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Il nodo competitività: “Serve più specializzazione”


Innovazione, decarbonizzazione, sicurezza: sono i tre i pilastri su cui Mario Draghi ha basato il suo Rapporto sul futuro della competitività europea. È dall’inizio di questo secolo che l’Europa si preoccupa del rallentamento della sua crescita, ma le politiche varate per invertire la tendenza non hanno funzionato. «Il primo limite riguarda la specializzazione produttiva — afferma Mario Calderini, professore alla School of Management del Politecnico di Milano — siamo collocati su settori a basso valore aggiunto e bassa intensità di conoscenza e tecnologia. Bisognerebbe iniziare un processo di rispecializzazione, costruire un portafoglio produttivo a più alta intensità di conoscenza». Per aumentare il potenziale innovativo delle aziende, servono strategie politiche comunitarie, soprattutto in ambiti di riferimento come la salute: «Sono necessari interventi per potenziare la ricerca, favorire l’innovazione e attrarre investimenti — commenta Valentino Confalone, Country President Novartis Italia — il pacchetto di riforma del sistema farmaceutico al vaglio dell’Europarlamento ha un ruolo cruciale per invertire una tendenza che vede l’Europa perdere posizione sul fronte dell’innovazione di fronte a Stati Uniti e Cina. Temi quali la tutela della proprietà intellettuale, la sicurezza degli approvvigionamenti, lo snellimento burocratico e un iter regolatorio accelerato sono fondamentali per garantire attrattività e competitività». E aggiunge: «La salute dovrebbe essere vista come investimento, non come costo.

Cosa succede nei vari paesi

In Italia è necessario superare la visione limitata della spesa farmaceutica, che ostacola l’innovazione e danneggia la salute dei cittadini. Il sistema del payback farmaceutico, ormai fuori controllo, va eliminato a favore di politiche che sostengano la competitività del settore».

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Le spese in ricerca e sviluppo sul pil, Europa in ritardo contro le altre potenze

Mentre negli Stati Uniti e in Asia si sono sviluppate grandi concentrazioni industriali capaci di creare infrastrutture e innovazione in settori ad alto valore aggiunto, l’Europa è rimasta indietro, frammentata in una struttura produttiva fatta prevalentemente di piccole e medie imprese. Ma non tutto è perduto. Per competere, oltre alle politiche dedicate, serve cambiare punto di vista: «Non possiamo pensare di farlo, per esempio, su nuovi modelli di IA — commenta Calderini — l’Europa dovrebbe cercare una sua identità in un’interpretazione più frugale, che non significa con meno tecnologia, ma con una tecnologia pensata compatibilmente allo stato sociale e ambientale del pianeta, puntando sulla sostenibilità come risorsa per la crescita».

La decarbonizzazione

È proprio la decarbonizzazione il secondo punto del Rapporto Draghi: «L’obiettivo strategico implica la riduzione delle fonti energetiche fossili e la diminuzione dei prezzi dell’energia — commenta Carlo Altomonte, associate dean di Sda Bocconi e vice presidente di Ispi — la prima è in fase di attuazione, mentre la seconda non è ancora realizzabile, perché siamo troppo dipendenti dal gas. L’Italia fatica a disaccoppiare i prezzi dell’energia: bisognerebbe accogliere la riforma proposta dall’Ue, ma siamo di fronte a un conflitto di interessi, con un governo azionista delle principali società energetiche, che non ha interesse nel riformare la struttura oligopolistica del settore».

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Anche qui, Draghi insiste molto sulla muscolarità finanziaria: «Per digitalizzare, decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti di Pil», dice. Se gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa saranno accompagnati da un piano coerente, la decarbonizzazione sarà un’opportunità. Ma se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c’è il rischio, secondo l’ex presidente Bce, che la decarbonizzazione possa andare contro la crescita.

La difesa

Coordinamento politico e collaborazione sarebbero doverose anche sul terzo pilastro, la difesa: «Dobbiamo armonizzare a livello europeo: basti pensare che attualmente abbiamo 20 modelli di carri armati, 20 di siluri, e così via, il che crea costi per tutti e una situazione estremamente frammentata — dice Altomonte — nel settore della difesa, comunque, stiamo andando nella giusta direzione, con Leonardo che sta facendo accordi importanti a livello europeo». Nonostante l’analisi dettagliata, il Rapporto Draghi trascura un aspetto determinante: come garantire che questi cambiamenti avvengano senza lasciare indietro ampie fasce della popolazione. «Il racconto di Draghi non affronta il fatto che la coesione sociale è il vero motore della competitività — conclude Calderini — senza una distribuzione equa del dividendo sociale, si alimentano populismo e anti-tecnologia. Per far crescere la coesione sociale e attrarre investimenti è necessario soprattutto rinunciare alla sovranità nazionale, permettendo all’Europa di fare scelte centralizzate».



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