La grande fuga delle grandi banche USA dall’alleanza net-zero

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Le grandi banche americane sono uscite dall’alleanza net zero: Citigroup, Bank of America, Wells Fargo, Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, BlackRock. Le tre ragioni della grande fuga ad appena 4 anni dalla sua creazione.

Sono passati solo quattro anni dalla conferenza di Glasgow (Cop26) ed eccoci di fronte a un mondo rovesciato. In quella sede i paesi avevano esplicitato l’obiettivo di contenimento della temperatura del Pianeta entro 1,5°C e c’erano stati passi avanti sostanziali della finanza per convogliare ingenti risorse verso l’obiettivo net zero costituendo la Glasgow Finance Alliance for Net Zero. Oggi, tutto ciò sembra tramontato.

Solo pochi giorni fa abbiamo appreso: uno, che il target 1,5°C è stato ufficialmente superato nel 2024; due, che diverse grandi banche americane sono uscite dall’alleanza net zero: Citigroup, Bank of America, Wells Fargo, Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, BlackRock.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

-20%, la disponibilità finanziaria dell’alleanza net zero dopo l’esodo delle grandi banche Usa

L’alleanza finanziaria è depotenziata considerevolmente e le cifre che erano circolate ai tempi della conferenza di Glasgow – addirittura una disponibilità di 130 trilioni di dollari – sembrano appartenere a un iperuranio immaginario. La potenza di fuoco dell’alleanza si ridurrebbe di circa il 20%. Ed è vero che oltre 100 membri aderiscono ancora all’iniziativa, ma di certo perdere players importanti come BlackRock o Goldman Sachs indebolisce considerevolmente l’alleanza.

Diverse sono le letture che vengono proposte per spiegare la forza centrifuga che sospinge le banche americane lontano dall’alleanza net-zero. Tra le ragioni vi sarebbero l’opportunità politica legata all’arrivo di Trump alla Casa Bianca e le diverse indagini avviate da procuratori repubblicani che accusano le banche di limitare l’accesso ai finanziamenti delle compagnie fossili e di ridurre la produzione di carbone concorrendo a prezzi dell’energia più elevati per i consumatori.

Certamente, queste due ragioni possono aver avuto un ruolo. Riteniamo, tuttavia, che vi sia un terzo motivo, più importante e strutturale, che può spiegare la decisione delle banche americane di abbandonare il net-zero. Ci riferiamo allo stallo della transizione energetica. Citiamo qui tre semplici dati (altri si possono trovare leggendo Net Zero: la dura prova dei numeri, ndr):

1. la crescita delle emissioni di gas serra da Parigi in poi (Covid a parte),
2. la stabilità della quota fossile della domanda energetica globale intorno all’80%,
3. la lentezza della penetrazione elettrica negli usi finali.

Dalla svolta attesa allo stallo manifesto

I dati bruti rimandano a un principio di realtà incontrovertibile che fa apparire lontanissimi gli anni 2020 e 2021, periodo caratterizzato da un ottimismo diffuso circa l’imminente decollo dell’aereo green.

Le stesse istituzioni finanziarie che oggi abbandonano il velivolo – purtroppo ancora fermo sulla pista dell’aeroporto – dovevano aver avuto la percezione di un mutamento irreversibile nello spirito del tempo, di una tramontana potentissima pronta a spingere con vigore il nuovo mondo verde. Ciò era puntualmente confermato dall’andamento dei mercati azionari che si caratterizzavano per quotazioni alle stelle dei titoli green e per collassi straordinari di quelli fossili.

Citiamo uno studio realizzato congiuntamente da due istituzioni prestigiose quali l’International Energy Agency e l’Imperial College che nel 2021 giungeva alla conclusione che i titoli delle compagnie operanti nel settore delle rinnovabili garantivano ritorni del 716% (a 10 anni) e del 316% (a 5 anni) superiori a quelle fossili. Nelle economie ricche i ritorni green a 10 anni erano addirittura più alti del 2.300% (del 945% a 5 anni).

