Imputazione all’amministratore di fatto dei redditi societari

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Una delle implicazioni della figura dell’amministratore di fatto delle società è la sua effettiva (e diretta) responsabilità nell’ambito dell’accertamento di maggiori redditi in capo alla società amministrata

La figura dell’amministratore di fatto nelle società ha implicazioni pratiche centrali negli intrecci tra diritto societario, diritto tributario e diritto del lavoro.

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Ma chi è l’amministratore di fatto di una società? In parole semplici è:

“colui che, pur non rivestendo formalmente la carica di amministratore unico o componente del consiglio di amministrazione, opera come se fosse a tutti gli effetti un amministratore, con poteri che in alcuni casi vanno molto oltre l’ordinario (si pensi, a titolo di esempio, al socio di maggioranza di una società a ristretta base partecipativa che si occupa direttamente dell’attività, non figurando però ufficialmente nella governance aziendale)”

Qui analizziamo un tema abbastanza spinoso ma che spesso nella pratica si verifica: l’imputazione all’amministratore di fatto dei maggiori redditi accertati in capo alla società, ai sensi dell’articolo 37 comma 3 del DPR 600/73.

Amministratore di fatto e imputazione del reddito fiscale della società

A seguito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di una SRL avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008, con i quali accertava induttivamente, ai sensi dell’art.39, comma 2, del DPR n. 600/73, maggiori redditi d’impresa, con conseguente rideterminazione delle imposte IRES, IRAP ed IVA, ed applicazioni di sanzioni ed interessi.

Gli avvisi in questione venivano notificati al soggetto ritenuto amministratore di fatto della società medesima.

Successivamente, l’Agenzia delle Entrate notificava allo stessa persona fisica, a titolo personale, gli avvisi di accertamento, sempre per gli stessi anni, per mezzo dei quali, in forza dell’articolo 37, comma 3, del DPR n.600/73 (interposizione soggettiva), imputava al predetto contribuente, in qualità di reale percettore, i redditi accertati nei confronti della società (35.050,00 euro per il 2007 e 1.247.003,00 euro per il 2008).

Avverso tali avvisi di accertamento il contribuente proponeva separati ricorsi dinanzi alla allora Commissione Tributaria Provinciale, eccependo la carenza della qualità di amministratore di fatto (come già riconosciuta da altra sentenza della CTP, per altra annualità, passata in giudicato) e l’inapplicabilità dell’art.37, comma 3, DPR n. 600/73.

I giudici di prime cure, riuniti i ricorsi, li accoglievano, facendo valere il cd. giudicato esterno. Pronuncia confermata in appello.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo che erroneamente la CTR aveva ritenuto inapplicabile l’art. 37, comma 3, del D.P.R.n.600/73, nell’ipotesi di interposizione reale, in quanto tale norma, con riferimento alla nozione di possessore del reddito, si riferisce tanto ai casi di interposizione fittizia, quanto ai casi di interposizione reale di persona.

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Le ragioni della decisione e l’attribuzione all’amministratore di fatto dei redditi accertati in capo alla società amministrata

Per gli Ermellini, il motivo addotto è fondato. È questa la decisione assunta dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 939/2025.

Osserva la Corte che la CTR ha ritenuto che la disposizione di cui all’articolo 37, comma 3, DPR n. 600/73, nel caso di specie non sarebbe applicabile, in quanto si verterebbe in un’ipotesi di interposizione reale, e non di interposizione fittizia.

Orbene, la norma in questione testualmente recita:

in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordati, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona

La giurisprudenza più recente è orientata nel senso di ritenere pacificamente applicabile la disposizione suddetta non solo ai casi di interposizione fittizia di persona (e quindi quando i redditi vengano imputati direttamente all’interponente), ma anche ai casi di interposizione reale, e quindi quando il soggetto interposto sia il reale percettore dei redditi, e questi vengano ritrasferiti all’interponente (Cass. 17 febbraio 2022, n. 5276; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27625; Cass. 29 luglio 2016, n. 15830).

Qual è la ratio della norma in questo caso?

