Un monologo che esplora l’addio attraverso proiezioni ironiche e ricordi indelebili.
Epicuro, nella lettera indirizzata a Meneceo, meglio nota come Lettera sulla felicità, condensa ragionamenti sull’etica e sulla metafisica, gravita attorno al tema della ricerca della felicità e si inerpica persino per i sentieri scoscesi del timore umano nei confronti della morte, ribadendo dal canto suo che: «La morte non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi, non c’è la morte, e quando c’è la morte, non ci siamo più noi.» Egli intende dunque la morte come assenza di sensazione, semplicemente come cessazione della vita. Chi è ammaliato dalla dama con la falce – mi si consenta di prendere a prestito questa immagine immediata, presumo familiare a ogni lettore – si troverebbe di fronte a un non-evento, giacché la morte, sopraggiungendo a scapito della vita e sostituendosi a questa, implicherebbe l’assenza totale di qualsiasi sensazione, e dunque anche di ogni sofferenza: un’analisi razionale e materialista della natura. Ebbene, per il filosofo del III secolo, quando vi è l’una non vi è l’altra e viceversa.
Eppure, la morte – non quella personale, che prima o poi avvinghia ognuno di noi – è senz’altro presente nella vita di ogni individuo. Ogni età, in misura differente, è legata alla morte; qualsiasi persona si sarà trovata, almeno una volta nella vita, a dover affrontare un irrimediabile addio. La morte, per qualcuno, sopraggiunge all’improvviso, mentre altri la attendono, consci che arriverà senza tardare troppo, ma ignari del momento esatto. In questo secondo caso, chi attende la morte – o chi rimane accanto a chi è in attesa – elucubra sul momento dell’addio: ci si chiede come sarà la cerimonia, se ci sarà un elogio funebre e, in tal caso, quali parole saranno spese; ci si domanda se ci saranno corone e mazzi di fiori, e se i convenuti saranno numerosi o esigui. Ci si interroga, dubbiosi, e questo continuo indagare su cosa avviene dopo la morte diviene un gioco beffardo, ironico. Un ludus per chi l’attende in prima persona e per chi, invece, la vedrà sopraggiungere sui propri cari. Per questi ultimi, diviene anche un esercizio di memoria individuale: si iniziano a rispolverare momenti trascorsi che non torneranno mai più, modi di fare, espressioni delle persone di cui si sa che presto non ci saranno più, per imprimerli maggiormente nella mente. Si inizia a immagazzinare ricordi a più non posso, temendo di lasciare indietro qualcosa, e allora ogni momento, persino il più insignificante, assume una centralità inusuale e a tratti irrazionale. Si cominciano a tessere le trame dell’addio e del conseguente ricordare.
Giunti fin qui, forse risulterebbe opportuno chiedersi – a rigor di logica – il perché di questo lungo preambolo. Non tardo dunque nel fornire una risposta e anzi procedo con lo scrivere che parte di ciò che ho testé espresso emerge in maniera ironica e, allo stesso tempo, malinconica in La morte, ovvero il pranzo della domenica, spettacolo facente parte della stagione teatrale di Fertili Terreni Teatro, andato in scena a Torino presso Off Topic dal 15 al 16 gennaio 2025. Si tratta di una pièce che si presenta come un decalogo della vita, dove la narrazione viene intessuta attorno all’evento del consueto pranzo domenicale a casa degli anziani genitori della protagonista. Un monologo diretto da Mariano Dammacco e affidato alla recitazione di Serena Balivo, premio UBU 2017 come migliore attrice under 35, che racconta dall’inizio alla fine i gesti, le parole e persino dei manicaretti preparati puntualmente ogni domenica dalla madre.
Racconta dell’accoglienza che il padre le riserva con il triplice “avanti, avanti, avanti” espresso sull’uscio dell’appartamento e dei discorsi riguardanti la morte che i due anziani genitori iniziano a comporre quando ancora si è alla prima portata domenicale. La protagonista, dalla capigliatura canuta elegantemente raccolta, con il suo pastrano elegante dalla tonalità funerea, racconta del continuo fantasticare del padre e della madre sul momento del trapasso; le proiezioni sulle soluzioni da adottare: tumulazione o cremazione, dispersione delle ceneri o conservazione in un’urna da tenere in casa. Racconta di come i genitori trascinino anche lei in questo gioco volto a esorcizzare la dama falciante e allora lei vi entra, con la sua disinvolta ironia, per tergere la malinconia della coppia. Gioca al loro fianco, cogliendo con avido amore sempre più minuziosi ricordi di loro, per poterli far rivivere nella sua memoria quando non ci saranno più. Partecipa al tentativo immaginifico, intentato dai suoi vecchi, di organizzare la morte.
La morte, ovvero il pranzo della domenica è una pièce dal piglio ironico, dove Balivo dà il meglio di sé: la sua mimica facciale appare corrugata; le sue labbra, pendenti verso il lato sinistro, si dischiudono parola dopo parola, prima lentamente e poi in maniera sempre più veloce. Si alza, arrancando accenna qualche passo, per poi risedersi, sempre continuando il suo monologo, coagulo di un tempo che inesorabilmente passa. A un certo punto, estrae un piccolo burattino dalle fattezze scheletriche, lo posiziona sul bordo del tavolo e gli rivolge parte del suo racconto sui pranzi della domenica, finché non lo bersaglia con arachidi – ancora non prive del guscio – fino a farlo cadere dal tavolo. Assistendo a La morte, ovvero il pranzo della domenica, è come se ci si stesse addentrando in un tempo soggetto a una lenta sclerotizzazione. La pièce prosegue dall’inizio alla fine, transitando per differenti ritmi e coloriture, dati non solo dalla recitazione dal sostenuto trasporto emotivo, ma anche dall’illuminazione pressoché semplice ma efficace e dalle musiche originali di Marcello Gori.
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La morte, ovvero il pranzo della domenica – con Serena Balivo Ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco – Musiche originali Marcello Gori – Consulenza spazio e luci Vincent Longuemare – Oggetti di scena Andrea Bulgarelli / Falegnameria Scheggia – Foto di scena Angelo Maggio – Ufficio stampa Maddalena Peluso – Produzione Compagnia Diaghilev – Con il sostegno di Spazio Franco (Palermo) e di Casa della Cultura Italo Calvino (Calderara di Reno) – Cubo Teatro – Off Topic, Torino | dal 15 al 17 gennaio 2025
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