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Proveniente dai movimenti cittadini di resistenza agli sfratti che hanno infiammato la società spagnola dopo lo scoppio della bolla speculativa immobiliare del 2008, Ada Colau è stata la prima donna a ricoprire il posto di sindaco di Barcellona. Con lei alla guida, la città ha affrontato le numerose sfide, dal turismo di massa, alla speculazione edilizia, al cambiamento climatico, alla sicurezza, che avevano stravolto gli equilibri della capitale catalana, dove gli interessi di poche élite economiche stavano mettendo a dura prova la coesione e la pace sociale.
La sua azione di governo è stata caratterizzata dal ripristino della centralità dei cittadini nelle politiche municipali e dalla sfida ai grandi gruppi di potere, fondi di inversione e multinazionali, per costruire una città “giusta e coesa”, titolo dell’intervento che concluderà oggi a Taranto il worskshop internazionale “There is a Plan B: Ripensare il futuro dei territori fragili”, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in collaborazione con l’Università di Bari “A. Moro”, promuove il Workshop internazionale There is a Plan B. Ripensare il futuro dei territori fragili che si terrà oggi dalle 10 alle 18 presso la Sala Conferenze del Dipartimento Jonico, Università degli Studi di Bari (Ex Caserma Rossarol) a Taranto.
Ada Colau, come si costruisce una città “giusta e coesa”?
«Non c’è una formula magica. Bisogna fare molti interventi in vari ambiti. Uno è quello del lavoro. È importante creare posti di lavoro di qualità seguendo un modello economico diversificato e resiliente che punti in settori strategici e con prospettiva. Un altro punto sono le politiche abitative. Bisogna promuovere forme di edilizia a prezzi accessibili per le persone che vivono nella città. Senza cittadini non esistono le città. Più in generale sono importanti le politiche sociali e di redistribuzione, non per una mera questione di giustizia sociale ma si tratta di investire strategicamente insieme nel futuro. Una città con molte diseguaglianze è una città fragile, senza sicurezza».
Lei ha puntato molto sulla partecipazione della cittadinanza nei processi decisionali. Come nasce questa visione politica, quali sono i successi e le difficoltà a cui è andata incontro?
«La partecipazione ha dato prova di essere un fattore fondamentale per rispondere ai grandi problemi globali che caratterizzano la modernità e che si concretizzano nelle città. La maggior parte della popolazione mondiale vive in territorio urbano ma questi sono gli enti che hanno meno strumenti giuridici e meno risorse per intervenire. Davanti a tale scarsità di mezzi, le città sono state pioniere nel trovare risposte creative e innovatrici, creando reti e collaborazioni anche internazionali per condividere esperienze e strategie. La partecipazione non è solo un meccanismo per far sentire la cittadinanza più coinvolta nei processi decisionali ma è una necessità, perché le amministrazioni da sole non possono far fronte a queste problematiche così importanti. C’è bisogno della creatività, dell’innovazione, del coraggio della cittadinanza».
Il turismo è una risorsa importante, ma problematica. Come sindaco di Barcellona come ha affrontato il problema dell’overtourism?
«Quando sono stata eletta ho trovato una situazione completamente fuori controllo nell’ambito turistico. Barcellona è sempre stata una città aperta e ci piace che vengano a visitarla. Ci piace arricchirci culturalmente con i nostri visitatori, il turismo di massa però ci ha danneggiato molto. Avevamo milioni di visite all’anno e queste stavano generando un impatto negativo sulla città. I cittadini si stavano sentendo messi all’angolo da questa forma industriale di turismo e anche i visitatori vivevano ormai la sensazione di non trovarsi in una vera città ma in una specie di cartolina. Come amministrazione abbiamo quindi elaborato un piano urbanistico che limitava le concessioni per nuove costruzioni dedicate all’accoglienza e bloccammo il rilascio di nuove licenze agli operatori. Ci siamo messi contro grandi interessi economici: basti ricordare la megamulta da mezzo milione di euro che elevammo ad AirBnb obbligando la piattaforma a eliminare centinaia di annunci non autorizzati. All’inizio ci hanno accusati di voler affossare l’economia della città, ma alla fine, la nostra scommessa di reindirizzare gli interessi verso altre forme di investimento come la mobilità sostenibile, la tecnologia, le fonti rinnovabili, la cultura si sta rivelando vincente».
A Taranto, realtà molto differente ma che prova a ripensarsi, si parlerà del “piano B” delle zone di sacrificio, come si interviene dopo che l’industria ha cambiato il volto di un territorio?
«Noi obbligammo chi interveniva a mettere in piedi reali ristori sociali, ad esempio prevedendo una quota abitativa sociale. Ma in questo è necessario determinare attraverso un percorso di ascolto della città quali sono le sue necessità».
Com’è possibile far ascoltare la voce dei cittadini all’interno dei processi decisionali?
«Per decidere qual è la città che vogliamo, quali sono le priorità, bisogna coinvolgere la cittadinanza attraverso i processi partecipativi. Le città sono un terreno di scontro con in gioco interessi contrapposti. Ci sono delle élite che dopo decenni di gestione neo liberista si sono abituate a tenere tutto il potere nelle loro mani. Hanno appoggi tra i mezzi di comunicazione, tra i giudici, hanno le risorse per pagare avvocati. La cittadinanza rappresenta invece il contropotere. Il dibattito pubblico permette di limitare questi interessi. È vero che le amministrazioni hanno pochi mezzi, ma la pianificazione urbanistica è il più importante tra questi. Il suolo urbano è una delle risorse più importanti che esistono e rendere partecipe la popolazione dei processi decisionali che riguardano la gestione del suolo pubblico è l’arma forse più efficace per contrapporre l’interesse pubblico agli interessi economici di questi gruppi di potere».
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