
Talvolta impazziscono nelle gabbie
«Ma altrove, avverte Chris Shepherd della ong Traffic South-East Asia, «le loro condizioni sono terribili, come quelle dei polli in batteria: gli animali impazziscono in gabbia, arrivano a perdere il pelo». Come tanti altri prigionieri in allevamento costretti in spazi limitati, gli zibetti accusano alti livelli di stress e frequenti stati di denutrizione. Alcuni, dopo anni di sfruttamento, vengono liberati, ma spesso non sopravvivono. Si calcola che solo tra Indonesia, Cambogia e Vietnam siano migliaia le Owen’s civet prigioniere del business del caffè. «Prevediamo che l’industria globale del Kopi Luwak raggiungerà entro il 2030 un giro d’affari da 10,9 miliardi di dollari», dicono alla Civet Project Foundation. Questo nonostante in Indonesia già da dieci anni due gruppi di produttori abbiano stabilito il divieto di produrre e commerciare caffè degli zibetti: «Ormai i caffè certificati Rainforest Alliance e UTZ garantiscono che questi marchi non traggono profitto dalla cattura, dall’ingabbiamento e dal maltrattamento degli animali selvatici», spiega Joanna Toole, responsabile della campagna Wildlife del Sustainable Agriculture Network (San).
Esperti a confronto. E c’è anche Jane Goodall
Se ne parlerà il 23 e 24 gennaio al Dudley Zoo and Castle, a nordovest di Birmingham, durante il Viverrid Workshop , meeting di scienziati ed esperti organizzato dal Biaza Mammal Working Group e dalla Civet Project Foundation. Proprio quest’ultima, negli ultimi due anni, ha realizzato un docu-film ora liberamente visibile su Youtube: The Civet Coffee, from rare to reckless, Il caffè degli zibetti, da raro a noncurante (del danno ambientale). In apertura del film, una testimonial d’eccezione, Jane Goodall. La nota zoologa ed esperta di primati confessa: «Non sapevo nulla del caffè prodotto con gli zibetti fino a tre anni fa. Quando l’ho scoperto sono rimasta scioccata: per prima cosa mi pareva assurdo che qualcuno volesse bere del caffè estratto da chicchi passati attraverso un sistema digestivo e recuperati dalle feci di questi animali. All’inizio si trattava di una pratica di alcune popolazioni indigene, che raccoglievano le deiezioni degli zibetti selvaggi nelle foreste… fin qui poteva avere un senso. Ma poi è diventata un’industria, una cosa oscena».
Trent’anni fa l’idea di un commerciante inglese
Sembra che la trasformazione del Kopi Luwak in un business si debba ad un inglese, il commerciante Tony Wild, che per primo nel 1991 importò in Gran Bretagna il caffè degli zibetti. E, nonostante la lavorazione “in feci”, il prodotto ebbe successo crescente. Secondo gli estimatori questo caffè è più dolce degli altri e particolarissimo perché lo zibetto delle palme non riesce a digerire la parte interna delle bacche, ma elimina la polpa esterna, togliendo così la parte amara. «Il vero problema è che ormai in tutta l’Asia il caffè di zibetto è diventato uno spettacolo per turisti», spiega Jes Hooper. «Durante un viaggio sui monti di Dalat, in Vietnam, ho partecipato ad un tour. E posso confermarvi che è sempre lo stesso copione: i turisti vengono accompagnati a visitare un allevamento di civet; poi li invitano a bere il kopi luwak, una ‘bevanda esclusiva’, e a condividere la propria esperienza sui social network».
Ben 365 annunci non etici in 7 Paesi
La sua ong ha realizzato nell’estate 2024, dopo il docu-film, una ricerca su Tripadvisor: «Nonostante la piattaforma abbia una chiara policy che vieta il commercio di prodotti legati allo sfruttamento degli animali – nota Jes – abbiamo identificato ben 365 annunci in 7 Paesi di «esperienze» negli allevamenti di zibetti per il caffè. E il 91,9% non era in grado di fornire alcuna garanzia sul benessere degli animali». Per questo adesso Tripadvisor collabora con Civet Project Foundation, ciò nonostante il 40% dei grandi tour operator ancora non si è deciso a cancellare dai propri programmi questo genere di tour. E per questo l’impegno della stessa Cpf sarà di «continuare ad indagare la crescita dell’industria del caffè di zibetto e il suo impatto sul benessere della specie».
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