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Occorre creare un ambiente favorevole per le startup e le scaleup, incentivando gli investimenti privati e pubblici e facilitando l’accesso ai mercati azionari europei. È una delle priorità indicate da Mario Draghi nel documento “The future of European competitiveness”, con il quale l’ex-premier italiano ed ex-numero uno della Bce ha indicato le ricette per consentire al Vecchio Continente di recuperare la competitività perduta e proporsi come protagonista dell’innovazione.
Fatturato e valore aggiunto in crescita
Come è messa l’Italia nel contesto continentale? Una risposta a questa domanda arriva da uno studio di Assolombarda, Unione Industriali di Torino e Confindustria Genova, che censisce 30.230 startup innovative passate dal registro imprese dal 2012 ad oggi, di cui 23.537 ancora attive. Nell’arco di 22 anni, queste realtà hanno coinvolto 87.100 soci e generato 63.519 nuovi posti di lavoro, pari al 7,3% dell’incremento occupazionale nazionale nello stesso periodo. Il loro numero dal 2017 è cresciuto al ritmo del 20-30% annuo, con un incremento occupazionale del 126% nei primi cinque anni di vita. Le startup ed ex startup innovative italiane hanno generato un fatturato totale di 12,8 miliardi di euro nel 2023, un dato in crescita rispetto agli 11,7 miliardi del 2023. In parallelo, il valore aggiunto prodotto è passato da 2,4 miliardi a 3 miliardi di euro.
Soffrono gli investimenti nel settore
La crescita è fuor di dubbio, ma resta fortemente zavorrata dalla carenza di capitali, fondamentali per un settore che per sua stessa natura è soggetto a un elevato rischio di fallimento. Nel corso del 2023, segnala il report annuale di StartupItalia, il volume di round raccolti nel nostro Paese è stato di 1,13 miliardi di euro, in flessione del 51,5% rispetto al 2022, mentre le operazioni sono calate del 18,8%, fermandosi a quota 164. Hanno pesato soprattutto i tassi elevati che frenano il ricorso al debito da parte dei potenziali investitori, così come un impatto negativo lo ha avuto anche la debolezza della congiuntura, ma sta di fatto che nella Penisola sono rarissimi i casi di giovani imprese che riescono a raccogliere capitali importanti, necessari per gli investimenti.
Quanto al primo semestre 2024, invece, un’analisi targata Aifi-PwC segnala che gli investimenti di venture capital (nelle imprese impegnate nel ciclo di vita, seed, startup, later stage) sono diminuiti del 17% in termini di numero (193), mentre l’ammontare investito è aumentato del 21% (494 milioni di euro), testimoniando una maggior dimensione media degli investimenti.
Alla ricerca dell’ecosistema
Il Teha-Global Innosystem Index curato da The European House – Ambrosetti è un indicatore molto prezioso per capire come si muove l’innovazione nei vari Paesi, anche nel confronto internazionale in quanto considera tutte le dimensioni. Quindi non solo le risorse finanziarie a sostegno dell’innovazione, ma anche la capacità di costruire un ecosistema di cervelli, capitali e burocrazia efficiente. L’Italia è solo 32esima nella graduatoria degli ecosistemi innovativi, in un ranking che vede primeggiare l’Estonia, seguita da Singapore e Stati Uniti. Tuttavia, le cose vanno meglio in alcune sottocategorie come la ricerca accademica e le richieste di brevetti. Aspetti dai quali occorre ripartire, nella consapevolezza che lo scenario è in continua evoluzione e non tutto è perduto. Il Pnrr italiano, il più corposo per risorse impegnate, oltre a stimolare la domanda, promuove l’offerta, invitando gli Stati a progettare politiche d’investimento. Far leva sulle risorse pubbliche per attrarre capitali privati e promuovere forme di collaborazione tra i due mondi è la grande sfida che abbiamo davanti a noi.
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