Era il periodo del Covid e i titoli dell’oil&gas erano particolarmente depressi.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

In questo contesto, le grandi banche dovevano aver avuto la percezione di una svolta straordinaria, un’accelerazione fantastica della società intera verso il nuovo sogno green e l’obiettivo net-zero. Ed è così che salirono volo a bordo di un aereo che appariva ormai in fase di decollo.

Tesla e Musk prima e ora

Altra testimonianza di questa sbornia green che ha inondato i gangli mentali della finanza internazionale è la quotazione di Tesla. C’è stato un momento, nel 2021, in cui la società di Musk ha raggiunto la capitalizzazione monstre di 1 trilione di dollari e il mondo intero si è trovato di fronte al paradosso di un’azienda che vendeva meno di 1 milione di automobili all’anno e la cui capitalizzazione era pari a quella di un complesso di brand storici e prestigiosi che, nel loro insieme, vendevano più di 51 milioni di auto all’anno.

E fu così che la piccola Tesla raggiunse una capitalizzazione pari a quella di Shanghai Automotive, Honda, Stellantis, Ford, BMW, General Motors, Daimler, BYD, Volkswagen e Toyota messe insieme.

Il rapporto prezzo utili della casa californiana raggiungeva lo stratosferico valore di 1.396, ovvero sarebbero occorsi 1.396 anni prima che gli utili di Tesla ripagassero il valore della società. Ciò che all’inizio era apparso come l’alba di una nuova era (così titolammo nel 2020), nel giro di un anno si era trasformato nella mitizzazione di un’azienda e del suo Ceo (si veda Maradona e Musk: fenomenologia del mito).

Al fondo di questa stranezza finanziaria, che i mercati generavano e accettavano, vi erano aspettative straordinariamente ottimistiche. Il mercato scontava l’attesa di vendite iperboliche delle auto elettriche e, più in generale, il volo stupendo dell’aeroplano green. Oggi Tesla ha un rapporto prezzo utile di 110, alto certo ma molto meno che in passato, e – dopo che Trump è stato eletto – una capitalizzazione ancora vertiginosa (1,3 trilioni $).

Ma la stranezza questa volta si lega non alle aspettative di vendite eccezionali di auto elettriche, quanto alla moderna covalenza politico-industriale e al fatto che – a torto o a ragione – il mercato comincia a vedere in Tesla non una semplice azienda che produce automobili elettriche quanto un alfiere dell’intelligenza artificiale e della robotica.

La discesa degli ETF green e la risalita dell’O&G

Nel complesso, la bolla green dello stock market si è comunque sgonfiata. Dal 2021 ad oggi, le quotazioni degli ETF green si sono abbassate da un + 140% allo 0%, mentre quelle dell’oil & gas sono salite del 70%. E anche la crescita complessiva degli ETF green e dei green bonds sembra essersi arrestata negli ultimi anni.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Questi trend ci segnalano che i mercati, oggi, ritengono che la rivoluzione verde sia ancora di là da venire e che, come afferma Irena – non una lobby fossile – “the energy transition is off-track”. In parole povere, il mercato ha impiegato tre anni a comprendere ciò che poteva essere compreso con la semplice lettura di Smil (Energy Transitions: Global and National Perspectives), o addirittura anche solo vedendo un suo video dell’epoca.

La transizione è lenta e i mercati lo hanno capito (e accettato)

Ma si sa, i fenomeni collettivi hanno le loro isteresi.

Le recenti fughe delle banche statunitensi dall’alleanza net-zero non sono altro che un pezzo di questa presa di coscienza collettiva della lentezza della transizione e, a seguire, della vita ancora lunga del paradigma fossile. Si potrebbe dire che c’è stata un’apertura di credito del mercato – sia in senso figurato che letterale – che è stata tradita dai risultati e oggi c’è il reflusso: i soldi tornano ora alle origini, agli investimenti convenzionali. O meglio, si comprende che c’è bisogno degli investimenti tradizionali ancora per molto e che quelli verdi possono e devono crescere, ma al momento non hanno la forza di sostituire i primi.

A questo punto c’è da chiedersi perché vi è questa presa di coscienza: cos’è che ha indotto il mercato a comprendere che i tempi della new green economy sono più lunghi del previsto? Le ragioni sono semplici ed erano sotto gli occhi di tutti, ma l’entusiasmo ha impedito di vederle.

