Uno dei principali ostacoli che oggi le piccole e medie imprese italiane si trovano ad affrontare nel loro percorso verso l’innovazione digitale è rappresentato dalle barriere culturali. Questo dato emerge chiaramente dall’indagine condotta quest’anno dall’Osservatorio Software & Digital Native Innovation del Politecnico di Milano: più precisamente, il 41% delle piccole imprese e il 57% delle medie segnalano una carenza di personale adeguatamente formato e competente in ambito digitale.
A questa problematica si aggiunge un altro ostacolo significativo: la resistenza al cambiamento, evidenziata dal 40% delle piccole e dal 55% delle medie imprese. La difficoltà nell’implementare soluzioni digitali dimostra come il tessuto imprenditoriale italiano, pur consapevole delle potenzialità offerte dall’innovazione, incontri numerosi ostacoli lungo il percorso.
PMI e formazione, i limiti del Piano Industria 4.0
Questi risultati mettono in luce un problema strutturale: gli incentivi previsti dal Piano Industria 4.0 (poi diventato Transizione 4.0) hanno finito per avvantaggiare soprattutto le grandi imprese, lasciando indietro le PMI e le microimprese, che costituiscono oltre il 90% del tessuto produttivo italiano. Molte di queste aziende non sono riuscite a cogliere le opportunità offerte dal Piano, spesso a causa della mancanza di una visione strategica in ambito digitale, della difficoltà nell’accedere agli incentivi più utili e di una burocrazia ancora eccessivamente complessa. In un contesto economico in cui la capacità di innovare rappresenta un elemento cruciale per la competitività, la vera sfida consiste nel sostenere queste imprese nel loro processo di trasformazione, rimuovendo gli ostacoli che ne limitano il potenziale.
Il nuovo Piano Transizione 5.0
In questo contesto, il nuovo Piano Transizione 5.0 rappresenta un piccolo passo avanti in questa direzione. Tra le misure introdotte, spicca l’aumento del credito d’imposta per le spese relative alla certificazione necessaria per accedere agli incentivi. Un altro aspetto fondamentale è l’attenzione dedicata alla formazione dove si prevede un limite del 10% degli investimenti effettuati in beni digitali, con il cap a 300.000 euro, da dedicare ad attività di formazione del personale. Purtroppo, ancora una volta senza coinvolgere i Produttori di Software che rimangono esclusi tra i soggetti abilitati. Questo è particolarmente grave se si considera che attualmente circa l’80% delle PMI si affida ai propri fornitori di soluzioni software per la consulenza e la formazione interna.
L’importanza della formazione per le transizioni digitale e green
La doppia transizione digitale e green richiede alle imprese italiane di rivedere le proprie priorità, ponendo un’enfasi particolare sul capitale umano. La formazione, in questo contesto, non è solo uno strumento per aumentare la competitività, ma anche un mezzo per attrarre nuovi talenti e migliorare il posizionamento delle imprese in un mercato del lavoro sempre più dinamico. L’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano ha studiato a fondo questo segmento, composto da oltre 230.000 aziende con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro annui. Pur rappresentando solo il 5% del tessuto imprenditoriale in termini numerici queste imprese, secondo i dati dell’ultima ricerca dell’Osservatorio, generano il 41% del fatturato nazionale e il 38% del valore aggiunto del Paese, impiegando il 33% della forza lavoro privata.
I dati scoraggianti sulla cultura della formazione aziendale
Nonostante la rilevanza strategica delle PMI, la cultura della formazione aziendale è ancora poco diffusa. Come emerge dallo studio dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI, il 47% delle imprese intervistate dichiara di valutare occasionalmente le competenze del proprio personale, e appena il 15% ha integrato questa attività nella propria strategia aziendale. Questo dato contrasta con il 51% delle aziende che considera la formazione una priorità, evidenziando un gap tra consapevolezza e azione. Le attività di assessment, come i colloqui individuali e la valutazione delle performance, sono strumenti utili, ma spesso limitati a rispondere a esigenze immediate. Mancano invece strumenti di forecasting, che consentirebbero di anticipare i cambiamenti e pianificare meglio il futuro.
