Napoli, ucciso nella sala giochi per l’affaire rapina-Rolex: testimoni in fuga

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Sono scappati in pochi secondi. Hanno visto tutto e non hanno perso tempo. Via dalla zona, senza dire una parola. Erano presenti al momento del raid, hanno incrociato il killer (o i killer) e hanno assistito alla scena clou, quella in cui la vittima è stata centrata all’altezza del fianco. Un omicidio per molti versi plateale, perché consumato in un luogo aperto al pubblico, affollato da un assortito gruppetto di persone.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Sala giochi di via Carbonara, mercoledì notte, non sono ancora le nove di sera. La zona è ancora trafficata, fa freddo, gli avventori si affacciano sulla strada giusto per una sigaretta. La scena sembra calma, in pochi secondi scoppia l’inferno. È stato ucciso così Antonio Esposito, alias o cinese, pregiudicato per reati associativi finalizzati alle rapine di Rolex.

Il profilo

Uno specialista operativo soprattutto nella zona di Scauri e Latina, che aveva ottenuto da qualche tempo l’affidamento ai servizi sociali. Aveva orari contingentati, dal momento che per lui era previsto il rientro a casa entro le 21. Un limite orario che non ha potuto rispettare. Colpito all’addome, Esposito è morto poco dopo al Pellegrini, dove non sono mancati dei momenti di tensione a ridosso dei reparti di emergenza. Ma facciamo un passo indietro. In ospedale, Esposito ci è arrivato da solo o grazie all’aiuto di qualche parente che potrebbe averlo accompagnato all’ingresso del Pronto soccorso. Eppure mercoledì scorso non era solo. Lì, all’interno della sala giochi, c’erano altri soggetti su cui ora vertono le indagini della Procura di Napoli. Inchiesta condotta dalla Dda di Napoli, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Sergio Amato, si scava sulle immagini ricavate dalle telecamere, sulle scarse informazioni arrivate fino a questo momento. Al lavoro i carabinieri del nucleo operativo del comando provinciale di Napoli, riflettori puntati sugli ambienti del malaffare cittadino. Conosciuto come ‘o cinese, Antonio Esposito aveva 33 anni. Era tornato da poco a Napoli, dopo essere incappato in un’inchiesta per fatti di natura associativa. Faceva parte di una gang specializzata nello strappo di Rolex. Ed è ovvio che – in primissima battuta – la pista investigativa punti proprio sulla storia dei Rolex rubati. Un bottino non condiviso? Cosa ha scatenato il probabile regolamento di conti? Un delitto avvenuto nel cuore storico di Napoli. Siamo nella strada che collega Forcella alla Sanità, una zona rilanciata grazie al boom turistico degli ultimi anni. Inchiesta in corso, resta il nodo delle testimonianze. Probabile che ci siano persone che abbiano visto particolari legati all’omicidio. Spettatori ma non testimoni, secondo un clichè che si ripropone quando avvengono omicidi a Napoli. Non ci sono al momento collegamenti diretti con la camorra, anche se non si esclude un movente criminale puro. La Procura batte la pista dei soldi, dei proventi illeciti che non sarebbero stati distribuiti secondo logiche spartitorie condivise tra più persone. Possibile dunque che la vittima conoscesse i suoi killer. Possibile che non ci siano stati – almeno sulle prime – momenti di panico all’ingresso dell’uomo armato (o degli uomini armati).

Le armi

Un episodio che conferma l’allarme sulle armi in città. Se ne è parlato anche nel corso dell’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli. Tutte le informative di pg parlano chiaro. C’è un eccesso di pistole al centro e in periferia. Si paga lo scotto di essere una città storicamente crocevia di traffici di ogni tipo. Droga, in primis. Poi le armi. Arrivano dalle regioni che un tempo facevano parte della ormai ex Jugoslavia, che oggi fanno da cuscinetto europeo verso il fronte di guerra russo-ucraino. Condizione perfetta per mercenari e mercanti di armi. Una pistola costa dalle 300 ai 500 euro, secondo il mercato controllato dai rom.

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Procedura celere

 

Ma anche al di là del mercato interno alle baraccopoli, il traffico di armi è sempre più ramificato. Non esiste al momento un’inchiesta di sistema. Sono centinaia i sequestri ogni anno, in uno scenario criminale che fa leva sulla frontiera delle cose non dette: il silenzio dei testimoni che preferiscono rimanere testimoni muti.





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