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Verso la pace in Ucraina?

Zelensky ha dichiarato al vertice Nato dello scorso 18 dicembre quanto sostengono da 3 anni molti esperti:  “l’Ucraina non ha le forze sufficienti per conquistare Donbass e Crimea. Lo dichiara dopo poche ore dall’uccisione del generale russo e del suo vice per via di un attentato del suo servizio di intelligence. E’ evidente che queste dichiarazioni nascono dopo l’elezione di Trump (che si insedierà il 20 gennaio prossimo) in quanto cade l’ipotesi, che a lungo l’amministrazione Biden aveva caldeggiato (seguita dall’improvvida Europa), di una vittoria dell’Ucraina sulla Russia. Trump ha fatto capire che intende cessare gli aiuti made in Usa a Kiev e chiudere una guerra molto dispendiosa per gli americani e impossibile da vincere (come avvenne in Vietnam e poi in Afghanistan) , anche perchè dietro la Russia ci sono la Cina e i Brics che hanno dimostrato come l’economia russa (sotto sanzioni occidentali) non si riesca ad indebolire. Si prospetta dunque un cessate il fuoco e, speriamo, una pace.

Da questa guerra escono sconfitti non solo gli ucraini che perderanno definitivamente tutte le regioni russofile (Donbass -20% del territorio- e Crimea) ma anche tutta l’Europa che ha pagato un prezzo enorme alla fine del dialogo commerciale con la Russia. La caduta dei governi tedesco e francese sta lì a dimostrarlo, ma anche l’Italia non se la passerà meglio: tutto il nostro sistema produttivo (e le famiglie) è indebolito da un prezzo di elettricità, gas e materie prime molto più alto della media UE e che avrà effetti depressivi di lungo periodo.

L’idea che la Russia voglia invadere anche altre parti dell’Europa è del tutto funzionale ad un’ Europa succube delle scelte Usa. Le ragioni geopolitiche dell’invasione della Russia del Donbass e dell’annessione della Crimea erano più che note agli esperti: la Russia non vuole la Nato ai suoi confini, non vuole un allargamento ad est fino ai suoi confini, come Putin ha, peraltro, ripetutamente detto negli ultimi 15 anni, così come gli Stati Uniti non accetterebbero ai suoi confini un Messico o Canada nella sfera Cina-Russia. L’Europa, seguendo la via americana, ha fatto forse il più grande errore dalla sua nascita, che avrà ricadute di lungo periodo sui suoi cittadini e imprese.

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Una difesa comune europea (che ora tutti reclamano) si potrebbe fare spendendo la metà di quello che i singoli Stati spendono oggi, che è pari a 315 miliardi – il triplo della Russia che ne spende 126 e un terzo degli Stati Uniti che sono leader mondiali con 900 miliardi. Purtroppo le principali cancellerie europee pare siano invece intenzionate ad un massiccio riarmo come se dovessimo prepararci ad una guerra, il che avrebbe come effetto di deprimere ulteriormente le spese europee per scuola, sanità e pensioni.

La guerra si poteva fermare già in primavera 2022 quando le due delegazioni (Ucraina e Russia) avevano avviato le trattative. Ma sia Gran Bretagna (Boris Johnson) che Usa (Biden), sotto la spinta delle multinazionali delle armi, sabotarono l’azione diplomatica.

Come disse all’Università di Ferrara all’indomani dell’invasione della Russia Khrystyna Gavrysh, ricercatrice specializzata in cooperazione giudiziaria internazionale e diritto penale internazionale, sarebbe stato sufficiente, per evitare la guerra e un milione tra morti e feriti, rispettare gli accordi di Minsk che lo stesso Zelensky aveva promosso, salvo poi farli naufragare il 29.8.2019 per seguire strategie geopolitiche di emanazione anglosassone che pensavano di indebolire la Russia e, per questa via, la Cina. L’effetto è stato tutto il contrario: la Russia si è rafforzata sul piano mondiale e tutto il sistema dei BRICS ha preso forza. Chi subirà un effetto depressivo di lungo periodo saranno i cittadini europei. Di seguito riportiamo un estratto dell’ intervento di Gavrysh in Unife:

