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Quando si pensa agli Stati Uniti si ha la percezione dell’immenso. Anche dal punto di vista aziendale. Ma non ci sono sono Apple, Amazon, Meta, General Motors o Microsoft: la metà dell’occupazione americana è costituita dalle piccole e medie imprese. Che nonostante i recenti interventi della Fed non se la passano per niente bene.
Il cuscinetto di liquidità del governo che ha aiutato a sostenere molte piccole aziende durante gli alti e bassi degli ultimi anni si è esaurito. Le pmi americane hanno finito i fondi di salvataggio per la pandemia e i pagamenti dei prestiti che erano stati rinviati ora sono dovuti.
«È la tempesta perfetta», ha affermato senza grande ottimismo Ami Kassar, ceo di MultiFunding, una società di consulenza sui prestiti alle piccole e medie imprese. «Le aziende sono in forte aumento e la domanda è ferma. Sembra un’altra pandemia, ma stavolta economica».
Secondo Kassar il 20% delle pmi statunitensi deve fare i conti con una grave crisi di flusso di cassa che probabilmente non riuscirà a fronteggiare. Significa che centinaia di aziende sono destinate a chiudere o a dichiarare bancarotta. Nonostante il rallentamento dell’inflazione le spese per il lavoro sono ancora elevate. E i tassi d’interesse dovranno scendere molto di più prima di fare una differenza tangibile nel costo dei prestiti. Nel frattempo le vendite si stanno stabilizzando, dato che i consumatori stanno riducendo le loro spese discrezionali dopo l’ondata post-Covid, diminuendo i profitti dei titolari delle attività .
Durante l’emergenza sanitaria gli imprenditori americani hanno dimostrato di avere spirito di iniziativa e intraprendenza, ma i loro problemi finanziari potrebbero rappresentare un rischio di recessione se un numero significativo di pmi chiudesse o aumentasse il numero dei licenziamenti per sopravvivere. Con conseguenze (in questo caso sì) sui colossi aziendali.«I licenziamenti delle piccole imprese potrebbero estendersi alle aziende di medie dimensioni e da lì si potrebbe generare un effetto a cascata», ha sottolineato Ryan Sweet, un economista di Oxford economics.
Un esempio: Coventry creations, una pmi che vende candele, oli e spray rigeneranti con sede a Ferndale, nel Michigan, nel 2021, in piena pandemia, aveva incrementato le vendite dell’85% grazie ai sussidi federali e ai risparmi che gli americani avevano messo da parte durante il lockdown. L’aumento vertiginoso della domanda aveva portato la società ad assumere altri 13 dipendenti da aggiungere ai 17 che già aveva. Ma nel 2023, rispetto a due anni prima, i ricavi sono diminuiti del 30%. È la prova che gli americani, alle prese con l’inflazione e con i conti correnti ormai prosciugati, si sono spostati verso acquisti più essenziali e meno discrezionali.
Morale: Coventry creations ha chiuso buona parte dei suoi negozi, ha debiti per 600mila euro ed è rimasta indietro con i pagamenti ai fornitori e ad altri creditori. «Io e mio marito abbiamo smesso di mangiare fuori, di andare al cinema e di fare le vacanze», ha raccontato Jacki Smith, proprietaria dell’attività . «È una veglia costante per assicurarci di non crollare». Non tutte le aziende, negli Usa, s’illuminano d’immenso.
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