Invero, la funzione della norma appare essere quella di evitare che

il contribuente, che venga accertato come effettivo possessore del reddito altrui, si sottragga al prelievo nascondendo all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito

Il possesso del reddito per interposta persona costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Amministrazione finanziaria, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo.

La rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce:

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  • la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità effettiva del reddito);
  • e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a dispetto di chi ne sia il formale titolare.

La relazione di fatto tra contribuente e reddito, di cui alla locuzione effettivo possessore per interposta persona, va ricercata in relazione alla tipologia di reddito oggetto di accertamento (nella specie, reddito di impresa), al fine di operare la traslazione del reddito prodotto all’effettivo titolare accertato.

In caso di reddito di impresa diviene rilevante (come osservatosi anche in dottrina) la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito:

Tale ruolo deve, tuttavia, assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini IRAP e IVA) al soggetto persona fisica interponente, come se fosse stato prodotto da quest’ultimo

L’interponente non deve pertanto:

costituire un mero gestore dell’ente collettivo – la cui qualifica rileverebbe ai fini reddituali solo in caso di società di persone interposte, ovvero, in caso di socio, quale maggior reddito da partecipazione e solo ai fini IRPEF – dovendo accertarsi che l’interponente disponga delle risorse del soggetto interposto uti dominus.

Si configura, pertanto, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della holding unipersonale, ossia di chi eserciti professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società (Cass. 6 marzo 2017, n. 5520; Cass. 3 giugno 2020, n. 10495).

In caso di reddito di impresa deve, quindi, trattarsi di una prova alquanto rigorosa, che dimostri il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale da dimostrare la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte di reddito del soggetto imprenditoriale interposto”

È, quindi, nella prova della relazione dell’interponente con la fonte di reddito del soggetto interposto che si risolve la prova del possesso del reddito, la quale prescinde dalla natura dell’interposizione (ossia, se l’interposizione possa ricomprendere anche quella reale), atteso che la norma in oggetto imputa al contribuente i redditi formalmente intestati a un altro soggetto laddove, in base a presunzioni, egli ne risulti l’effettivo possessore, senza distinguere tra interposizione fittizia e reale (Cass. 27 aprile 2021, n. 11055; Cass. 22 giugno 2021, n. 17743).

La Corte, pertanto, condivide:

sotto questo profilo, quanto osservato da parte della dottrina, ove afferma che il legislatore tributario avrebbe codificato un principio di maggiore estensione rispetto alla dicotomia civilistica incentrata su titolarità effettiva – titolarità apparente, perché ciò che rileva ai fini tributari è il possesso del reddito formalmente attribuito a terzi (effettivo possessore per interposta persona), in luogo e in sostituzione del formale titolare dei redditi, fattispecie che si configura sia in caso di coinvolgimento di soggetti diversi, sia in caso di coinvolgimento di un unico soggetto.

Trattandosi, pertanto, di possesso come situazione di fatto tale da comportare l’individuazione di un titolare effettivo del reddito complessivo diverso e divergente dal titolare formale (Cass. 19 ottobre 2018, n. 26414; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26057), esso appare coerente con il fatto che la prova è affidata anche a circostanze di carattere indiziario”

Brevi note tecniche e operative sulla definizione di amministratore di fatto di una società e delle conseguenze societarie, fiscali e del lavoro

Il fenomeno dell’interposizione – stante l’assenza di una vera e propria definizione giuridica (esistono norme sparse nel codice civile che si occupano della problematica) – è stato inquadrato dalla dottrina e dalla giurisprudenza in due figure:

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  • interposizione reale;
  • interposizione fittizia.

Si ha interposizione reale:

Quando l’interposto agisce come vero contraente nel negozio giuridico, divenendo titolare dei diritti e dei doveri che ne discendono, mettendo il proprio dominus in una semplice aspettativa di titolarità che si avvererà con il successivo ritrasferimento del bene medesimo

Si ha, invece, interposizione fittizia:

Quando la persona interposta non contratta alcunché, limitandosi alla funzione di semplice prestanome in favore del soggetto interponente, noto all’altro contraente, ma destinato a rimanere segreto nei confronti dei terzi

La differenza fra le due figure risiede nella constatazione che l’interposizione fittizia – a differenza dell’interposizione reale – richiede un accordo fra interponente, interposto e il terzo contraente.

