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Reagire all’inflazione: un’indagine sulle imprese del made in Italy #finsubito prestito immediato

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La crescita dell’inflazione ha avuto effetti rilevanti sulle famiglie, ma anche sulle imprese. Un’indagine sul campo, condotta in aziende di tre settori portanti del made in Italy, mostra quali sono stati i problemi affrontati e le strategie per rispondere.

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Le due crisi che hanno portato al rialzo dell’inflazione

Il rialzo dell’inflazione, originato dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, ha avuto effetti rilevanti non solo sulle famiglie (figura 1), ma anche sulle imprese, che hanno subito le interruzioni lungo le catene globali del valore, lo shock della domanda post-Covid, il forte rialzo dei prezzi energetici, l’aumento dei tassi d’interesse sui prestiti bancari e la riduzione del potere d’acquisto dei consumatori finali. In Italia, l’impennata dell’inflazione ha gravato in particolare su alcuni settori (figura 2).

Figura 1 – Andamento del tasso di inflazione al consumo in Italia (marzo 2020-dicembre 2023)

Fonte: elaborazioni su dati Istat

Un recente lavoro ha analizzato il tema attraverso un’indagine, condotta con interviste face-to-face semi-strutturate, su un gruppo di nove medie e grandi imprese appartenenti ad alcuni dei settori più colpiti dall’ondata inflazionistica: l’alimentare (4), la chimica (3) e il legno-arredo (2). Le interviste miravano in particolare a capire quali sono state le ripercussioni negative dell’inflazione sull’ attività dell’impresa e quali strategie di risposta, temporanee o permanenti, sono state adottate.

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Figura 2 – Prezzi alla produzione dei vari settori (variazioni percentuali annuali)

Fonte: elaborazioni del Centro Studi Confindustria su dati Istat

Le ripercussioni negative dell’inflazione sull’attività delle imprese

Tutte le aziende intervistate hanno segnalato problemi nell’approvvigionamento in entrambe le crisi. Nella fase della pandemia e nel periodo subito seguente molte forniture non arrivavano, i porti erano congestionati e i container erano costosi e difficili da reperire, determinando una insufficienza di input, che ha creato una competizione per la loro acquisizione e quindi un effetto inflattivo.

Con lo scoppio della guerra in Ucraina ci sono state problematiche per le imprese chimiche legate al petrolio, che dopo le sanzioni decise dall’Ue non poteva più essere acquistato dalla Russia e doveva quindi arrivare dai paesi asiatici a prezzi maggiori per i più alti costi logistici.

Tutte le imprese coinvolte nell’indagine hanno poi risentito del forte incremento dei costi energetici. Nell’alimentare, un’impresa dolciaria ha avuto problemi per la conservazione, dovendo tenere il cioccolato a temperature controllate, mentre due aziende del mondo bakery, che utilizzano forni a metano, hanno lamentato più alti costi di produzione, oltre a incontrare grossi problemi a procurarsi l’olio di girasole, di cui l’Ucraina è il principale produttore europeo.

Nel legno-arredo, un’azienda ha invece avuto difficoltà nel reperimento dell’urea utilizzata per le colle (usata anche per la fertilizzazione dei campi in Russia) e ha, di conseguenza, dovuto cercare altri fornitori, a prezzi più elevati. Anche trovare legno era difficile perché un numero maggiore di persone utilizzava i caminetti e le stufe per riscaldarsi, dato il forte aumento del prezzo del gas.

Nell’alimentare, in due casi è stata segnalata una riduzione delle vendite per il minor potere d’acquisto dei consumatori nei periodi di crisi acuta. Per il settore chimico e del legno-arredo è accaduto invece l’inverso, in particolare nella fase pandemica: la domanda, infatti è aumentata, essendoci forte necessità di materie di base e una maggiore attenzione dei consumatori agli spazi domestici. In corrispondenza del secondo shock, un’azienda chimica ha avuto problemi per il calo degli investimenti nei mercati di sbocco dovuto all’inflazione. Le imprese del legno hanno comunque risentito della riduzione del potere d’acquisto dei clienti.

Infine, due imprese, una del legno-arredo e una del settore chimico, hanno avuto difficoltà per l’aumento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea, che ha indotto una riduzione degli investimenti e determinato una priorità per quelli a medio termine invece che a lungo termine, in ragione del fatto che le banche erano meno propense a concedere finanziamenti. Ha influito anche una riduzione dell’attività per il settore delle costruzioni, importante cliente, a causa dell’aumento dei tassi sui mutui.

