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Il Commissario Giudiziale nella fase prenotativa nel contesto del Codice della Crisi (e con uno sguardo al futuro “correttivo”)* #finsubito prestito immediato

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Cercare di interpretare la logica che anima un intervento così invasivo, in un contesto in cui il debitore è chiamato ad organizzare le risorse per tentare una soluzione alla sua condizione di crisi o di insolvenza, è questione davvero complessa.   

La decettività della condotta del debitore assume certamente un ruolo rilevante all’interno della “domanda di concordato pieno” e ciò spiega il contesto ed il rimedio di cui all’art. 106 CCII; più difficile è giustificare una richiesta di disclosure anticipata in una fase in cui il proponente non ha ancora organizzato la sua proposta ed il suo piano e, magari, sta imbastendo una disamina, anche per mezzo di consulenti esterni, degli atti di frode commessi, al fine di rendere una completa informativa. 

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Una risposta potrebbe risiedere nel nuovo lasso temporale concesso che, a ben vedere, è così ristretto da dover ritenere che, già in partenza e con la richiesta del termine, il debitore debba aver preventivamente, e da tempo, attivato tutti i necessari presidi ed abbia, dunque, bisogno della concessione del (pur breve) termine solo per portare a compimento un complesso lavoro in gran parte svolto. 

Un contesto che si può immaginare, per vero, solo in un prossimo futuro, quanto l’art. 2086 CC sarà davvero “interiorizzato”, comportando quel monitoraggio auspicato capace di far intercettare la crisi e porre ad essa tempestivo rimedio, evitando di giungere all’appuntamento con gli istituti di regolazione della crisi e dell’insolvenza con colpevole e grave e ritardo. 

La conclusione cui si è giunti si presta, però, ad un nuovo interrogativo che impone una riflessione sui sostanziali effetti dell’interruzione del termine: ma è davvero una sanzione quella contenuta al co.2 dell’art. 44 CCII? 

Come noto, il riformato testo dell’art. 44 CCII ricalca, con qualche lieve modifica, soprattutto in termini acceleratori, il contenuto del c.d. “ricorso prenotativo”, già presente all’art. 161, comma 6, R.D. n. 267/1942. 

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L’attuale norma dispone, al comma 1, che “Il debitore può presentare la domanda di cui all’articolo 40 con la documentazione prevista dall’articolo 39, comma 3, riservandosi di presentare la proposta, il piano e gli accordi. In tale caso il tribunale pronuncia decreto con il quale: a) fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, fino a ulteriori sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo” (o gli ADR o il PRO); con ciò riproponendo un impianto pressoché inalterato, se non per una dimidiazione dei termini originari (prima fissati fra sessanta e centoventi giorni), per l’impossibilità di proroga allorquando penda un ricorso per apertura della liquidazione giudiziale [30] e per l’espressa specificazione della mancata applicazione della cd “sospensione feriale”. 

In tema merita, dunque, una particolare attenzione la questione della riproposizione della domanda “in bianco” nelle ipotesi di esito infausto del primo ricorso, che nel previgente sistema era stata espressamente esclusa dal comma 9 dell’art. 161 L. fall. [31] e che, nel caso di interruzione per violazione di norma, avrebbe compostato sempre un’effettiva “sanzione processuale”. 

In assenza di disposizione positiva la giurisprudenza di merito [32] ha risolto il quesito nel senso di ritenere, in mancanza di una previsione conforme a quella dell’art. 161, comma 9, L. fall., l’ammissibilità della nuova domanda “senza i precedenti limiti temporali, purché ciò non si traduca in un abuso dello strumento concordatario” [33] Interpretazione che offre l’occasione per ampliare il perimetro di indagine, cercando di cogliere, oltre il profilo dell’abuso, anche ulteriori tutele, specie con riferimento alle (generalmente) collegate misure protettive. 

Uno sguardo di insieme al Codice della Crisi consente di rinvenire una limitazione all’interno del solo art. 47, comma 6, CCII che, disciplinando il diverso caso del “concordato pieno”, prevede, nelle ipotesi di dichiarata inammissibilità della proposta, la possibilità di riproposizione solo “quando si verifichino mutamenti delle circostanze” 

Quanto tale regola possa essere utilizzata al caso del ricorso “aperto”, dove gli epiloghi sono molteplici e, soprattutto, il contenuto della domanda è molto semplificato, è questione complicata, potendo azzardare un’applicazione in chiave analogica[34], così da giungere a ritenere impedito l’ulteriore utilizzo dello strumento a quell’imprenditore che, nel depositare la nuova domanda, non dia dimostrazione del mutamento dei presupposti. 

Tesi che, tuttavia, appare forse troppo spinta, potendo in forma più mediata utilizzare, invece, la disposizione dell’art. 47 CCII solo come uno tra i criteri per valutare l’eventuale “abuso dello strumento”. 

Così ragionando, non tutte le domande nuove dovrebbero contenere “mutate circostanze”, dovendo ritenere, però, necessario acquisire, da parte del Tribunale, un ulteriore corredo argomentativo che, nell’osservanza dei principi di buona fede e correttezza declinati all’art. 4 CCII, consenta una completa disclosure dei motivi del rinnovato deposito e, conseguentemente, l’individuazione di eventuali profili di abuso[35]. 

Per di più va distinto il caso in cui la nuova domanda ex art. 44 CCII consegua ad un precedente ricorso che ha generato un concordato inammissibile (e qui la valutazione dovrà essere necessariamente più rigorosa), da quella che promana da una precedente domanda il cui termine è spirato senza il deposito del piano (che potrebbe ritenersi, in assenza di ricorsi per liquidazione giudiziale, una sorta di “proroga”, che non necessariamente impone un mutamento di struttura). 

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In detto ricostruito contesto non sfugge, però, che la vera tutela risieda oggi non tanto nel termine di cui all’art. 44 CCII, quanto piuttosto nelle collegate misure protettive. Ora, la circostanza che le stesse non siano più automatiche ma necessitanti di conferma o di revoca, sposta il tema dell’abuso del diritto su un diverso piano e pone un ulteriore limite nella consecuzione delle procedure, da confinarsi nel perimetro temporale di cui all’art. 8 CCII, dovendo tener conto del loro complessivo utilizzo. 

Sicché, ed in conclusione, restando nei limiti della difficile perimetrazione dell’“abuso” dello strumento concordatario è da ritenersi che, laddove l’interruzione della procedura derivi da un evidente comportamento decettivo del debitore, ben potrà il Tribunale negare l’ulteriore richiesta di termine eventualmente avanzata, conferendo “sostanzialità” alla sanzione di cui al comma 2 dell’art. 44 CCII. Diversamente, in un contesto in cui il debitore si è mostrato collaborativo e l’interruzione del termine derivi, ad esempio, da una diversa interpretazione degli atti in frode, o più banalmente, da una incolpevole inerzia o da giustificati ritardi nei tempi di lavoro, si aprirebbe la strada per una nuova legittima domanda di concessione dei termini, ferma, in ogni caso, la diversa valutazione da assumere in ordine alla eventuale ulteriore richiesta di misure protettive.



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