Gli accordi di Minsk rappresentano un compromesso tra le aspirazioni imperialiste della Russia e l’esigenza dell’Ucraina a preservare la propria integrità territoriale. “, Tali accordi sono stati firmati dai rappresentanti della Russia, dell’Ucraina e dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE), …oltreché dai due rappresentanti delle regioni separatiste. La conclusione di questi accordi è stata altresì favorita tramite i negoziati promossi in seno al c.d. Formato Normandia, composto dai rappresentanti dell’Ucraina, Russia, Germania e Francia… Tale dichiarazione è stata anche inserita nell’allegato 2 alla risoluzione n. 2202/2015 del Consiglio di sicurezza che recepisce altresì il secondo accordo di Minsk, rendendo peraltro l’organo delle Nazioni Unite un ulteriore garante, oltre all’OCSE, dell’esecuzione di quanto disposto negli stessi. …
Tra gli obblighi più rilevanti degli Accordi di Minsk vi è il cessate il fuoco da ambo le parti, il ritiro delle truppe da parte della Russia e una riforma costituzionale sul decentramento territoriale in capo all’Ucraina entro la fine del 2015. Quest’ultimo obbligo, in particolare, è sancito dall’art. 11 del secondo accordo di Minsk ed è indicato dall’art. 9 dello stesso come presupposto necessario affinché la Russia ceda il pieno controllo sulla frontiera nelle zone del conflitto al Governo ucraino, creando così una subordinazione normativa tra le due disposizioni.

Il successivo governo ucraino ha mostrato un atteggiamento piuttosto ambiguo in relazione agli accordi. In effetti, Petro Poroshenko – l’ex presidente ucraino che ha promosso la loro stipula, conferendo all’uopo i poteri di rappresentanza a Leonid Kuchma – è stato sottoposto ad un procedimento penale per alto tradimento per fatti connessi alla conclusione degli stessi e, in particolare, per gli accordi di fornitura di carbone con le regioni separatiste. Il procedimento però è finito con un’assoluzione. C’è stata anche un’inchiesta parlamentare sulla possibile violazione della Costituzione ucraina connessa sempre alla stipula degli accordi di Minsk e alle successive riforme promosse proprio da Poroshenko per adeguarvisi. D’altro canto, Volodymyr Zelensky – subentrato a Poroshenko nel 2019 – ha più volte confermato l’intenzione di attuarli, ma anche l’esigenza di rinegoziarli, mai presa in considerazione dalla Russia. Al di là di questi rilievi, rimane però intangibile un dato fattuale: la riforma costituzionale sull’autonomia territoriale – seppur oggetto di una specifica proposta di legge costituzionale n. 2217а del 1° luglio 2015, che avrebbe apportato significative modifiche all’art. 133 della Costituzione ucraina in materia di organizzazione territoriale – a favore delle regioni separatiste, imposta dall’art. 11 del secondo accordo di Minsk, non è mai stata attuata per eccessive divergenze politiche in seno al Parlamento ucraino, venendo definitivamente revocata il 29 agosto 2019.

Ma veniamo ora alle ragioni sovente invocate … per asserire la carenza di vincolatività giuridica degli accordi di Minsk e, dunque, la loro mera valenza politica (Markov et al.), “Legal Nature Issues of the Minsk Agreements (International and Legal Analysis)”, Law and Safety, no. 4, 2020, p. 20 ss.). Gli argomenti principali sono due: mancata espressione della volontà a vincolarsi mediante la ratifica, ai sensi dell’art. 9, par. 1, della Costituzione ucraina, da parte del Parlamento ucraino (Verchovna Rada) e mancato conferimento di pieni poteri a Leonid Kuchma e, dunque, violazione degli articoli 3, 5 e 6 della legge ucraina n. 1906-IV del 29 giugno 2004 sugli accordi internazionali (recanti norme sul procedimento interno da rispettare in materia di conclusione dei trattati) in combinato disposto con l’art. 103, par. 3, della Costituzione ucraina sulla competenza del Presidente a concludere gli accordi internazionali.