Il forecasting, infatti, è adottato in modo strutturato solo dall’11% delle PMI italiane, mentre il 19% lo utilizza sporadicamente. Questo approccio lascia le imprese vulnerabili alle evoluzioni del mercato. Spesso, le ridotte dimensioni aziendali e la mancanza di risorse portano a concentrarsi sulle esigenze quotidiane, trascurando una pianificazione strategica di medio-lungo periodo. Tuttavia, una maggiore collaborazione con l’ecosistema dell’innovazione – composto da fornitori, hub tecnologici e associazioni di categoria – potrebbe aiutare le PMI a superare queste difficoltà e a sviluppare nuovi modelli gestionali.
L’importanza di una visione strategica
La scarsa consapevolezza dell’importanza della formazione emerge anche dall’assenza di una programmazione formale in circa il 40% delle PMI. Quando presente, la pianificazione è spesso frammentaria e poco allineata con le reali esigenze aziendali. Per affrontare le sfide della transizione digitale e green, è essenziale che le aziende adottino una visione strategica, capace di integrare competenze trasversali e specifiche. Nonostante ciò, il 16% delle imprese si limita a offrire solo la formazione obbligatoria, mentre il 14% – si legge nello studio condotto dal Politecnico di Milano sulla digitalizzazione delle PMI – si affida a modalità informali, come l’affiancamento a personale esperto.
I benefici della formazione in termini di attrattività per i talenti
Le attività formative formali, se ben strutturate, rappresentano un’opportunità per accrescere la competitività delle PMI. Tuttavia, il 15% di queste imprese non ha una figura dedicata alla gestione della formazione, e in molti casi la responsabilità ricade sui responsabili di team o dell’imprenditore stesso, con il rischio di una visione frammentata e poco strategica. Anche le modalità di erogazione della formazione risentono di questa impostazione: il 58% delle PMI preferisce le lezioni frontali, mentre solo una piccola percentuale utilizza strumenti interattivi come i business game o i project work, più efficaci nel favorire l’apprendimento attivo.
Infine, è fondamentale considerare i benefici della formazione in termini di attrattività per i talenti. Le PMI che investono in programmi formativi strutturati non solo migliorano la loro competitività, ma riescono anche a fidelizzare i dipendenti e ad attrarre nuovi professionisti. Tuttavia, il 36% delle PMI non offre ai neoassunti alcuna formazione aggiuntiva rispetto a quella obbligatoria, perdendo così un’opportunità strategica per costruire competenze specifiche e stimolare l’engagement.
L’adozione di una cultura formativa più strutturata e orientata al futuro rappresenta quindi una delle principali sfide per le PMI italiane. Superare le barriere culturali e organizzative è essenziale per garantire che queste imprese possano continuare a essere il motore dell’economia nazionale, affrontando con successo le sfide della trasformazione digitale e della sostenibilità.
Le priorità strategiche per la formazione 5.0
Per questi motivi, per sviluppare una politica efficace in tema di formazione è fondamentale concentrare l’attenzione su alcune priorità strategiche.
Innanzitutto, la “Formazione 5.0” richiede un aumento significativo degli stanziamenti, accompagnato da un sistema di incentivi mirati che supportino in particolare le piccole imprese. Questo può essere realizzato modulando le percentuali di credito d’imposta previste dal Piano Transizione 5.0, prevedendo aliquote più elevate e decrescenti in base agli investimenti effettuati, superando l’attuale schema uniforme del 10% con un tetto di 300.000 euro. Un altro passo fondamentale è ampliare il numero di soggetti autorizzati a offrire formazione, includendo anche i fornitori di soluzioni software, così da garantire un ecosistema formativo più completo e accessibile.
Sul fronte dei Fondi Interprofessionali, è prioritario semplificare le procedure burocratiche, specialmente per quanto riguarda l’accesso ai fondi diretti, e promuovere una maggiore equità tra imprese. Un meccanismo solidale, che favorisca le realtà più piccole spesso penalizzate dalla scarsità di risorse, può contribuire a un utilizzo più inclusivo di questi strumenti. Al contempo, occorre intensificare la comunicazione sulle opportunità offerte dai Fondi, per incoraggiare una più ampia adozione della formazione finanziata. Anche in questo ambito, l’inclusione dei fornitori di soluzioni software tra i soggetti abilitati può rappresentare un elemento chiave per ampliare l’offerta formativa e rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione.
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