Citiamo qui le più importanti.

La prima concerne sicuramente la redditività bassa del settore green rispetto a quello convenzionale. I margini operativi del primo sono nettamente più bassi di quello del secondo. Riportiamo qui un grafico della Iea tratto dal rapporto report Renewables 2023 – purtroppo nel report del 2024 la figura non è aggiornata – che mostra come i margini operativi del settore oil siano nettamente più alti di quelli delle utility.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

I ritorni dell’oil and gas sono molto più alti di quelli dell’elettrico.

banche net zero
Fonte: Iea, Renewables 2023

Una non marginale questione di margini

Nonostante vi siano stati, negli anni recenti, compressioni di costo considerevoli nelle rinnovabili – in particolare solare fotovoltaico – i margini rimangono stretti. Al contrario, quelli dell’oil – a parte periodi di bassissima marea dei prezzi – tendono ad essere alti.

A generare questa situazione sono tanto cause storiche quanto strutturali: in parole povere, l’oil è un mercato che nasce monopolistico, poi diventa oligopolistico e nel quale la concorrenza odierna è comunque limitata da un assetto geopolitico nel quale è presente un player, l’Opec, che tende ad esercitare una funzione di stabilizzazione-controllo del prezzo.

Al contrario, nel settore elettrico assistiamo a una concorrenza accesa e a forme di regolazione che tendono a limitare l’emergere di profitti considerevoli. Questa è la realtà delle cose, come espressa dai mercati, e non è possibile modificarla.

I margini bassi amplificano l’impatto negativo delle incertezze. Crescita dei tassi di interesse, ritardi istituzionali nell’approvazione dei progetti, blocchi burocratici a qualsiasi latitudine – ma, si badi, prevalentemente a longitudini occidentali – si trasformano presto in forze che abbassano ulteriormente la redditività delle utility. Da qui, i corsi azionari depressi.

Una terza ragione ha origine nella natura stessa delle rinnovabili: l’intermittenza e la variabilità. Queste due caratteristiche fanno sì che si verifichino situazioni nelle quali la generazione elettrica è carente oppure eccessiva. E l’eccesso può portare a prezzi negativi, altro elemento che abbassa i margini e che spiega, almeno in parte, le recenti aste deserte in terra danese per i progetti wind offshore.

e di scale

C’è infine un motivo che riteniamo abbia un’importanza pari, se non maggiore, di quella della bassa redditività. Ci riferiamo alla scala della transizione.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Il problema si manifesta tanto nell’ambito macro quanto in quello micro. Il primo concerne la diffusione di nuovi congegni e dispositivi su popolazioni di miliardi di persone: di fatto l’intero Pianeta. Si pensi, ad esempio, che oggi il parco auto mondiale è pari a circa 1,4 miliardi di automobili e che esse andrebbero in teoria sostituite da nuovi modelli elettrici.

Sul piano micro, vi è un problema di scala perché ciò che si richiede ai consumatori è che essi acquistino beni il cui valore non è pari a qualche centinaio di euro ma a migliaia di euro. Acquistare un’auto elettrica o migliorare l’efficienza energetica di un’abitazione cambiando gli infissi è profondamente diverso rispetto ad acquistare uno smartphone o un tablet. Ciò spiega molto bene, riteniamo, la differenza di velocità della rivoluzione informatica-tecnologica rispetto a quella energetica.

Intorno al 1980 Bill Gates fece la famosa dichiarazione “a computer on every desk and in every home”. All’epoca l’obiettivo sembrava strano, poco comprensibile e dunque velleitario. Oggi, negli Stati Uniti, il 94% delle famiglie possiede almeno un pc, per non parlare di smartphone e tablet. Nello stesso periodo, era il 1979, come risposta alla crisi energetica, il presidente americano Jimmy Carter fece installare pannelli solari sulla Casa Bianca e incoraggiò le famiglie ad adottare energia solare. Oggi, tanto in America quanto in Europa, i tetti delle case sono ancora coperti di tegole.


Enzo Di Giulio è economista ambientale e membro del Comitato Scientifico di ENERGIA


Potrebbero interessarti anche

Foto: Unsplash



Source link

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link