Cassazione accoglie con rinvio il ricorso di Giovanni Riina, figlio di Totò, per la revoca del 41bis: è la prima volta

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La Cassazione ha accolto con rinvio il ricorso del figlio di Totò Riina, Giovanni, arrestato nel ’96 e al carcere duro dal 2002, contro la proroga da parte del ministero della Giustizia del 41 bis nel novembre 2023. È la prima volta che la Suprema Corte accoglie il suo ricorso: negli anni di detenzione il regime carcerario è stato sempre rinnovato e confermato ogni biennio, nonostante la sua posizione di vertice all’interno di Cosa nostra non sia mai stata accertata. Adesso i giudici, secondo quanto scrive Palermo Today hanno ritenuto “meramente apparente” la motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo scorso giugno aveva valutato corretto il provvedimento. Riina è in carcere da 28 anni per mafia e per omicidio.

Per il Tribunale di Sorveglianza, Riina merita il regime del 41bis, che viene riservato ai mafiosi più pericolosi. “Pur in assenza di riconoscimento processuale della qualità di capo o promotore della associazione mafiosa – si leggeva nel provvedimento di giugno – è stata rappresentata una posizione di ‘sovraordinazione’ del Riina rispetto ad altri sodali”. Inoltre “l’associazione mafiosa è ancora attiva nel territorio di Corleone e mancano segnali di effettivo ravvedimento, in presenza di condotta carceraria non sempre regolare”. Da ciò la considerazione della “perdurante capacità del Riina di relazionarsi con soggetti esterni al circuito detentivo”.

Giuseppe Antoci, europarlamentare messinese del Movimento 5 stelle, contesta la decisione della Suprema Corte perché “per un vizio di forma, per un percorso argomentativo non adeguatamente ricco svolto dai giudici di merito, si consente a un esponente di spicco di Cosa nostra di riallacciare i contatti con l’esterno. Non si può pretendere – prosegue – che una situazione di mafiosità conclamata possa essere argomentata in termini ogni volta diversi, né si può affermare che l’attualità del pericolo che rappresentano i capimafia debba essere ogni volta riconsiderato in motivazione, senza essere dedotto dalla stessa appartenenza alla mafia, dalla quale non ci si è mai dissociati”.

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