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Le imprese junior ci credono, sanno che la rotta è ormai tracciata. Che il Mediterraneo e l’Africa, cioè, sono le mete inevitabili della nuova geografia degli equilibri economici e geopolitici imposta dalla guerra in Ucraina e dalle mutate direttrici dell’approvvigionamento di energia. E hanno altresì la consapevolezza che il Piano Mattei del Governo Meloni è uno strumento formidabile per l’Italia e per l’Europa per allargare scambi e opportunità di sviluppo tra le due sponde del grande mare. Ma proprio per questo dalla mappa descritta da Riccardo Di Stefano in apertura del meeting di Capri dei Giovani Imprenditori di Confindustria emerge forte l’esigenza di un coinvolgimento sempre più concreto soprattutto del sistema delle Pmi in questo percorso. «Il Piano Mattei ha un ampio raggio strategico e un nuovo approccio organico ma è necessario accelerare le fasi di implementazione – dice Di Stefano, al suo ultimo meeting caprese – È un piano peraltro che va oltre questa legislatura, e per questo è importante che sia largamente condiviso. Sarà davvero valido se avrà strumenti concreti e seguirà due direttrici: la prima è la diplomazia politica ed economica, la seconda è la diplomazia industriale». In altre parole, non basta guardare alle imprese che sono già presenti nel Mediterraneo e in Africa. «Rendiamole capofila di una operazione Paese – dice il presidente degli industriali under 40 costruendo canali per farne arrivare di nuove e di filiere diverse. Non solo grandi, ma anche medie e piccole».
Le imprese, insomma, vogliono contare sempre di più in una strategia di cooperazione paritaria tra l’Italia e gli Stati africani che è appena iniziata (laltro giorno c’è stata la terza riunione della Cabina di regia del Piano Mattei a Palazzo Chigi in vista della relazione semestrale da inviare al Parlamento) ma che già sollecita ulteriori obiettivi. «Per esempio – dicono i Giovani Imprenditori di Confindustria – si possono affiancare i Paesi africani nel capacity building amministrativo e istituzionale». Del resto, spiega con molta chiarezza Donato Ferri, Emeia e Europe West Consulting Leader di EY, «l’Italia si trova di fronte a un’opportunità unica di affermarsi come hub strategico europeo, grazie alla nuova centralità del Mediterraneo in un panorama di catene del valore e flussi commerciali in trasformazione. Per capitalizzare questa occasione, dobbiamo sfruttare il potenziale di settori come energia e economia dei dati e della conoscenza rafforzando gli investimenti su ricerca, sviluppo di sistemi verticali di intelligenza artificiale, innovazione delle competenze e dei modelli di business. Avere una prospettiva integrata verso l’Europa e verso i Paesi in via di sviluppo è la chiave di successo per essere competitivi e leader nel nuovo scenario economico globale».
La dotazione finanziaria
Per riuscirci occorre però irrobustire la dotazione finanziaria del Piano Mattei. Di Stefano spiega che per mitigare il rischio d’impresa occorre che «l’architettura finanziaria legata al Piano abbia un orizzonte temporale lungo, così che le imprese possano impostare piani pluriennali». E sul tema sono anche altri ad intervenire. «La sola gestione dei rifiuti nelle città africane attraverso i termovalorizzatori costerebbe decine di miliardi, l’attuale dotazione del Piano Mattei non arriva a 5 miliardi. Bisogna investire molto di più» dice con l’abituale franchezza l’Ad di A2A Renato Mazzoncini. Anche l’advisor di Confindustria per il Piano Mattei, l’industriale siderurgico Antonio Gozzi, spiega che «l’Italia per sfruttare il vantaggio competitivo della qualità del suo sistema industriale, della collocazione geografica e dei buoni rapporti con i Paesi africani ha bisogno di conti finanziari importanti». Cassa depositi e prestiti, ricorda l’Ad Dario Scannapieco, in un intervento da remoto guastato dal pessimo, audio mette a disposizione strumenti importanti per sostenere gli investimenti delle imprese italiane. E del resto, la risposta arrivata finora dalle Pmi a Misura Africa, l’iniziativa lanciata da Simest (con il 20% di risorse a fondo perduto per le imprese del Sud) è abbastanza confortante, come ricorda l’Ad Regina Corradini D’Arienzo.
Difficile negare del resto che la via italiana allo sviluppo africano sia già adesso solida e credibile. I progetti sono iniziati e alcuni, come l’elettrodotto sottomarino di Terna tra Tunisia e Africa, i cui lavori inizieranno l’anno prossimo, ha una valenza strategica enorme. «Dobbiamo resistere alla tentazione di guardare al Mediterraneo e all’Africa solo come fornitori o mercati di sbocco – ricorda Di Stefano – Non è così che ci faremo scegliere rispetto a chi ha già adottato questo modello, ovvero comprando le materie prime a basso costo e rivendendo loro il prodotto, come fanno i cinesi con i pannelli fotovoltaici o con le macchine elettriche». Proprio l’Africa, ricorda il giovane imprenditore siciliano, «che ha il 60% delle risorse solari del mondo sfrutta solo l’1% della sua capacità fotovoltaica, oltretutto con installazioni comprate all’estero. La vedete la contraddizione? Bene, loro la vedono. Non caschiamoci anche noi». Dunque, dicono i Giovani Imprenditori, «se il Piano Mattei avrà successo, i risultati andranno a vantaggio di tutto il Sistema Paese». Il rischio da evitare, invece, proprio nella sfida energetica è un altro. «Mentre cerchiamo di rendere l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo, e lottiamo in Europa per avere un mercato unico con un prezzo unico dell’energia per le imprese, rischiamo di avere un’Italia con 20 bollette diverse – dice Di Stefano con indiretto ma chiaro riferimento ai possibili scenari della riforma dell’autonomia delle Regioni – Mentre cerchiamo di evitare la concorrenza tra gli Stati membri in Europa, non possiamo permetterci di farcela in casa. Mentre cerchiamo di guadagnare competitività con misure come l’Energy release, rischiamo di vanificarla perché perdiamo lo sguardo d’insieme. Siamo perplessi e preoccupati. Bisogna mettere in sicurezza i fondamentali della competitività del nostro Paese e l’energia è un cardine della competitività».
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