Per comprendere se il conferimento dei pieni poteri fosse incompleto o viziato, occorre, dunque, analizzare il documento con il quale esso è stato effettuato. Orbene, si tratta dell’ordine n. 953 dell’8 luglio 2014, intitolato «Sull’autorizzazione di Kuchma a partecipare al gruppo di contatto tripartito per la risoluzione pacifica della situazione nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Al fine di attuare il piano del Presidente dell’Ucraina sulla soluzione pacifica della situazione nelle regioni di Donetsk e Luhansk e di raggiungere accordi sulla sua attuazione». Dal testo del documento non paiono esserci dubbi che si tratti di un vero e proprio conferimento di pieni poteri.

Passando… alla mancata ratifica ai sensi dell’art. 9, par. 1 da parte del Parlamento ucraino, va precisato che in effetti la fattispecie in oggetto – ossia la stipula di un accordo di pacificazione– ricade nelle ipotesi in cui l’atto di ratifica è richiesto dall’art. 9, par. 2, lett. a), della legge n. 1906-IV/2004 sugli accordi internazionali. Tuttavia, la conclusione degli accordi in forma semplificata e, dunque, attraverso l’espressione del consenso mediante la firma, rappresenta una prassi piuttosto consolidata nel diritto internazionale….In applicazione dei principi ivi sanciti, si può giungere alla conclusione che il conferimento dei pieni poteri e il testo degli accordi mediante l’utilizzo di una terminologia assolutamente imperativa faccia pensare senz’altro alla volontà di creare un vincolo giuridico sul piano internazionale. … Del resto, l’Ucraina non ha mai invocato ufficialmente la nullità degli accordi di Minsk.

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Fugati i dubbi sulla validità degli accordi oggetto di questa disamina, non pare però ci siano le condizioni sulla loro possibile estinzione, ufficialmente invocata da Putin nella conferenza stampa del 22 febbraio, concessa a seguito del discorso alla nazione in cui riconosceva pubblicamente le Repubbliche indipendenti di Donetsk e Luhansk. Il presidente russo adduceva due argomenti a supporto di tale estinzione. Anzitutto, egli afferma che «questo compromesso [rappresentato dagli accordi] è rimasto lettera morta per colpa dell’attuale Governo ucraino. Gli accordi di Minsk sono stati uccisi ben prima del riconoscimento delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk, ma non da me e nemmeno dal Governo delle Repubbliche, bensì dal Governo ucraino. Già da tempo il Governo di Kiev ha pubblicamente affermato che non era intenzionato a rispettare tali accordi (…). A questo punto gli accordi di Minsk non esistono più» (posizione assunta anche dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite Vasily Nebenzia, in seno al Consiglio di sicurezza e in qualità di suo presidente, all’incontro n. 8974 del 23 febbraio 2022, UN Doc. S/PV.8974). L’estinzione in questo caso rappresenterebbe una reazione all’inadempimento da parte dell’Ucraina ai sensi dell’art. 60 della Convenzione di Vienna. In secondo luogo, il leader russo ribatte ai giornalisti che insistono sull’importanza degli accordi: «Cosa dobbiamo rispettare se abbiamo riconosciuto l’indipendenza di queste regioni?!», facendo così leva sul mutamento fondamentale delle circostanze previsto dall’art. 62 della Convenzione di Vienna. Tuttavia il diritto internazionale non ne riconosce l’estinzione e dà validità agli accordi di Minsk.”

 

In copertina: riproduzione opera “Der Krieg”, Marc Chagall, licenza Creative Commons

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Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.



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