Dopo la scelta della Cassazione di mantenere a Milano il procedimento per «truffa aggravata» ai danni dell’Inps il presidente del Senato torna a parlare della ministra: «La decisione della Corte è sicuramente un elemento di valutazione». L’11 febbraio è in calendario il voto sulla mozione di sfiducia presentata dal M5s
Se a esporsi è anche Ignazio La Russa, il suo principale sponsor all’interno di Fratelli d’Italia, vuol dire che Daniela Santanchè ha davvero i giorni contati. Il tema è sempre lo stesso: le dimissioni dal ministero del Turismo, che le opposizioni sono tornate a chiedere dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio. Con la decisione della Cassazione, che ha respinto la richiesta di trasferire a Roma l’altro procedimento in cui è indagata per truffa aggravata ai danni dell’Inps, l’ora x sembra sempre più vicina.
Ma cosa cambia con la pronuncia della Suprema corte? «Credo che Daniela, quando ha detto che avrebbe valutato, può darsi che valuti anche questo. Certamente anche quello è un elemento di valutazione». Parola del presidente del Senato, amico di vecchia data della ministra, a margine di un evento a palazzo Madama per il trentennale dalla fondazione di Alleanza nazionale.
La roadmap
C’è una roadmap. E c’è un giorno da cerchiare sul calendario: l’11 febbraio. Quel giorno alla Camera dei deputati verrà votata la mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle. Un timing confermato anche da alcune voci che circolano dentro FdI, secondo cui Santanchè si sarebbe data al massimo una quindicina di giorni prima di lasciare.
Nei giorni scorsi, dopotutto, erano circolati anche i nomi di possibili successori, su tutti quello del capogruppo meloniano al Senato Lucio Malan. Se l’intenzione dentro il partito della premier è quella di far fare un passo indietro alla titolare del Turismo, allora è possibile che non si arrivi al voto in parlamento. Se si scegliesse di andare alla conta lo si farebbe per far salvare la faccia alla ministra, con la maggioranza che voterebbe compatta, per poi farle lasciare il governo.
Sul voto a Montecitorio si è espresso anche La Russa. «La mozione di sfiducia», ha aggiunto, «rafforzano lo sfiduciato quando sono individuali e questa è la storia del passato e non credo che sia questo l’elemento di valutazione».
Ma un «elemento di valutazione» c’è e già questa è una notizia, se a dirlo è il presidente del Senato. Innanzitutto, perché in passato ha usato toni completamente diversi e ha sempre difeso Santanchè a spada tratta. E poi perché i due sono tutt’uno: in Lombardia il partito è nelle loro mani (la ministra è stata coordinatrice regionale di FdI fino a novembre 2023), sono amici da oltre vent’anni oltre che soci in affari (come nel caso della plusvalenza, a suo tempo rivelata da Domani, di un milione di euro per l’acquisto e la vendita lampo della villa in Versilia).
Se lo scudo di La Russa si era indebolito già dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio – i due si sono visti a pranzo il 22 gennaio per concordare un’exit strategy – ora con la pronuncia della Cassazione si aggiunge un altro tassello al puzzle, soprattutto per una questione di tempi. Si sarebbero dilatati se la competenza fosse passata a Roma, come chiedevano i legali della ministra, ma il procedimento, rimanendo a Milano, potrebbe concludersi entro maggio con un secondo rinvio a giudizio.
Questa volta per un’accusa ben meno digeribile dall’opinione pubblica, quella di aver incassato 126mila euro di cassa integrazione durante il Covid mentre i suoi 13 dipendenti continuavano a lavorare in smart working. Che senso ha aspettare – questo il ragionamento che circola dentro FdI – se tra qualche mese su di lei si abbatterà un’altra bufera giudiziaria?
L’irritazione di Meloni
Caduta la resistenza di La Russa, Giorgia Meloni potrebbe avere le mani libere e chiedere ufficialmente un passo indietro alla ministra. La premier è irritata perché mai nessuno, all’interno del suo partito, si era opposto alle sue scelte e ai suoi desideri. E dopo quel «chissenefrega» detto a chi sottolineava che un pezzo di FdI la voleva fuori, tra i meloniani i malumori crescono di giorno in giorno. Non è un caso che nessuno tra i dirigenti più in vista stia difendendo pubblicamente Santanchè.
Certo, la ministra ha provato goffamente a correggere il tiro e si è detta pronta a lasciare «se Meloni lo chiedesse». Ora potrebbe essere arrivato quel momento. Dopo il rinvio a giudizio la premier si è espressa sul tema una sola volta, ammettendo l’esistenza di una «riflessione» ma specificando di non avere «le idee chiare». Meloni ha anche aggiunto di voler incontrare la titolare del Turismo il prima possibile. Forse le due si vedranno già sabato, quando a Roma ci sarà la direzione nazionale di FdI.
L’affaire Santanchè è anche una riproposizione in miniatura dello scontro con la magistratura, dopo che giovedì mattina i legali della ministra hanno definito una «follia» sapere dalla stampa la decisione della Cassazione. Come se ci fosse un complotto ordito da giornali (di sinistra) e toghe (rosse) per mettere i bastoni tra le ruote agli esponenti della destra al governo. In realtà sono le stesse vicende giudiziarie a complicare la permanenza al governo di Santanchè, indagata anche per bancarotta fraudolenta dopo il fallimento di Ki Group. Ora che anche la resistenza di La Russa è venuta meno la premier è meno ingabbiata. E un passo indietro è sempre più vicino.
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