Il profilo da sempre maggiormente controverso dell’articolo 37, comma tre, del D.P.R. n. 600/73, è quello che attiene al suo campo di applicazione: se limitato all’interposizione fittizia ovvero allargato alla interposizione reale.

Al riguardo, la Guardia di Finanza nella famosa circolare n. 1/2018 ha richiamato la posizione della massima giurisprudenza di legittimità – sentenza 29 luglio 2016, n. 15830 e ordinanza 13 gennaio 2017, n. 818 -, secondo le quali

in tema di accertamento rettificativo dei redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato, o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta

Sempre secondo la Suprema Corte:

ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali

In altri termini, sottolineano le Fiamme gialle, se il possesso rappresenta il criterio di collegamento fra il reddito e il soggetto passivo d’imposta è necessario sottoporre a imposizione colui il quale ha la capacità di disporre del reddito in modo esclusivo e incondizionato.

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Una delle problematiche che investe l’interposizione riguarda proprio il significato da attribuire alla locuzione possesso dei redditi.

In merito, si ritiene di condividere il pensiero di chi ritiene che il possesso dei redditi sia quella particolare relazione che ricorre tra il soggetto passivo e il presupposto di fatto, assunto a rilevanza fiscale secondo i criteri di imputazione stabiliti per le varie categorie reddituali.

Per la Guardia di Finanza il discrimine per verificare l’applicabilità o meno della previsione normativa in argomento non andrebbe, quindi, individuato nella partecipazione o meno del terzo all’accordo simulatorio quanto, piuttosto, nel ruolo e nelle funzioni in concreto rivestiti dall’interposto.

Pertanto, è sempre necessario valutare se quest’ultimo intervenga in maniera del tutto passiva, quale mero intestatario del cespite produttivo di reddito, al solo scopo di occultarne l’effettivo titolare ovvero se, al contrario, lo stesso assuma una concreta funzione gestoria nell’operazione e manifesti un effettivo interesse allo svolgimento dell’attività.

La Guardia di Finanza, nel corpo del citato documento di prassi, richiama le considerazioni espresse dall’Agenzia delle Entrate (paragrafo 5.2) nella circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006, in relazione alle indagini finanziarie, secondo cui l’intestazione fittizia

si manifesta tutte le volte in cui gli uffici rilevino nel corso dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risultino averne la titolarità, in realtà sono da imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento all’attività svolta

Accertamento fiscale sull’amministratore di fatto della società: la posizione dell’Agenzia delle Entrate
Circolare Agenzia delle Entrate numero 32/E del 19 ottobre 2006 in materia di indagini finanziarie, dpr 600/1973 e interposizione fittizia nel conseguimento del reddito fiscale

L’interposizione si caratterizzerebbe, dunque, rispetto alla nozione civilistica, per il fatto che l’accordo fra interposto e interponente non interessa l’Amministrazione finanziaria che, nonostante sia “parte” del rapporto obbligatorio di imposta, resta soggetto terzo non consenziente.

In altri termini, osserva la G.d.F., in ambito tributario

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l’interposizione è concepita come inserimento di uno schema soggettivo fittizio e deviante fra il contribuente e l’Amministrazione stessa, con la conseguenza che tanto più l’interposto (o prestanome) è passivo (cioè solo nominativamente partecipe), tanto più l’interponente risulta il dominus dell’accordo e, in definitiva, il vero centro di imputazione dei diritti e degli obblighi giuridici di natura fiscale

Secondo l’Agenzia delle Entrate, in tali circostanze, l’Ufficio impositore deve acquisire la prova effettiva – anche mediante presunzioni, purché gravi, precise e concordanti – che si sia realizzato il possesso di redditi per interposta persona e che, quindi, detti redditi, in quanto correlabili a movimentazioni finanziarie, siano da imputare all’interponente, anche se i redditi stessi risultino formalmente dichiarati dall’interposto.



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