Il cardinale Konrad Krajewski durante la Messa della notte di Natale nella Cattedrale latina di Kharkiv – Gambassi
«Ne sono convinto: è l’ultimo Natale di guerra per l’Ucraina». Il cardinale Konrad Krajewski ha appena finito di celebrare la Messa della notte a Kharkiv. L’elemosiniere pontificio è arrivato nella seconda città del Paese, a cinquanta chilometri dalla frontiera russa, per «aprire la porta della speranza anche qui, mentre papa Francesco apre quella del Giubileo nella Basilica di San Pietro», racconta ad Avvenire. È la sua nona missione nel Paese sotto le bombe. «E credo che il prossimo anno ci rivedremo in Ucraina senza più il rumore delle armi e dei missili: personalmente ne sono persuaso», ribadisce il prefetto del Dicastero della carità. Nella notte lascia Kharkiv e, qualche ora dopo, la metropoli viene investita da un massiccio bombardamento: 12 i missili che segnano il Natale, di cui uno caduto vicino alla Cattedrale greco-cattolica.
Il cardinale Konrad Krajewski benedice il presepe nella Cattedrale latina di Kharkiv – Avvenire
Il cardinale è partito da Roma con la “super” ambulanza per l’Ucraina «donata dal Papa e benedetta dallo stesso Francesco», dice Krajewski. E l’ha guidata da solo per oltre 2mila chilometri attraversando l’Europa. Un «ospedale mobile», come lo definisce, dove è possibile anche eseguire interventi chirurgici, che ha consegnato a Leopoli alla Caritas diocesana insieme con sei ecografi che «andranno ad alcuni ospedali danneggiati». Poi la sosta a Kiev. E quindi la tappa a sorpresa a Kharkiv dove ha celebrato la Messa della notte di Natale nella Cattedrale latina con il nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, i vescovi latino e greco-cattolico di Kharkiv, Pavlo Honcharuk e Vasyl Tuchapets. Presenti, tra gli altri, l’arcivescovo Mytrofan della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, diversi rappresentanti delle comunità protestanti e il sindaco di Kharkiv.
La Messa della notte di Natale nella Cattedrale latina di Kharkiv con il nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas e il cardinale Konrad Krajewski – Gambassi
Eminenza, perché il Natale in una città che è sotto attacco costante di Mosca?
Sono qui in Ucraina per volontà del Papa. Quando sono arrivato a Kiev e ho saputo che il nunzio sarebbe venuto a Kharkiv, ho scelto di unirmi a lui per essere in mezzo alla gente che più vive la brutalità dell’aggressione russa. È giusto stare fra quanti restano nonostante i bombardamenti, ma anche fra chi ha avuto la forza di tornare. Abbiamo cenato insieme e poi celebrato l’Eucaristia. Quando mi chiedono perché sono qui, rispondo perché ci spinge la logica del Vangelo: essere accanto a chi soffre. E annunciare Cristo che ci dona la pace: siamo noi a non saperla accogliere o amministrare.
Ha portato l’abbraccio del Papa…
Il Papa ha nel cuore l’Ucraina e il suo popolo. L’ho sentito al telefono perché voleva avere notizie del viaggio e gli ho detto che sarei andato a Kharkiv. Mi ha risposto: “Vai nel posto giusto”. Così al termine della liturgia ho fatto distribuire un’immaginetta con gli auguri del Pontefice. Qui i cattolici sono poche centinaia: non possono sentirsi soli. Ma vale per tutta la gente. A Kiev ho visitato la chiesa di San Nicola danneggiata nell’ultimo attacco russo della capitale la scorsa settimana e ho visto i palazzi bombardati. Ogni giorno muoiono mille soldati: alla vigilia di Natale, siamo arrivati a 1.800 in 24 ore. Va fermata questa follia. Dobbiamo gridare al mondo: “Basta”. Il Papa ci sta mettendo tutto il suo impegno. Penso non solo ai suoi costanti appelli ma anche al modo con cui contribuisce alla liberazione dei prigionieri in Russia: sono moltissime le lettere che gli arrivano.
Il cardinale Konrad Krajewski con un giovane miliare cattolico a Kharkiv – Gambassi
Come ha trovato la popolazione?
Molto stanca. E sempre più povera. A Fastiv, città a ottanta chilometri da Kiev, ho inaugurato una mensa per i poveri con i padri domenicani. Ormai le persone non hanno più il necessario per sopravvivere. Eppure non hanno perso la fiducia nel futuro e non c’è odio. Poi vedono spiragli di cambiamento, a partire dagli Stati Uniti, e attendono la fine del conflitto al più resto.
In Occidente si parla solo di armi da inviare.
Sono i bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani a portare sulle spalle il fardello della guerra. A loro guarda il Papa, la Chiesa, la Santa Sede. Abbiamo inviato già oltre 250 Tir di aiuti umanitari dalla chiesa di Santa Sofia a Roma, frutto della generosità dell’Italia e dell’Europa e richiamo alla condivisione delle sorti della famiglia umana. Generi di prima necessità che giungono anche nei villaggi lungo il fronte. C’è chi pensa alle persone e c’è chi, invece, vuole guadagnare con la guerra. Ogni tanto mi chiedo: perché questo conflitto sta durando così a lungo? Perché tanti, troppi fanno affari quando si combatte. E poi si discute molto di trattative, ma ci si limita alle parole. Invece il Papa, con la Chiesa, agisce in maniera concreta.
Durante la Messa della notte di Natale il nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas, il vescovo greco-cattolico Vasyl Tuchapets e il cardinale Konrad Krajewski – Gambassi
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