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«Boraso, un computer in bagno per nascondere le false consulenze»

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VENEZIA – Dopo la puntata della trasmissione televisiva d’inchiesta Report del dicembre 2023, dedicata a presunti scandali in Comune di Venezia, aveva pubblicamente smentito l’ipotesi di illeciti, sostenendo che le consulenze da lui svolte erano reali e del tutto lecite. Ma nel frattempo, all’interno del suo ufficio, Renato Boraso ritoccava contratti e relazioni per cercare di assicurare credibilità alla versione difensiva.


A confermarlo, a conclusione di un tormentato interrogatorio, è stata la storica segretaria dell’imprenditore agricolo di Favaro Veneto, per molti anni consigliere comunale a Venezia e poi assessore alla Mobilità, arrestato lo scorso luglio con l’accusa di corruzione in relazione a somme di danaro ricevute da imprenditori e mascherate dietro il paravento di consulenze fittizie.

«Le consulenze che c’erano le abbiamo sistemate, mentre altre sono state create ex novo – ha spiegato la segretaria alla Guardia di Finanza, il 27 agosto scorso -. In alcuni casi ho dovuto integrare con dettagli ulteriori le relazioni di consulenza che in precedenza erano più scarne e semplificate».
In un primo momento la donna aveva dichiarato, sotto giuramento, di essere stata costretta a riscrivere alcuni documenti giustificativi dell’attività di consulenza svolta da Boraso a seguito di una truffa della quale era rimasto vittima durante un acquisto di criptovalute: «In tale contesto abbiamo avuto un accesso fraudolento al pc, a seguito del quale Boraso mi ha chiesto di rifarli».

LA RITRATTAZIONE

Ma questa versione ha resistito poco. Nel pomeriggio, dopo una pausa di riflessione, la segretaria ha ripreso l’interrogatorio rettificando quanto in precedenza dichiarato: «Sono molto legata al signor Boraso, in quanto mio datore di lavoro e persona verso la quale nutro da anni una forte gratitudine personale. È doloroso per me riferire circostanze che potrebbero nuocergli, ma ritengo di dover dire ciò che so…».

La donna ha quindi spiegato di aver utilizzato il suo pc personale per sistemare le carte, indicando un altro luogo dove trovare copia dei documenti riscritti: «Un device nascosto in ufficio o nel bagno ad uso promiscuo tra ufficio e abitazione. Tale comportamento mi era stato suggerito da Boraso», il quale non voleva che qualcuno dei suoi familiari potesse «avere accesso a tutti i files più riservati».

Nel corso della deposizione, la donna fa riferimento ai vari documenti modificati, uno dei quali «dettato parola per parola dal dottor Boraso e redatto ex novo ad inizio di quest’anno», il 2024. Tra le relazioni modificate, una riguarda la società Mafra di Francesco Gislon («È stata redatta a posteriori»); altre i rapporti con la società Falc Immobiliare di Claudio Vanin, l’imprenditore che con la sua denuncia ha dato il via all’inchiesta Palude, facendo finire indagato per corruzione anche il sindaco Luigi Brugnaro, in relazione al tentativo di vendita dell’area dei Pili. Per altre società, ha spiegato la segretaria, «sono state create relazioni ex novo che non esistevano. Ho sempre eseguito gli ordini di Boraso».

Nel corso delle indagini, è emerso da alcune intercettazioni che Boraso avrebbe bruciato in una stufa alcuni documenti di cui voleva sbarazzarsi. Ma non si è preoccupato di cancellare le tracce digitali da telefoni cellulari, tablet, computer e memorie esterne, che sono state sequestrate dalle Fiamme gialle, fornendo elementi che gli inquirenti ritengono utili alle indagini.

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RELAZIONI COPIA E INCOLLA

«Non ho mai visto il dottor Boraso fare consulenza immobiliare… – ha aggiunto la segretaria -. Per quanto lo vedevo posso presumere che facesse da tramite, mettendo in contatto domanda e offerta. Operava come “ponte”… per le consulenze amministrative/immobiliari si arrangiava lui col cliente, io trascrivevo solo alcuni appunti manoscritti che lui mi consegnava… Mi ha chiesto qualche volta di ricercare e salvare studi sul mercato immobiliare, compresi grafici e proiezioni, relativi al territorio veneto, che poi inviavo su sua indicazione… ho fatto copia incolla di articoli di giornale».

Nei due memoriali prodotti alla procura e nei cinque interrogatori sostenuti di fronte ai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, l’ex assessore ha ammesso che molte consulenze erano fittizie o sovrafatturate. E gli stessi imprenditori hanno confermato che il denaro che gli versavano era il compenso per il suo interessamento alle pratiche edilizie o alle gare d’appalto a cui tenevano.

La conferma delle modalità adottate da Boraso arriva anche da un episodio riferito dall’amico architetto Fabiano Pasqualetto, anche lui indagato per corruzione nell’inchiesta Palude. Dopo aver pagato una parcella di 11 mila euro relativa alla progettazione di alcuni interventi nella sua abitazione, l’ex assessore «ha preteso che contestualmente gli riconoscessi il medesimo importo come compenso per la sua attività di procacciamento di clienti che si erano rivolti a me per un piano di lottizzazione nel 2017 in via Vallenari… ha rivelato Pasqualetto -. Per giustificare il pagamento mi ha chiesto di pagare una finta consulenza immobiliare».

Boraso, assistito dall’avvocato Umberto Pauro, ha concordato il patteggiamento di tre anni e dieci mesi di reclusione: l’udienza di fronte alla gip Carlotta Franceschetti è fissata per il prossimo 12 febbraio.





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