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Le strategie adottate per far fronte all’aumento dei prezzi

In risposta all’incremento dei costi, le imprese intervistate hanno aumentato i prezzi. Quelle alimentari hanno cominciato a farlo solo nella seconda ondata inflazionistica, da fine 2021, per la difficoltà a rinegoziare i contratti con la grande distribuzione organizzata.

Non ci sono state invece modifiche strutturali alla supply chain. Nell’alimentare, infatti, le materie prime alimentari provengono da paesi specifici, e il fatto che i rapporti con i fornitori sono di lungo termine rende molto difficile cambiarli. Nella chimica, invece, un’azienda ha variato il mix geografico di fornitori, comprando più dall’Asia a causa dei prezzi più elevati in Europa. Un’azienda del legno-arredo ha poi fatto solo modifiche temporanee alla catena di approvvigionamento, per sopperire alla mancanza di urea e legno.

Altro elemento comune alle strategie delle imprese intervistate è poi il fatto che non ci sono stati fenomeni di localizzazione delle fabbriche (per esempio, reshoring e nearshoring). I siti produttivi in cui sono insediate le diverse imprese servono infatti le diverse regioni nel mondo, e alcune aziende producono solo in Italia.

Tutte le imprese hanno poi dichiarato di essere diventate più attente nella pianificazione delle scorte e nella gestione del magazzino per neutralizzare la volatilità nei costi delle materie prime e far fronte ai più lunghi tempi di consegna dei fornitori. Hanno anche aumentato gli investimenti sia nella produzione che nello stoccaggio dei materiali per migliorare l’efficienza. Un’azienda del legno ha introdotto un nuovo macchinario più automatico per risparmiare energia e avere più flessibilità e ha installato un impianto fotovoltaico per soddisfare una parte del fabbisogno energetico con energia autoprodotta.

Per ciò che concerne gli stop alla produzione, ci sono stati orientamenti diversi. Nessuna impresa alimentare l’ha fermata, anche per evitare di perdere spazio a scaffale, mentre un’azienda chimica e una del legno-arredo hanno effettuato alcuni fermi di fabbrica per risparmiare sui costi energetici e del personale.

In conclusione, l’ondata inflazionistica ha evidentemente prodotto conseguenze rilevanti sulle imprese intervistate, determinando strategie di risposta a volte simili tra loro, a volte diverse. Nonostante la difficile situazione a livello geopolitico, tutte le aziende intervistate hanno deciso di non modificare la geografia dei mercati di sbocco, né hanno fatto ricorso a reshoring o nearshoring. Piuttosto, si sono concentrate sui processi interni, aiutate anche dall’attivazione o dal potenziamento di incentivi per investimenti nell’efficientamento, soprattutto energetico, della produzione e dello stoccaggio dei materiali.

In particolare, per l’autoproduzione di energia elettrica, il supporto dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni per permettere alle imprese di affrontare eventi simili. Il forte impegno previsto dal Pnrr in investimenti nell’energia auto-prodotta e nell’utilizzo industriale dell’idrogeno verde, soprattutto nei settori hard-to-abate (si veda Misura M2C2), potrà evidentemente accrescere la resilienza del sistema nel medio e lungo periodo.

Il Pnrr, tra l’altro, mira anche a intervenire sulle strozzature nelle catene logistiche e del valore (si pensi agli investimenti nella rete ferroviaria e nell’intermodalità). Uno spunto utile per rendere più resilienti le supply chain, in particolare quelle del made in Italy, può essere preso dalla strategia di diversificazione geografica dell’approvvigionamento energetico (gas) realizzata negli ultimi anni dall’Italia.

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Dario Musolino

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Economista del territorio e docente di Scenari Economici presso l’Università Bocconi. Laureatosi in Economia Politica all’Università Bocconi, ha ottenuto un M.Sc. in Human Geography Research presso la LSE (UK) e un Ph.D. in Spatial Sciences presso l’Università di Groningen (Olanda). Tra le sue aree di interesse: competitività e attrattività territoriale; sviluppo di aree periferiche, rurali e marginali; Mezzogiorno; analisi di distretti industriali, settori e filiere produttive, con particolare riferimento alla filiera agro-alimentare; valutazione dell’impatto socioeconomico di disastri naturali. È autore di più di centotrenta pubblicazioni a livello nazionale e internazionale. È editor della Rivista Economica del Mezzogiorno (Il Mulino, Bologna). E’ stato membro del Direttivo dell’AISRe dal 2010 al 2016, nonchè co-fondatore e redattore di EyesReg, giornale on-line di scienze regionali, dal 2011 al 2021.



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