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Gli emendamenti alla legge antipirateria del 14 luglio 2023 sono stati approvati sia al Senato che alla Camera. Il prossimo e ultimo step, ora, è la conversione in legge. Ma cosa è cambiato, concretamente?
Be’, come stiamo per vedere, si tratta di piccole ma significative modifiche. La prima interessa l’articolo 1, in cui la parola “univocamente” è stata sostituita con “prevalentemente”:
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di seguito denominata «Autorità », con proprio provvedimento, può ordinare ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di accesso alla rete, di disabilitare l’accesso a contenuti diffusi abusivamente mediante il blocco della risoluzione DNS dei nomi di dominio e il blocco dell’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP
univocamenteprevalentemente destinati ad attività illecite.
Ciò implica che non basti una sola attività illecita, per comportare il blocco degli IP, bensì deve trattarsi di un illecito sistematico, predominante.
Quanto a Piracy Shield, la piattaforma nazionale per interrompere entro 30 minuti lo streaming pirata di eventi sportivi, l’articolo 3 stabilisce la sua estensione a VPN e DNS:
… l’Autorità ordina ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di servizi di accesso alla rete nonché i fornitori di servizi di VPN e quelli di DNS pubblicamente disponibili, ovunque residenti e ovunque localizzati, di disabilitare l’accesso ai contenuti diffusi abusivamente mediante blocco dei nomi di dominio e degli indirizzi IP ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo.
Anche l’Europa dovrebbe a breve disporre qualcosa di simile, a fronte della sollecitazione dell’AAPA (Audiovisual Anti-Piracy Alliance) che chiede la rimozione semi-immediata dei contenuti illegali e che i provvedimenti di blocco vengano estesi a VPN e browser Web.
Proseguendo, l’articolo 5-bis introduce una procedura per sbloccare gli IP dopo sei mesi, a condizione che non risultino più utilizzati per scopi illegali. Questo allarga il raggio di azione a enti come il Registro Italiano per il dominio .it, che fino ad oggi non avevano avuto nulla a che fare con Piracy Shield.
Sempre a proposito del blocco, l’articolo 7-bis parla di un limite al numero di IP e domini che possono subirlo durante il primo anno di funzionamento della piattaforma. Trascorso questo periodo, non dovrebbe esserci più alcun limite. Tuttavia, nello stesso articolo, si parla anche di una limitazione tecnica: il numero di IP bloccabili dipenderà dalla capacità dei sistemi degli ISP (Internet Service Provider). Insomma, limite temporale o limite tecnico? Il testo non è chiaro e sembra anzi contenere una contraddizione.
In ultimo, la legge prevede che diversi fornitori di servizi (VPN, motori di ricerca e operatori di sicurezza Internet) debbano segnalare immediatamente all’autorità giudiziaria qualsiasi attività penalmente rilevante (pirateria o frode) di cui vengano a conoscenza.
Con un post su LinkedIn, Diego Ciulli di Google ha espresso perplessità su questa misura, affermando che per Google sarebbe impossibile gestire tali segnalazioni, visto che potrebbe trovarsi a dover notificare miliardi di URL. Va però specificato che quei numeri sono cumulativi e riguardano tutti gli anni e le richieste, molte delle quali non rientrano nelle fattispecie penalmente rilevanti della legge.
Di fatto, Google riceve moltissime richieste non valide, come reclami per violazione del copyright non legati a contenuti penalmente rilevanti. La portata stessa del problema potrebbe essere stata ingigantita: non è certo che la legge sia destinata ad applicarsi su tale scala a servizi come Google.
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